A distanza di 45 anni dalla loro istituzione, sono diventati sempre di meno: la legge ne prevede uno ogni 20 mila abitanti, in realtà la media è di uno ogni 35 mila, quando va bene. Dettori (Cgil): "Dobbiamo invertire la rotta"
Era il 1975 quando il Parlamento approvò una legge, la 405, che fu contemporaneamente frutto della mobilitazione delle donne e anticipò – forse in parte ispirò – quella che tre anni avrebbe istituito dopo il Servizio sanitario nazionale. Nacquero, nel ’75, i consultori. Erano tante cose insieme: non poliambulatori, ma luoghi di cura della salute delle donne e dei bambini, primo esperimento di integrazione tra servizi sanitari e sociali facendo perno sulla multidisciplinarità e il territorio. E ancora, straordinari luoghi di partecipazione che contribuirono alla presa di coscienza femminile e alla crescita democratica. Poi venne il ‘78 e portò altre norme che a quella dei consultori erano però legate a doppio filo: la 180, meglio conosciuta come legge Basaglia che riformò la psichiatria e si pose l’obiettivo di chiudere i manicomi; la 194, nota come legge sull’interruzione di gravidanza che in realtà si pose anche l’obiettivo di promuovere il valore sociale della maternità che proprio sui consultori fece perno; e infine – come detto – l’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Quattro riforme di una stagione felice che misero al centro salute e dignità e fecero della partecipazione uno straordinario strumento di azione.
Se questo è il passato, il presente è assai meno felice. Dello stato attuale dei consultori si è parlato in un seminario organizzato oggi (5 febbraio) dalla Cgil nazionale. “Occorre difendere e potenziare una grande conquista che soffre di mali diversi”, ha affermato Denise Armerini, responsabile Medicina di genere per la Cgil, aprendo l’incontro. A distanza di 45 anni dalla loro istituzione sono diventati sempre meno, con meno personale: la legge prevede ve ne sia uno ogni 20 mila abitanti, in realtà la media è uno ogni 35 mila quando va bene. E anche in questo caso la differenza tra Nord e Sud del Paese conta eccome. Sono scomparsi i comitati di gestione che erano appunto il luogo della partecipazione e del legame attivo con il territorio e si sono trasformati sempre più in poliambulatori che non riescono nemmeno a dare piena applicazione alla 194 vista la diffusione dell’obiezione di coscienza (che certo riguarda anche e forse soprattutto il personale ospedaliero). Nel frattempo sono stati accreditati consultori privati, quasi sempre di natura confessionale. Anche il definanziamento del Ssn e la precarizzazione del lavoro rendono sempre più difficile gestire un servizio adeguato e di qualità che resiste solo grazie all’impegno di operatrici e operatori. Insomma, i consultori sono sempre meno la risposta ai bisogni di salute delle donne.
“Occorre invertire questa rotta – ha affermato Rossana Dettori, segretaria confederale della Cgil – e occorre cogliere questa necessità anche per adeguare i consultori al nostro tempo”. Salute delle donne, risposta ai bisogni, vera integrazione tra servizi sociali e sanitari, territorio, laicità: questi, secondo la dirigente dalla Cgil, sono i perni attorno ai quali rilanciare i consultori facendoli tornare a essere come fu nel 1975, uno dei punti di partenza del confronto tra organizzazioni sindacali e governo sul futuro del Servizio sanitario nazionale. “Nella Legge di bilancio appena approvata – ha ricordato Dettori – sono stati stanziati finalmente i fondi per l’edilizia sanitaria. Bene, era una nostra richiesta. Ora dobbiamo batterci affinché in parte consistente vengano destinati ai servizi territoriali, a partire dai consultori”.
Nella piattaforma di genere “Tutte insieme, Vogliamo tutto” elaborata dalle donne della Cgil sono molte le proposte per il rilancio di questo servizio. Proviamo a citarne alcune. Occorre innanzitutto realizzare quanto prevede la norma: un consultorio ogni 20 mila abitanti in tutto il territorio nazionale. Per farlo è necessario partire da un piano di assunzioni mirato di tutte le figure professionali necessario a garantire la salute sessuale e riproduttiva in un’ottica di inclusione dei diversi orientamenti sessuali, delle donne migranti, delle persone disabili. Anche la medicina di genere – si legge nel documento sindacale – ha bisogno di una preparazione specifica, quindi è necessario che le università prevedano dei piani formativi specifici. Deve, inoltre, essere verificata e garantita l’appropriatezza del servizio dando piena applicazione al nuovo decreto sui Livelli essenziali di assistenza ed è necessario istituire i Livelli essenziali di prestazioni sociali. Infine, nei consultori e non solo, va garantita la piena applicazione della legge 194 che, tra le altre cose, significa che per essere assunti in quelle strutture non si deve essere obiettori di coscienza. Le proposte ci sono, ora occorre che le istituzione facciano la propria parte.
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