A Civitavecchia un'associazione in difesa della 194 si è battuta contro la consegna dei resti abortivi da parte della Asl agli ultra cattolici di Difendere la vita con Maria. Con successo
Anche a Civitavecchia, città di porto provincia di Roma, ci sarebbe dovuto essere uno dei cimiteri per feti di cui si sta parlando in questi giorni. Si usa il condizionale, però, perché poi si sono messe di mezzo le Donne in difesa della 194, un'associazione locale che dallo scorso dicembre si è battuta contro la consegna dei resti abortivi da parte della Asl (la Roma 4, nel loro caso) a Difendere la vita con Maria. Con successo, perché l'azienda sanitaria ha revocato l'accordo con gli ultra-cattolici e lo spazio per le croci non è mai stato aperto. «Se volete sapere come ci siamo riuscite, abbiamo tanta documentazione», ha scritto ieri su Twitter Anna Luisa Contu, in prima linea insieme alle compagne dell'associazione in questa lotta. La loro, infatti, è una vittoria ancora isolata, ma non deve restare un'eccezione. Anzi: «Il modo in cui abbiamo agito è replicabile in tutta Italia, bisogna lottare», aggiunge lei all'Espresso.
E allora: com'è andata a Civitavecchia?
Nel 2017 Difendere la vita con Maria aveva chiesto alla Asl che gli concedesse i resti abortivi e i feti per seppellirli, e al Comune un'area per disporre le tombe. All'epoca la città era governata dal Movimento 5 Stelle, quindi la richiesta era andata a vuoto. È stata accolta, invece, lo scorso 19 dicembre sotto la nuova giunta Leghista, dopo che l'azienda sanitaria – il giorno prima, il 18 – aveva approvato il protocollo d'intesa con gli attivisti. Di fronte alla notizia, ci siamo subito attivate.
Come vi siete mosse a livello pratico?
Abbiamo protestato sotto la Asl, chiesto incontri, fatto manifestazioni per sensibilizzare; ci siamo unite e – soprattutto – documentate. E a febbraio, prima che il cimitero potesse aprire, abbiamo ottenuto la revoca della cessione di feti e resti abortivi da parte della Azienda sanitaria a Difendere la vita con Maria.
Su quali leggi avete fatto leva?
Ci siamo rifatte – in primis – alla legge 285 del 1990, il “Regolamento nazionale di polizia mortuaria”. Il testo, infatti, prevede che – nel caso in cui una donna non desideri farlo personalmente – il Comune si debba occupare della sepoltura del feto, in forma rigorosamente anonima. Al contrario, se si tratta ancora di resti abortivi, quindi sotto le 20 settimane di vita, è la stessa Azienda sanitaria a provvedere all'incenerimento. Parentesi: l'anonimato è fondamentale; l'articolo 21 della legge 194 prevede che chiunque riveli il nome della donna che abortisce è passibile di denuncia ai sensi dell'articolo 622 del codice penale. Ora: il problema è l'articolo 7 della 285, in cui c'è scritto che la donna o “chi per essa” può seppellire il feto entro 24 ore dalla sua estrazione. Molte associazioni cattoliche, infatti, si pongono proprio “al posto della donna”, spesso fornendo dei pareri legali. Ciò è gravissimo, perché è chiaro che la legge non si riferisce a loro, ma ai parenti o a chi ne fa le veci.
In ogni caso, il punto è che cimiteri del genere proprio non devono esistere. E, questo, secondo la legge 285. In particolare per l'articolo 92 comma 4, in cui c'è scritto che non si possono concedere aree a terzi per sepolture private che “mirino a fare lucro e speculazione”, compresa la speculazione sociale o religiosa; e per l'articolo 100, per cui sono previste aree speciali nei cimiteri per coloro che professano un culto, sì, ma solo se diverso da quello cattolico.
Quindi, con queste basi, l'accordo è stato revocato.
Sì, ed è stata fondamentale l'Asl: ci ha ascoltate da subito, vertici compresi, e non ha potuto che constatare che abbiamo ragione. Nella revoca, ha scritto che perfezionerà il documento, ma ci ha detto che di fatto non concederanno mai i feti o i resti abortivi a Difendere la vita con Maria o altre associazioni.
Resta in ballo il Comune, però.
Che è un pericolo, perché non ci ha neanche mai risposto. E, qualora ratificasse la concessione dell'area a Difendere la vita con Maria, i suoi attivisti potrebbero mettere croci “simboliche”. Noi abbiamo diffidato la giunta affinché ciò non avvenga, ma chissà. Certo, gli ultra-cattolici non avranno comunque a disposizione i feti di Civitavecchia, perché l'accordo con la Roma 4 manca e mancherà. È un primo passo, insomma.
Cosa suggerisce di fare alle donne di tutta Italia?
Di informarsi, studiare, unirsi. E di far leva sulle leggi a cui ci siamo affidate noi. Del resto, i cimiteri per feti aprono per le pressioni delle associazioni cattoliche nelle Asl, per la distrazione dei partiti progressisti, per mancanze interne, dei sindacati di categoria. Chi gli fa propaganda dentro gli ospedali? I medici, gli infermieri, il personale in prima persona; non solo gli attivisti di Difendere la vita con Maria. Ma noi, in ogni caso, siamo nel giusto, e siamo sicure di ciò che diciamo. Se una persona cattolica ritiene che i resti vadano seppelliti, nulla in contrario, ci mancherebbe: può farlo nella tomba di famiglia. Ma la legge non prevede cimiteri collettivi. Che, a livello simbolico, servono solo a colpevolizzare chi abortisce. E sono il tribunale dell'inquisizione perenne per le donne.
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