mercoledì 22 gennaio 2020

"Il sessismo incide sulla violenza contro le donne, la Rai non deve esprimere questa cultura" By Luciana Matarese

Sul caso Amadeus-Cally al festival di Sanremo parla la magistrata Paola Di Nicola: "La presunta libertà artistica è una grande ipocrisia, l’ennesimo alibi per perpetuare modelli che alimentano la violenza"
“La Rai dovrebbe fare il massimo per non esprimere una certa cultura, basata su modelli che perpetuano la violenza contro le donne”. E poi: “Altrimenti è inutile fare leggi contro la violenza sulle donne”. E ancora: “La vita di una donna vale certamente più di una canzone”. Si parla del caso Sanremo e Paola Di Nicola, magistrata, attualmente all’ufficio Gip del Tribunale di Roma, richiama la convenzione di Istanbul, il documento del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Per lei, da anni impegnata nella lotta agli stereotipi che ancora gravano sulle donne, le frasi pronunciate da Amadeus nella conferenza stampa di presentazione della settantesima edizione del Festival della canzone italiana e la partecipazione alla gara del cantante, Junior Cally, che ha sollevato un’ondata di indignazione e proteste bipartisan per i suoi testi controversi, trasmettono un modello culturale in cui le donne sono ancora una volta rappresentate attraverso stereotipi. “Quello che è successo è in linea con le obiezioni mosse di recente dal Consiglio d’Europa al nostro Paese”, scandisce la magistrata.

In che senso, scusi?

“Qualche giorno fa, il 13 gennaio per la precisione, il Consiglio d’Europa ha consegnato il suo monitoraggio sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia. Tra i principali rilievi mossi figura proprio l’atteggiamento stereotipato e di pregiudizio verso le donne da parte dei mass media e dei luoghi in cui esse sono rappresentate. La violenza contro le donne nasce e si alimenta in una cultura basata sull’immagine del genere femminile ridotta a puro corpo”.

Nel presentare le donne che lo affiancheranno a Sanremo, Amadeus, conduttore e direttore artistico della kermesse, ha sottolineato: “Sono tutte molte belle”.

“Il Festival di Sanremo è un luogo simbolo del Paese, seguito da milioni di telespettatori. Se riproponiamo anche in questa sede, così forte dal punto di vista simbolico, l’immagine delle donne che sono solo bellezza e non hanno altre capacità derivanti dai loro meriti, non facciamo che potenziare quel modello che è il brodo di coltura della violenza di genere. E allora diventa inutile fare leggi contro la violenza se poi milioni di persone si trovano ad assistere ad una rappresentazione della donna che è puro corpo, da omaggiare, toccare, violare. Per questo bisogna cogliere il monito del Consiglio d’Europa”.

Cioè?

“Secondo il Consiglio d’Europa siamo in ritardo rispetto alla diffusione di un corretto modello di rappresentazione culturale della donna. Per questo ha inteso incoraggiare le autorità italiane ad assumere misure attive e durevoli per promuovere dei cambiamenti nei comportamenti sociali e culturali sessisti degli uomini fondati sul concetto di inferiorità delle donne al fine di eliminare il sessismo e gli stereotipi di genere. Mi piace sempre ricordare che le cause della violenza sono soprattutto gli stereotipi sulle donne”.

Torniamo a Sanremo. Amadeus si è difeso respingendo le accuse di sessismo, mosse alle sue dichiarazioni.

“Il sessismo nel nostro Paese, sia quello benevolo che quello malevolo, è ancora più pericoloso che altrove perché non è riconosciuto, in quanto appartiene alla nostra cultura. È grave non esserne consapevoli perché vuol dire che non si conosce qual è il ruolo delle donne nella società. Sarebbe opportuno, in linea con quanto evidenziato dal Consiglio d’Europa e con una corretta applicazione della Convenzione di Istanbul, che manifestazioni come il Festival di Sanremo fossero presentate da donne e uomini che conoscano i pregiudizi di genere e quanto questi incidano nella diffusione della violenza contro le donne”. 

Cosa dovrebbe fare la Rai, secondo lei? 

“Se non si prendono contromisure, l’Italia rischia di violare la Convenzione di Istanbul, che è una legge dello Stato e impone agli Stati di non consentire la trasmissione di messaggi fuorvianti e modelli stereotipati contro le donne. Come Stato italiano abbiamo l’obbligo di una rappresentazione delle donne sui mass media non stereotipata. Se lo si fa, sia pure inconsapevolmente, si genera e si naturalizza la violenza. Se poi ci metti pure il cantante il quadro è completo”.

Ecco, nelle ultime ore è esploso, tra molte polemiche, il caso della partecipazione alla gara del dj Junior Cally. Per il presidente della Rai, Foa, una “scelta eticamente inaccettabile”. Lei che ne pensa?

“Penso che la Rai abbia tutti gli strumenti per assumere la posizione più corretta tenendo ben presente che la violenza contro le donne va contrastata a partire dai modelli e quindi un cantante che racconta un femminicidio non per condannarlo non può costituire un modello. Il Festival è seguito da minorenni, persone in formazione: una canzone rischia di diventare patrimonio culturale della nazione, dunque, attraverso le sue strofe potrebbe trasmettere la naturalità di un crimine. Non possiamo consentirlo in un Paese in cui ogni 72 ore viene uccisa una donna - in quanto donna e in quanto esercita una qualsiasi forma di libertà - e che ha approvato il Codice rosso. Le leggi non sono sufficienti, per fermare i femminicidi serve soprattutto altro”.

 Cosa serve soprattutto?

“È indispensabile un lavoro di trasmissione culturale di modelli adeguati. Politica, associazioni, magistratura e forze di polizia il loro lo fanno, perché non deve farlo la Rai? Da magistrata io posso celebrare mille processi, ma anche una sola canzone può annullare tutto il lavoro che ho fatto. Perché le canzoni hanno una capacità di trasmissione di modelli di cui non si è in grado di comprendere fino in fondo l’impatto. E comunque la Rai, che è servizio pubblico, è obbligata a rispettare una legge dello Stato”.

Junior Cally dovrebbe essere espulso dalla gara?

“Non è mestiere mio dire cosa dovrebbero fare altri. Io, come in questo caso, sollecito ad assumere i comportamenti più adeguati al caso”.

 Non c’entra la libertà artistica?

“No, no e no. La presunta libertà artistica è una grande ipocrisia, l’ennesimo alibi per perpetuare modelli che alimentano la violenza. La vita di una donna vale più di una canzone, su questo non c’è dubbio. E quindi se devo scegliere tra una canzone e la vita di una donna devo scegliere quest’ultima. La violenza contro le donne nasce dai modelli trasmessi in tutti i contesti. E non c’è alibi che tenga”.


https://www.huffingtonpost.it/entry/il-sessismo-incide-sulla-violenza-contro-le-donne-la-rai-non-deve-esprimere-questa-cultura_it_5e25fbb7c5b673621f7a496b?fbclid=IwAR2AhJSJh9KDHr_T3DmvVRMic1pNmRQnrpLMIDNA6CR979rFPDIpqHvfjeE



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