martedì 8 gennaio 2019

Giulia Blasi racconta il suo 'Manuale per ragazze rivoluzionarie' di Manuela Stacca

Perché è importante parlare di patriarcato? Perché in Italia non è esploso nessun #MeToo? Di femminismo, patriarcato e diritti abbiamo parlato con l'ideatrice di #quellavoltache.
«La nostra cultura vede i diritti delle donne come gentilmente elargiti, e quindi ritirabili. Non c'è niente di consolidato in quello che abbiamo ottenuto, dobbiamo ancora lottare per tenercele le cose». Spigliata, schietta, energica, ironica ma anche incazzata. Giulia Blasi è un fiume in piena, incontenibile. Proprio come lo sono stati #quellavoltache – da lei ideato –, #MeToo e tutte le campagne antimolestie che hanno segnato una frattura. Un punto di non ritorno, nell'ottobre 2017. Ora, la giornalista e scrittrice femminista torna in libreria con Manuale per ragazze rivoluzionarie (Rizzoli). Un libro che parla dell'attuale condizione della donna, di femminismo e di come metterlo in pratica, rivolgendosi ai giovani. Perché dopo questa «grande rivolta della mia generazione», è importante che «ci sia subito una presa di coscienza, di potere e di parola da parte delle nuove generazioni che non ci stanno a farsi soffocare dal sistema e che vogliono cambiarlo».

- Come nasce il nuovo libro?
- La prima bozza del progetto risale a due anni fa, forse tre. Volevo intitolarlo «Le femmine fanno schifo» e doveva essere un saggio sull'orrore del femminile nel contemporaneo. Quando poi Rizzoli mi ha proposto di scrivere questo libro, ho fatto un adattamento minimale del progetto originario per allargarlo. Non è un libro per iniziati ma una cosa molto pratica, accessibile, soprattutto per chi si approccia la prima volta al femminismo.

- Il manuale è diviso infatti in due parti, una sorta di teoria e pratica, ricca di consigli utili...
- Sì, perché si può iniziare anche dal piccolissimo. Una delle cose più terribili, che succedono alle persone che si approcciano al femminismo, è che alla prima fase di entusiasmo subentrano la frustrazione e la stanchezza. Che è naturale, quando si tratta di cose che hanno un impatto sulla società. Piano piano, però, i cambiamenti avvengono, perciò bisogna imparare a gestire la frustrazione. Conservando la rabbia, l'energia e non dicendo «Vabbe', tanto è inutile» ma imparando che ci sono battaglie vinte e battaglie perse. E che bisogna continuare a lottare.

- Perché è importante parlare di patriarcato?
- Perché il suo più grande successo è far pensare alle persone che non esiste. Bisogna cominciare a dire «patriarcato» come si è cominciato a dire «mafia». Funziona allo stesso modo: è un sistema che vive della sua invisibilità. Nel momento in cui viene rivelato e ne vengono tracciati i confini diventa vulnerabile.

- Nel libro parli di sessismo benevolo, più pericoloso di quello ostile. Perché?
- Perché consola le donne e sembra un complimento. Se un uomo ti dice «Voi non siete capaci», tu gli dici: «Ma come ti permetti?». Ma quando ti dice: «Voi siete più portate per la cura, siete tanto migliori di noi», non ce n'è una che si giri e dica: «Ok, amico. Allora scansati». Se siamo tanto migliori, com'è che voi gestite tutto?

- Nel capitolo sul corpo femminile, racconti di aver sofferto in passato di disturbi alimentari.
- L'ho fatto perché di disturbi alimentari non se ne può parlare in astratto ma sempre solo in concreto. Si tratta di una cosa comune a moltissime donne, che spesso passa sottotraccia, e sapevo che sarei riuscita a comunicare meglio un messaggio passando attraverso il mio corpo. Credo che il personale sia profondamente politico e che mettersi in gioco, in prima persona, sia fondamentale, ma non è stato difficile parlarne. È passato molto tempo e non è la prima volta che lo racconto.

- «Il femminismo non è solo dire: brave ragazze!. È anche un bel po' di fatica, sbattimenti, andare in piazza, organizzare campagne, scrivere editoriali...».
In questa rivoluzione è importante coinvolgere le ragazze ma anche i ragazzi. Ma come si fa?
- Bisogna convincerli del fatto che a delle narrazioni tossiche delle donne ne corrispondono altrettante degli uomini: da un lato hanno molte meno pressioni di noi, ma dall'altro sono spinti a perdere il contatto con i propri sentimenti, a non manifestarli. A intrattenere con le donne rapporti superficiali, con atteggiamenti predatori. Bisogna quindi fare un passaggio: da uomini che partecipano al femminismo come alleati a uomini che ridiscutono se stessi e le loro azioni.

- Di femminismo pop ne parli in maniera abbastanza critica. Cosa non ti convince?
- Il fatto che in questo momento è basato sul concetto di autoaffermazione. È bellissimo stare sul palco con scritto dietro «Feminist», ma poi devi fare attivamente delle cose. Devi considerare gli altri e facilitare la loro liberazione. Il femminismo pop è importante però non può passare l'idea che si esaurisca in «brave ragazze!». Perché il femminismo è anche un bel po' di fatica, sbattimenti, andare in piazza, organizzare campagne, scrivere editoriali...

- A chi dice invece che il femminismo ha fatto il suo tempo, cosa rispondi?
- [Ride] Risponderei con la GIF di Jennifer Lawrence che fa il pollicione, ma cercherò di essere seria. Un Paese dove è stato presentato il DDL Pillon, dove il ministro della famiglia Fontana è iscritto a un'associazione che promuove l'abrogazione della legge 194 e il carcere per le donne che abortiscono; un Paese dove «l'essenziale funzione familiare» delle donne è scritta nella Costituzione e la metà delle italiane non lavora, ecco... È un Paese dove c'è più che mai bisogno di femminismo. Continuare a dire che non serve più è solo un modo per farlo sparire.

- Nel libro scrivi: «Il patriarcato è una macchina che tende all'autoconservazione, consuma tutto e non produce niente, ma di quando in quando si inceppa». Quando è scoppiato lo scandalo Weinstein cosa si è inceppato?
- La macchina che fa passare l'idea che il silenzio sia una scelta dignitosa, di forza e di necessità. Per una volta c'è stata una sollevazione internazionale contro questo concetto. Le donne hanno detto: «No, non potete fare finta che non sia successo». Ci viene insegnato che è meglio se stiamo zitte o accettiamo la cosa, perché è sconsigliabile mostrare debolezza. Non puoi essere debole, questa società è costruita a misura di uomo. Ma gli uomini non passano la vita a difendersi.

- C'è infatti una percezione diversa della realtà tra donne e uomini...
- Lo stupro non è nel menù delle loro vite. Non hanno una mamma che gli dice «Fa' attenzione, che ci sono brutte persone là fuori», come hanno detto a tutte noi. Non gli viene detto non devi toccare le ragazze senza il loro consenso. Non devi imparare questo tipo di mascolinità tossica. Oggi i ragazzi poi hanno un grande accesso al porno e assorbono una forma di sessualità performativa, una certa fisicità: tette grandi, depilazione integrale... Tutto finalizzato al piacere maschile. Ora, non voglio demonizzare il porno, che è un'espressione come un'altra delle fantasie umane. Il problema è che manca la formazione emotiva. Non c'è un discorso di educazione sessuale di genere nelle scuole e non è possibile aspettarselo dal governo in carica che ha tutto l'interesse a mantenere le persone ignoranti e disinformate e le donne in sudditanza.

- Non a caso quando si è saputa la vicenda Argento-Bennett, quest'ultimo è stato subito deriso.
- Abbiamo avuto sempre problemi con l'accettazione del fatto che gli uomini possano subire degli abusi, soprattutto da parte delle donne. Questa cosa avviene in una minoranza risibile però quando avviene si scatena l'idea che non possano subire una molestia, perché all'uomo viene insegnato che «ogni buco è trincea». Non puoi rifiutare un rapporto che ti viene offerto, che ti vada o meno, devi essere sempre pronto. Perché «la figa è la figa», è un valore universale.

- Ora è passato un anno, dallo scandalo Weinstein. A che punto siamo in Italia?
- Intanto, ne stiamo ancora parlando. Già quattro, cinque mesi fa hanno iniziato a dire «Il #MeToo è morto!» però fanno ancora articoli di tre colonne sulla morte di questo benedetto #MeToo. Tra l'altro classificandolo come un movimento di vendetta e non di riscatto collettivo, solo perché in America ci sono persone che hanno pagato per quello che avevano fatto. Louis CK è stato allontanato da Netflix perché le voci sulla sua condotta sessuale duravano da anni, non dal giorno in cui le donne davanti alle quali si era masturbato hanno parlato. Tra l'altro, lui lo ha ammesso, nel loro ambiente lo sapevano tutti. Quindi è chiaro che quando una cosa così emerge ne paghi le conseguenze. È normale.

- «Si può essere politici senza essere partitici. Quello che manca al nostro star system è essere chiari sui grandi temi. Ad esempio, Emma Marrone non si è mai spesa per un partito, però è molto chiara nei suoi messaggi, sulla sottovalutazione delle donne nella musica».
#MeToo e #quellavoltache sono due cose diverse ma i paragoni sono quasi inevitabili. In America le star si espongono, anche politicamente, scendono in piazza, in Italia no. Perché secondo te?
- In Italia tutti sono amici di tutti. La Rai dà lavoro alla gente dello spettacolo italiano, è sempre stata lottizzata. Per cui è difficile scuotere dall'interno un sistema che ti dà da mangiare. Poi in Italia l'impegno politico viene visto con sospetto perché abbiamo un problema di mutevolezza politica: i partiti nascono, crescono e falliscono nel giro di pochissimo tempo. In America, ci sono solo due partiti rilevanti e questo rende le cose più facili. Detto questo, si può essere politici senza essere partitici. Quello che manca al nostro star system è essere chiari sui grandi temi. Ad esempio, Emma Marrone non si è mai spesa per un partito, però è molto chiara nei suoi messaggi, sulla sottovalutazione delle donne nella musica, nel dire «l'omofobia fa schifo»... Forse viene presa poco sul serio però lei parla ad una generazione e questo non va trascurato.

- Cosa ti preoccupa dell'attuale governo?
- Prima cosa, la totale incompetenza, non avere un'idea di nulla. Ci sono persone che non conoscono neanche le basi della democrazia. Poi, una visione del mondo che ha veramente troppi punti di contatto con quella fascista. Non vogliono essere chiamati fascisti però esaminiamo i fatti: uso dello straniero come spauracchio, creazione di leggi strumentali che servono a creare maggiore instabilità degli stranieri in Italia, rifiuto di votare la riforma del trattato di Dublino, disprezzo della donna esibito più volte, da Salvini e dai suoi; costante bersagliamento delle persone non eterosessuali, grande nazionalismo, tentativo di spaccare l'Europa... Diciamo che ci sono tutti i segnali.

- L'approvazione della mozione contro l'aborto a Verona ti preoccupa?
- Sì, nella misura in cui sembra una cosa innocua. «Città a favore della vita!», ma non si specifica a favore della vita di chi. Sicuramente non a favore di quella delle donne. L'aborto è un diritto fondamentale di base della salute riproduttiva delle donne ed esercitare questo diritto in sicurezza è un pilatro della nostra esistenza nella società. Il che significa lasciare le donne libere di fare la scelta migliore per sé.

-Chiudiamo con una nota leggera. Il libro è ricco di riferimenti alla cultura pop e alle serie tv, che negli ultimi anni hanno raccontato tante storie di donne, scritte anche da donne. La tua preferita?
-Difficile dire qual è stata la mia preferita, ma se devo identificarne una è Orange Is The New Black. Perché è veramente di una forza, di una potenza narrativa straordinaria.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2018/10/30/giulia-blasi-libri-manuale-ragazze-rivoluzionarie/26991/

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