giovedì 27 aprile 2023

Bambini in carcere con le madri, una vita da reclusi: “Trattati come boss, Salvini venga a vedere come vivono” Rossella Grasso

 Viaggio nell’Icam di Lauro tra le mamme detenute con i loro bambini

“Questo è proprio un carcere e lo stanno facendo i bambini, un 41 bis. E soffrono”, dice una mamma. “Non lo so se mia figlia un domani mi potrà mai perdonare per dove l’ho portata. Ci penso ogni giorno. E mi fa stare male”. Sono questi i pensieri di due madri detenute insieme ai loro bambini nell’Istituto di Custodia Attenuata per Madri di Lauro, provincia di Avellino. Il Riformista ha potuto visitare il carcere insieme al Garante dei detenuti della regione Campania, Samuele Ciambriello, chiacchierare con le mamme che sono lì insieme ai loro figli e toccare con mano come vivono. “È un ossimoro dire mamme e carcere – ha detto Ciambriello entrando nella struttura – Qui dentro ci sono bambini da 3 o 5 anni. Come crescono? Io sono indignato”. Nell’Istituto di lauro ci sono 11 madri e 13 bambini. “Le mamme detenute possono tenere accanto i loro figli fino all’età di 8 anni, fino a qualche anno fa il limite era a 6”, spiega Ciambriello. Una scelta facoltativa per le madri che devono scontare una pena: “Io vengo dall’ordinario e non ho sofferto come soffro qua – racconta una mamma – Con il mio primo figlio ho preferito lasciarlo a casa e io scontare la pena da sola al carcere ordinario. Ma lui era a casa e soffriva per me. Adesso, il secondo figlio, ho deciso di tenerlo qui con me. Ma soffre. Se torna a casa dopo 15 giorni vuole la mamma. È piccolo, è normale. Che fare? Ti giuro qui stanno male. Io ho finito le lacrime a furia di piangere per questa situazione”.

“Sono qui da quasi un anno con mio figlio che ha 6 anni, ne aveva 5 quando è entrato”, dice una mamma. “Sto qua da 9 mesi, ho una bambina che quando siamo entrate aveva 3 anni. Ha festeggiato, per modo di dire, il suo quarto compleanno qui dentro”, racconta un’altra. La sua storia è emblematica perché si intreccia con il dramma della lungaggine della giustizia italiana. Racconta di stare scontando ora un reato commesso 13 anni fa quando era una persona diversa. E soprattutto di avere una figlia, all’epoca, non aveva nemmeno mai pensato. “Tredici anni dopo arriva la condanna – racconta – se avessi potuto scontare all’epoca la pena, ora mia figlia sarebbe a casa sua in grazia di Dio, non con me in carcere. Perché questo è un carcere, non una casa famiglia come tanti credono”. La mamma racconta al Riformista che quando è stata condannata al carcere a sua figlia ha detto che insieme dovevano andare al campeggio per un certo periodo. “Ho cercato in tutti i modi di non farle pesare questa situazione raccontandole che era solo una vacanza in un posto dove c’erano anche altri bambini – continua – All’inizio ci ha creduto, credo. Poi qui ha parlato anche con altri bambini che sono più grandi che sanno dove si trovano. Purtroppo tra di loro se ne parla. Io spero che con il lavoro che sto facendo riuscirò ad annebbiare il ricordo di mia figlia di questo posto. Ho provato a dirle che io devo restare qui per lavorare. Lei mi ha detto che vuole andare a casa dai fratelli e che soldi non ne vuole. A volte non so cosa dirle. Io ringrazio l’Icam perché da una parte mi ha dato la possibilità di essere qui con mia figlia ma davvero non so se un domani mia figlia mi potrà perdonare”.

L’ambiente dell’Icam non è proprio “penitenziario”: sui muri ci sono disegni dei personaggi Disney (alcuni un po’ scrostati), la sala colloqui è tutta colorata e a dimensione di bambino. In un’area comune all’aperto ci sono panchine, uno scivolo, qualche altalena e qualche altro gioco per i bambini. Giochi colorati che stagliano sul grigiore di sfondo: quello delle sbarre vicino alle finestre. Ogni mamma ha a disposizione una cella attrezzata come una sorta di piccolo appartamento per cercare di garantire al bambino una dimensione familiare. C’è la cucina dove la mamma può cucinare a pranzo e a cena, la camera da letto con un letto matrimoniale vero e un bagno con doccia e lavandino. “Comunque sono celle – racconta una mamma mostrando le foto appese nelle cornici – Qualcuno dice che sono mini-appartamenti ma sono celle”. Ogni mamma cerca di “arredare” la stanza come farebbe a casa con foto della famiglia e piccoli giochi. Qualcuna ha messo le tende alle finestre cercando di occultare le sbarre. Ma ci sono, è innegabile. “Io e mia figlia qui dentro passiamo il tempo da detenute, entrambi. Non facciamo nulla o quasi dalla mattina alla sera. Penso che non è giusto: non è il modo per educare noi o i bambini”, racconta ancora un’altra mamma.

Anche la porta della stanza-cella viene aperta e chiusa secondo i dettami del carcere. “Nei periodi invernali i passeggi sono chiusi presto – racconta una mamma – i bambini sanno già cosa vuol dire ‘assistente’, ‘apertura’, ‘chiusura’. Quando sentono il rumore delle chiavi hanno paura”. Le detenute raccontano una giornata tipo all’Icam: al mattino sveglia e colazione in cella, poi le mamme preparano i bimbi per andare a scuola. Uno scuolabus li prende e li accompagna a scuola o all’asilo e alle 16 li riporta all’Icam. Qualcuno fa anche delle attività pomeridiane come ad esempio il calcetto. “Di solito tornano alle 16 e la giornata è finita, si torna in stanza. Non c’è nient’altro da fare e lui dice sempre che si annoia – racconta ancora una madre – È seguito da uno psicologo ma spesso ha crisi di pianto o sfoga mangiando tutto quello che trova davanti. È l’unico modo che ha per sfogarsi”.

In realtà i bambini che sono nell’Icam sono liberi. Il problema e che dovrebbero avere qualcuno che li accompagna a fare attività e come in ogni carcere non sempre c’è il personale a disposizione. Le mamme raccontano che non possono lasciare la struttura, nemmeno per andare a parlare con le maestre o andare a vedere la recita o accompagnarli nel primo giorno di scuola. “Mia figlia ha fatto la prima recita della sua vita all’asilo. L’ho preparata io da qui, nella nostra stanza. L’ho dovuta salutare sull’uscio dell’Icam. Nonostante siano venuti i nostri familiari dalla Puglia per non farle mancare l’affetto, lei si è rifiutata di farla. Voleva la sua mamma e non poteva averla”.

“I nostri sono ‘i bambini reclusi’e vittime di pregiudizio fuori da qui – continua la mamma – Sono figli di detenuti e devono essere messi da parte. C’è una bambina che ha sentito parlare del panino del McDonald’s da uno degli ‘amici liberi della scuola’, come li chiamiamo noi, e voleva mangiarlo. Come fai a spiegarle che non lo può avere?”. C’è un’altra cosa che le mamme proprio non sanno come spiegare ai loro figli: “Ogni mese abbiamo i colloqui con i familiari e due telefonate a settimana – spiega una mamma – quando mio figlio piange che vuole parlare con il papà come faccio a dirgli che mamma ha finito il tempo? È giusto che il bambino debba aspettare?”.

“Per noi è come una terza carcerazione qui dentro perché vedi tuo figlio soffrire e non puoi fare niente”, racconta una madre. “Mi manca proprio fare la mamma – racconta un’altra mamma – Se io sto qua con mia figlia io credo che è per continuare a fare la mamma però poi non ci danno la possibilità di farlo”. Le parole delle mamme arrivano dritte al cuore come un pugno. Nei loro occhi c’è tutto il dolore di chi sa di aver sbagliato ma sa bene che la loro colpa è caduta ingiustamente anche sui figli e non se lo perdonano. Per loro è un dramma è quando pensano al loro presente e anche al loro futuro. “Mio figlio non ha mai vissuto fuori da qui – spiega un’altra donna – cosa penserà del mondo fuori? È come se qui dentro stesse diventando più cattivo, arrabbiato, aggressivo”.

Tra le difficoltà che le madri raccontano c’è il vitto. “Non viene dato in base alle esigenze del bambino – spiega Ciambriello – per cui le mamme devono ricorrere all’acquisto del sopravvitto, una spesa aggiuntiva che non sempre è sostenibile per loro. Ci vorrebbe una dieta specifica per i bambini non di quello che offre la gara al ribasso di una ditta. Servirebbe anche un pediatra che indichi una dieta adatta a un bambino e che fosse fisso perché adesso c’è solo per alcune ore e a chiamata. Ho chiesto anche maggiore personale femminile e personale che possa accompagnare più spesso i bambini fuori per attività all’aperto. Inoltre serve sostegno permanente per i bambini e le loro mamme, più educatori, assistenti sociali e pedagoghi”.

“Ho sentito che Salvini promuove la costruzione di altri posti come questo – dice una mamma, arrabbiata – ma lo sa cosa com’è vivere qui dentro con un figlio? Come vivono? Comunque ci sono le misure alternative: i domiciliari, le case famiglia,…perché non darci la possibilità di scontare lì le nostre pene senza far soffrire i nostri figli?”. Mentre la mamma parla è impossibile non pensare a come sarà quel drammatico momento del distacco, quello che alcune di loro dovranno vivere per forza di cose quando il bimbo sarà troppo grande per restare lì ma loro dovranno andare all’ordinario per finire la pena. Un dolore enorme che probabilmente il bambino non dimenticherà mai. E chissà come questo si trasformerà nella sua vita.

Samuele Ciambriello da tempo si batte insieme a Paolo Siani per l’eliminazione di luoghi di reclusione come l’Icam. Per quanto nell’istituto si veda lo sforzo enorme per rendere la vita delle detenute madri e dei loro figli più vivibile e meno traumatica, resta una situazione paradossale e problematica nella sua concezione. “Può continuare a esistere la maternità in carcere? Come cresce un bambino in carcere? Che tipo di affetto e di relazioni potrà mai avere? È vero, possono andare a scuola. Ma non è meglio per loro un luogo alternativo al carcere? Una non deve venire in carcere con i figli. L’anno scorso il parlamento ha approvato una legge per far uscire dal carcere i bambini, creando delle comunità di accoglienza. Ebbe solo 6 voti contrari. Quest’anno è stata bloccata al Senato”.

In tutta Italia ci sono 17 bambini detenuti con le loro madri, numero che negli ultimi giorni è lievemente aumentato. “In Italia non c’è più né fascismo né comunismo, c’è il giustizialismo che fa più morti alcune volte – continua Ciambriello – Il populismo politico e penale vuole che se una ha sbagliato deve andare in carcere. Peccato che qui ci sono anche persone accusate di piccolo spaccio con una condanna a tre anni. Perché non fargli vivere una misura alternativa al carcere? L’indifferenza è un proiettile silenzioso che uccide lentamente. Chiediamoci perché stanno qui loro con i figli. E chiediamoci perché 12mila minori in Italia e 6.400 in Campania vivono una disgregazione familiare, affettiva, familiare, economica. Quando ci occupiamo di loro? Quando commettono un reato grave? Non vorrei che la pubblicistica comune porti a non dare speranza a queste persone. Dico ‘No ai bambini in carcere’ e quindi liberando i bambini dobbiamo liberare anche le mamme. Lo so a volte la politica tra il dire e il fare ci mette il mare. Io chiedo di mettere il coraggio. Dobbiamo intervenire per ricucire queste vite disgregate altrimenti queste lacerazioni crescono. E i ragazzi che vivono qui dentro che idea si fanno? Non solo dei genitori ma dello Stato. Uno Stato vendicativo? Occorre liberare i minori ed educare gli adulti”.

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