mercoledì 21 aprile 2021

L’avvocata " Il consenso va dimostrato Erano in quattro contro una ragazza" di Maria Novella De Luca

Intervista a Teresa Manente di "Differenza donna"

«Dietro le parole di Grillo, così come, purtroppo, dietro molti processi per stupro in cui ancora oggi le vittime faticano ad essere credute, c’è lo stereotipo per cui la donna è sempre sessualmente disponibile. E che lo stupro non sia, come invece è, un delitto, ma una forma di sessualità eccessiva. Del resto Grillo lo dice, in modo grottesco: quei quattro si stavano divertendo». 

Teresa Manente, avvocata penalista, responsabile dell’ufficio legale di "Differenza donna" di vittime della violenza maschile ne ha difese, con successo, centinaia. «Dietro il concetto di "consenso", si gioca sempre la difesa degli stupratori. Ma oggi abbiamo leggi e sentenze della Cassazione che impongono agli accusati una rigorosissima dimostrazione di quel consenso».

Manente, come giudica le parole di Grillo?

«Terribili e incaute da un punto di vista giudiziario. Solo il fatto che in quella villa, fossero in quattro contro una ragazza e questa ragazza il giorno dopo ha denunciato uno stupro, rende credibile il suo racconto».

Loro affermano che lei era d’accordo.

«E quale dissenso puoi dimostrare se sei sola contro quattro? Magari hai pure bevuto, ma capisci che se resisti potresti avere conseguenze peggiori? Lo stupro è una sorta di omicidio per una donna, un processo per stupro è un dolore inenarrabile.

Quante possono mentire?».

Ma come si dimostra in tribunale, in mancanza di referti medici, una violenza sessuale? Anche mesi e mesi dopo?

«L’accusato deve dimostrare il consenso e la vittima il dissenso. E proprio perché sappiamo quali sconvolgimenti subisce una donna dopo uno stupro, il legislatore ha allargato i tempi in cui si può sporgere querela fino a un anno. Le donne escono spezzate dalla violenza sessuale, afone. Per questo le denunce arrivano anche mesi dopo. Gli otto giorni della giovane che accusa il figlio di Grillo sono niente, nulla».

Torniamo al consenso. E al dissenso.

«Per dimostrare che la donna "ci stava" gli accusati utilizzano ogni mezzo: com’era vestita, che vita faceva, perché era salita in quella casa, non era scappata, non aveva urlato, si era vestita in modo così sexy. La tecnica è: colpevolizzare la vittima, dimostrare che era "facile". Contro tutto questo però ci sono la parola della donna e la legge».

Non credo basti la parola della vittima.

«No, certo, sono processi difficilissimi e lunghi. Ma una donna che ha subito uno stupro, lo dico sulla base dei tanti casi in cui ho ottenuto condanne dei violentatori, riesce a ricostruire, dopo, con una precisione assoluta cosa le è successo. Da qui partono riscontri, indagini, testimonianze. Chi ha subito quella ferita non mente. Grazie ai cambiamenti della giurisprudenza oggi il famoso "consenso" deve essere provato davvero, in ogni passaggio del rapporto si deve dimostrare che non c’è stata coercizione. Per questo nei tribunali oggi possiamo vincere».

Parole terribili, ma incaute dal punto di vista giudiziario C’è lo stereotipo della donna  sempre disponibile per il sesso 

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