Sei università
milanesi, Bicocca, Statale, Politecnico, Iulm, San Raffaele e Bocconi
hanno creato il Centro interuniversitario in culture di genere, un
polo «di riferimento accademico» ma anche «per il territorio, per
Milano e la regione» spiega Carmen Leccardi, direttrice scientifica
del centro, sociologa, presidente dell’European sociological
association e già fondatrice del centro ABCD dell’Università
Bicocca. E’ il primo polo di ricerca sul genere così grande in
Italia, dove i “women’s studies” si sono sviluppati nelle
università solo negli ultimi anni. Qui verranno studiate tematiche
di genere come la lotta alla violenza, al femminicidio, agli
stereotipi, con l’intenzione di «costruire relazioni tra sapere
accademico e vita quotidiana delle donne». Un percorso iniziato due
anni fa che vuole aprirsi non solo al territorio italiano,ma
internazionale, perché «è importante ragionare in chiave
comparativa, altrimenti i dati rischiano di essere insoddisfacenti»
spiega la direttrice.
“Saremo un punto di
riferimento omogeneo quando si cercano notizie su pensioni, mercato
del lavoro e rappresentazione mediatica della donna» continua
Leccardi ma «vogliamo coinvolgere le stesse associazioni femminili».
Nel progetto ci sono già due associazioni, Donne in quota e Amiche
di Abcd, entrambe nate in due università milanesi, in Statale e in
Bicocca in occasione dei corsi annuali “Donne politiche e
istituzioni” promossi dal ministero delle Pari opportunità e
arrivati quest’anno alla sesta edizione anche se manca il
rifinanziamento per il prossimo anno.
Leccardi in questi mesi
è impegnata con una ricerca sulle nuove soggettività femminili cioè
«come le giovani donne reagiscono a questa situazione di chiusura
del mercato del lavoro e di stallo nel riconoscimento della capacità
di essere soggetti». C’è la precarietà, la maternità sempre più
difficile, la violenza: «Fermo restando l’importanza della difesa
di diritti fondamentali, come il diritto a non essere vittima di
violenza, di disporre del proprio corpo ed altri diritti fondamentali
legate alle lotte degli anni Settanta, emergono nuove rivendicazioni,
il diritto a esprimere le proprie capacità e competenze» spiega la
sociologa. «Stiamo parlando di giovani donne sempre più
scolarizzate, più degli uomini, che però vedono un mancato
riconoscimento delle loro competenze nella società, c’è una
discrasia tra quello che sanno e quello che viene loro riconosciuto,
una differenza marcata tra le aspettative di riconoscimento e il
riconoscimento effettivo». I gruppi di studio coinvolgono solo
giovani di collettivi femministi che provengono da tutta Italia, la
ragione? «Penso sia importante guardare a questi nuovi ambiti di
soggettività come quando guardiamo alle minoranze attive per
guardare in che direzione procedere» e questi collettivi esprimono
una «nuova critica (rispetto al pensiero femminista degli anni
Settanta, ndr) alla mercificazione dei rapporti sociali, alla visione
neo liberista, al ruolo di cura».
Altro filone di ricerca
sono gli stereotipi che Leccardi e il suo team di ricerca hanno
indagato nelle scuole milanesi, e nei prossimi mesi organizzeranno
uno spettacolo teatrale «a conclusione del percorso fatto».
«Abbiamo notato che
continuano ad essere diffusi anche negli studenti delle scuole medie
superiori una serie di stereotipi e pregiudizi sulle differenze di
genere. Persiste la convinzione che le donne sarebbero incapaci di
esercitare delle forme di giudizio razionale, che siano preda
dell’emotività, meno affidabili dal punto di vista delle
responsabilità, esclusivamente attratte da modelli maschili
seduttivi. Abbiamo visto che aderire agli stereotipi di genere
produce un senso comune molto ostile alle donne, che non esprime le
sue potenzialità negative nel mondo della scuola ma nel mondo del
lavoro sì, producendo delle situazione estremamente critiche, sia
nelle relazioni lavorative che tra i generi». In conclusione, per i
giovani, emerge una «nuova difficoltà a costruirsi come soggetti a
tutto campo: uomini che esprimono la propria presenza nel mondo anche
in riferimento a qualità femminili e donne, viceversa, che scelgono
anche strade che richiamano doti e virtù maschili, questa
flessibilità nella costruzione dell’identità trova un’ostacolo
nella riproduzione di vecchi stereotipi».
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