Grazie alla crisi Covid, ci stiamo provando, in Italia, a ragionare di futuro, anche se il dibattito pubblico troppo spesso si ferma a proposte “ordinarie”, come sull’uso dei Recovery Funds per le politiche ritenute per le donne e concentrate su welfare, asili nido, genitorialità e occupazione femminile. Temi storici e fondamentali, con un tratto cruciale: da sempre sono lasciati quasi solo alle donne e le donne si occupano più spesso solo di loro. È questo un approccio che funziona nel tempo cronologico drammatico e straordinariamente opportuno che ci è dato da vivere?
Quando nel 1948 si trattò di utilizzare i soldi del Piano Marshall, tutto venne deciso da una classe dirigente quasi esclusivamente maschile. Non avrebbe potuto essere diversamente: le donne avevano votato per la prima volta nella storia solo due anni prima e tutto, dell’emancipazione femminile, doveva ancora succedere. Oggi, più di 70 anni dopo, il peso delle donne nella società e nell’economia italiana è cresciuto in modo considerevole: le occupate sono aumentate dai 6,3 milioni del 1959 ai 9,8 milioni del 2019, producono PIL, pagano tasse, posseggono il 48,4% delle abitazioni, sono il 57,7% delle persone laureate e il 36% di chi siede in Parlamento (il 5% nel 1948) e, soprattutto, sono quasi il 52% dell’elettorato.
Eppure le donne, quando si propongono nel dibattito pubblico, sono ancora percepite come una minoranza che chiede soprattutto protezione, riconoscimento e soluzione di propri problemi apparentemente solo loro. È una contraddizione che si spiega certamente con i millenni di non-cittadinanza alle spalle, in cui le donne hanno gestito soprattutto l’economia della propria casa e troppo poco quella pubblica, comunque amministrando un mondo a loro estraneo, di cui sono al più ospiti. In questa prospettiva millenaria, il secolo che il World Economic Forum stima debba ancora passare per la piena parità, appare poca cosa.
PERCHÉ LE DONNE NON SONO MINORANZA NÈ «SOGGETTI FRAGILI»
Ci chiediamo, però, se davvero le donne possano continuare a fermarsi ai soli temi ritenuti più “femminili”, al più insistendo sulla loro importanza per tutto il sistema. O se non debbano piuttosto costruire una casa da fondazioni nuove fiammanti, sulle quali innalzare i pilastri dell’occupabilità femminile, educazione, sostenibilità ambientale, mobilità, connettività digitale, e qualità urbana, come infrastrutture materiali e immateriali indispensabili per un Paese accogliente, bello, sicuro.
Le donne rappresentano infatti un’esperienza e un vissuto collettivo indispensabili per la visione di futuro, per il loro peso sociale ed economico e per quella familiarità con la cura – nel significato più ampio - che infatti le ha viste protagoniste durante l’emergenza.
Se grandi sono ancora ostacoli e discriminazioni,è il momento che le donne assumano una diversa postura collettiva nei confronti del Paese, esprimendo appieno il loro diritto-dovere di cittadinanza e ponendosi come forza emergente che mette talenti e professionalità nella pratica del benessere generale, con un’autonoma visione da proporre, condividere e negoziare.
Protagonista di questo cambiamento deve essere anche l’attuale classe dirigente femminile, chiamata ad un considerevole salto di qualità per superare posizioni ancillari e di rendita, costruire una propria indipendenza politica ed elettorale, includere nuove competenze, diverse generazioni e nuovi punti di vista, e la capacità di stare ad un più alto livello di conflitto, inevitabile in ogni cambiamento.
Occorre dunque che le individualità femminili già eccellenti in ogni settore economico e sociale si elevino a una dimensione pubblica condivisa: senza questo passaggio le pur valorose esperte inserite “in quota di genere” non possono né potranno avere potere di rappresentanza né negoziazione.
È questo il tempo di una sfida irrinunciabile per il futuro del Paese: un orizzonte radicalmente diverso, che forse avrebbe avuto bisogno di un più lungo tempo di navigazione, ma che l’urgenza della crisi ci dà l’opportunità di mirare.
* Giovanna Badalassi, ricercatrice in valutazione di impatto socioeconomico delle politiche pubbliche, e co-fondatrice di Ladynomics, e Marilù Chiofalo, docente di fisica, Università di Pisa, ed esperta di politiche di genere
15 ottobre 2020 (modifica il 15 ottobre 2020 | 01:28)
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