La modalità in cui viene presentata una opportunità, a volte, genera più motivazione dell’opportunità stessa. Allo stesso modo il coinvolgimento di una persona in un progetto può essere stroncato attraverso una comunicazione non adeguata o disincentivante. Come in uno sliding doors, il modo (più che la sostanza dell’offerta) possono cambiare le sorti di una carriera o di una selezione.
Nel mio percorso da sportivo professionista il passaggio da attaccante a difensore non appariva una grande opportunità per chi, come me, sognava di segnare goal a ripetizione.
“Le azioni partono dalla difesa e da lì potrai condurre la distruzione del gioco avversario e a guidare la ripartenza della squadra. Il tuo fisico e la velocità potranno renderti capace di goal importanti in contropiede”.
Sono bastate poche parole del mio allenatore per cambiare la mia visione del nuovo ruolo che mi veniva assegnato. Pensavo di dover recuperar palloni per chi poi avrebbe finalizzato il gioco, e invece mi ritrovavo a giocare come protagonista della costruzione del gioco della mia squadra, oltre che a difesa della nostra porta. Ma come sarebbero andate le cose se il mio coach non avesse avuto la capacità di presentarmi l’idea di cambiamento in chiave positiva?
Nei colloqui di lavoro si ripetono spesso situazioni simili: l’immagine del ruolo che viene trasferita in fase di selezione è la base su cui il candidato o la candidata potrà costruire la propria motivazione ad entrare in azienda e a dare il meglio all’interno dell’organizzazione. Ma è ipotizzabile che esistano delle barriere all’ingresso che derivano proprio dalla modalità con cui la posizione viene descritta durante il colloquio? È possibile, ad esempio, che lo stesso ruolo venga raccontato in modo diverso ad un candidato uomo rispetto ad una donna? Come questo aspetto potrebbe influenzare il gender gap?
Della risposta a queste domande si è occupato uno studio, recentemente pubblicato da Organizational Behavior and Human Decision Processes, che si prefiggeva di indagare possibili pregiudizi di genere nell’impostare la comunicazione funzionale ad un colloquio di assunzione per posizioni di leadership (“It’s a man’s world! the role of political ideology in the early stages of leader recruitment” B. Oc, E. Netchaeva, M. Kouchakic)
Lo studio
I ricercatori hanno coinvolto un gruppo di persone assegnando loro l’incarico di condurre per un’azienda immaginaria una selezione per una posizione manageriale. In questo gruppo di selezionatori sono state individuate figure più aperte al cambiamento ed altre più orientate a mantenere lo status quo. Per creare questa divisione tra i reclutatori, il gruppo di ricercatori è partito dall’ipotesi che l’ideologia politica possa essere un buon rilevatore di bias (stereotipi). Sono stati così costruiti due “team” di pari numerosità distribuendo equamente le persone di stampo più conservatore e quelle più inclini al cambiamento. Un gruppo avrebbe simulato la selezione con il candidato uomo e l’altro con la candidata donna.
Nonostante tutti i partecipanti avessero ricevuto le medesime informazioni sull’azienda e sulla posizione, è emerso in maniera evidente come l’uso delle stesse sia stato differente durante i colloqui: la maggior parte dei “selezionatori” con idee più conservatrici ha presentato al candidato uomo un maggior numero di informazioni positive sulla posizione e sull’azienda, rispetto a quanto fatto con la candidata donna. La medesima situazione si è verificata quando ai selezionatori è stato chiesto di preparare una mail per descrivere la posizione: le parole usate con l’uno e con l’altra non sono state le stesse. Al contrario, le persone identificate come più inclini a ricercare il cambiamento non hanno mostrato questa tendenza e si sono mossi con la stessa modalità comunicativa con entrambi i candidati.
Il gender gap parte dai colloqui
Nel mercato del lavoro, è cosa nota, esiste ancora una grossa disparità, ovviamente a favore del genere maschile, tra il numero di uomini e di donne in posizioni apicali. Purtroppo questa ricerca non fornisce indicazioni incoraggianti. Guardando i dati, infatti, se una metà del gruppo attraverso una comunicazione neutrale ha favorito una decisione equa, una seconda metà ha invece involontariamente spinto verso un non cambiamento che tende a mantenere questo gap di genere a favore dell’uomo.
Appare pertanto evidente che le battaglie svolte fino ad oggi per promuovere la meritocrazia e superare le discriminazioni si scontrano ancora con condizionamenti culturali e psicologici, tanto radicati quanto persino involontari. Fino a quando questi ostacoli non saranno riconosciuti e superati, il “leadership gender gap” continuerà a esistere anche in fase selettiva. Sicuramente questo divario si è ridotto negli ultimi decenni grazie anche alle politiche che in tutto il mondo tendono a superare la discriminazione di genere, ma i pregiudizi persistono. Il Global Gender Gap Report 2021 del World Economic Forum ha rilevato che “c’è ancora un divario medio di genere del 31,4% che deve essere colmato a livello globale”, confermando che la strada da percorrere è ancora lunga.
Durante i processi di selezione, nella stragrande maggioranza dei casi, è il “recruiter” stesso a definire la modalità di presentazione della posizione alle candidate ed ai candidati. La consapevolezza che tali modalità possano essere, anche involontariamente, piene di pregiudizi dovrebbe spingere le direzioni risorse umane a riflettere sul modo di porsi e di relazionarsi con i potenziali e le potenziali aspiranti.
Un’ipotesi potrebbe essere quella di integrare i processi di selezione con strumenti che garantiscano uniformità di informazioni, ad esempio, attraverso l’utilizzo di video o podcast a disposizione di tutti i candidati. Qualunque sia il correttivo adottato, la consapevolezza rispetto ad una possibile soggettività delle modalità di comunicazione è il primo passo per guidare un processo che miri ad essere sempre meno influenzato dai pregiudizi di genere e agli errori umani. Confidiamo che persone ed aziende lavorino proprio sulla crescita di questa consapevolezza per dare una spinta ancor più forte e più profonda alla tanto agognata riduzione del gender gap all’interno delle aziende.
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