mercoledì 11 dicembre 2019

Gli uomini possono diventare nostri alleati femministi?di PAOLA GIURA

Noi donne, grazie all'attivismo, stiamo cercando di trovare la nostra dimensione. Ma cosa dovrebbero fare i maschi mentre assistono, a volte inermi, a questi cambiamenti? Una piccola guida che ha stilato per noi il presidente di Ahige.
 
«Sii un vero uomo!» e «Non fare la femminuccia!» sono espressioni con cui devono ancora fare i conti gli uomini che ci circondano. La maggior parte dei rappresentanti del sesso maschile, fin dall’infanzia, fa colazione con «pane e mascolinità egemonica», ossia con un’educazione farcita di tutta una serie di stereotipi da rispettare, proprio come la controparte femminile. Le donne, grazie ai movimenti femministi, stanno cercando di trovare la loro dimensione, se non direttamente di abbattere il patriarcato dalle fondamenta: cosa dovrebbero fare gli uomini mentre assistono, a volte inermi, a questi cambiamenti?

ALLEATO O FEMMINISTI?
Ultimamente, molti uomini mostrano con autocompiacimento un grande cartello luminoso sulla propria testa con su scritto «femminista». Fra chi usa questa etichetta solamente per farsi bello agli occhi delle donne o per seguire, in modo superficiale, le direttrici della propria parte politica, la domanda che sorge spontanea è: gli uomini possono essere realmente femministi? Fra le femministe c’è chi dice che possono essere solamente «alleati». Txema Olleta Ormaetxebarria, presidente di Ahige, associazione maschile spagnola per l’uguaglianza di genere, si sente femminista, proprio perché, afferma, il femminismo difende l’uguaglianza tra uomo e donna. Partendo da questa presa di posizione, Olleta ci aiuta, attraverso la sua esperienza, a farci un’idea di cosa significhi essere un uomo femminista.

COME RICONOSCERE E DIVENTARE UN (ALLEATO) FEMMINISTA?
«L’uomo femminista è quello che si mette continuamente in discussione. Si tratta di un percorso che dura tutta la vita. Dev’essere cosciente dei rischi del maschilismo e le relazioni con le donne devono essere basate sulla gentilezza, sul rispetto della sua libertà e dei suoi spazi, sull’affetto e sugli accordi», spiega Olleta. Il compito degli alleati femministi, dunque, è quello di fare un percorso parallelo, senza cercare di trasformarsi nei protagonisti. Il rischio di mansplaining, infatti, è sempre dietro l’angolo. Facciamo lo sforzo, ora, di pensare agli uomini che conosciamo, dai partner, agli amici, passando per i familiari: continuano ad alimentare gli stereotipi di genere? «Aiutano» (solamente) in casa? Esprimono le loro emozioni? Fanno battute sessiste? Oltre a Olleta, viene in nostro aiuto anche il giurista e scrittore spagnolo Octavio Salazar con il suo libro «El hombre que no deberíamos ser» (L’uomo che non dovremmo essere) e il suo decalogo per mettere in moto una «rivoluzione maschile» e per ricercare altri modi per «essere uomini».

PRIMO PASSO: RICONOSCERE (E ABBANDONARE) I PRIVILEGI MASCHILI
Olleta chiarisce fin da subito che un uomo femminista deve «rinunciare a una serie di privilegi che si hanno per il semplice fatto di essere uomini». «Quali privilegi?» si chiederanno in molti, sorpresi. Se non è sufficiente sapere che gli uomini guadagnano di più rispetto alle donne per lo stesso lavoro, allora si può pensare, facendo una breve e incompleta lista, a:

• gli spazi politici che gli competono semplicemente perché gli uomini li hanno sempre occupati;

• la facilità con cui molti uomini credono che le faccende domestiche siano un compito naturalmente femminile;

• l’essere uno scapolo d’oro e non una triste zitella;

• la presenza di un tetto di cristallo che fa balzare gli uomini ai posti di comando senza dover lottare contro la concorrenza femminile;

• il non dover pensare a come tornare sani e salvi a casa di notte o a come vestirsi per non «suggerire» ai passanti eventuali abusi o violenze sessuali.

Queste e altre sono le cose a cui gli uomini hanno diritto (diritti non estesi alle donne), o che acquisiscono come privilegi per il semplice fatto di avere un organo sessuale diverso dal nostro.

SECONDO PASSO: CONDIVIDERE GLI SPAZI PUBBLICI
Se in Italia non sembra vicino il momento in cui una donna possa diventare presidente del Consiglio, quelle che sono riuscite a rendersi visibili in spazi pubblici importanti, spesso, hanno dovuto assumere dei comportamenti maschili per essere accettate dalla società. Basti pensare alla «figura mitologica», metà uomo e metà donna, secondo i pregiudizi di genere del patriarcato, delle cosiddette «donne in carriera» o delle «donne con le palle». Al resto, non resta che accontentarsi di commenti sul loro aspetto fisico più che sul ruolo politico, sociale o professionale. Un uomo femminista dovrebbe iniziare ad abbandonare l’idea che la società sia il suo palcoscenico i cui meccanismi sono stati creati su misura per lui. Ciò vuol dire imparare a condividerla con l’altra metà della popolazione, senza opporre resistenza e, in molti casi, facendo un passo indietro. Secondo Salazar, infatti, «Non è sufficiente che ci sia una presenza paritaria di donne e uomini nelle istituzioni, ma è urgente anche rivedere i metodi, i criteri di organizzazione e le priorità che, per secoli, hanno sostenuto gli interessi maschili».

TERZO PASSO: RIPARTIRE DAI RUOLI 'FEMMINILI'
«La differenza è visibile attraverso i fatti e non solo attraverso le parole. Non serve manifestare contro il maschilismo se poi, ad esempio, continui ad accettare battute maschiliste quando sei con i tuoi amici», ricorda Olleta. Il vero cambiamento degli uomini deve avvenire soprattutto nel privato. La casa e tutto ciò che contiene è, secondo il patriarcato, il «regno femminile», e, di conseguenza, zona off limits per gli uomini che devono essere solamente attivi a livello professionale o, facendo uno sforzo, preparando il barbecue in una domenica soleggiata. A livello privato, secondo Olleta, l’uomo deve lasciare da parte i suoi privilegi, occupandosi non solo delle faccende domestiche ma anche prendendosi cura degli altri, compresi i propri figli o i genitori in età avanzata. Non si tratta di conciliazione, insiste, ma di «corresponsabilità»: «Spesso gli uomini dicono 'Aiuto in casa'. Ciò vuol dire continuare a mantenere lo stereotipo secondo cui il peso della casa ricade sulla donna mentre noi abbiamo il ruolo di aiutante, per cui spesso vogliamo essere anche premiati».

QUARTO PASSO: RICOMINCIARE DALLE EMOZIONI
«Boys don’t cry», i ragazzi non piangono, cantavano The Cure alla fine degli Anni 70. Negli anni 2000, come ricorda Salazar, invece, ci hanno voluto ingannare con il «metrosessuale», un nuovo tipo di uomo che, in realtà, si distingueva dal «maschio alfa» solo per una riduzione considerevole della peluria corporea. Gli anni sono passati ma, per molti, essere uomini vuol dire ancora non mostrare le proprie emozioni e l’utilizzo, diretto o indiretto, della violenza. Non devono sembrare, insomma, delle donne, o rischiano di essere chiamati «omosessuali», una parola che per molti è ancora un insulto alla propria virilità. «Ogni essere umano ha quattro emozioni basilari: paura, ira, allegria e tristezza. Gli uomini hanno il permesso di utilizzare solamente ira e allegria», spiega Olleta, «Esistono molti altri motivi, però, una delle ragioni per cui gli uomini usano la violenza contro le donne è perché non sanno esprimere paura e tristezza. Esercitano violenza perché temono la libertà delle donne. Tuttavia, visto che la paura non è un sentimento che siamo liberi di esprimere, si trasforma in ira». Superare questo blocco è uno degli obiettivi di Ahige che aiuta gli uomini a esprimere tutti i sentimenti possibili: «Dopo il lavoro di gruppo cambiano le relazioni, non solo con le donne ma anche con gli altri uomini».

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