lunedì 20 gennaio 2014

Nasce il centro interuniversitario in culture di genere La direttrice del centro, Carmen Leccardi: “I giovani hanno difficoltà a superare vecchi stereotipi”


Sei università milanesi, Bicocca, Statale, Politecnico, Iulm, San Raffaele e Bocconi hanno creato il Centro interuniversitario in culture di genere, un polo «di riferimento accademico» ma anche «per il territorio, per Milano e la regione» spiega Carmen Leccardi, direttrice scientifica del centro, sociologa, presidente dell’European sociological association e già fondatrice del centro ABCD dell’Università Bicocca. E’ il primo polo di ricerca sul genere così grande in Italia, dove i “women’s studies” si sono sviluppati nelle università solo negli ultimi anni. Qui verranno studiate tematiche di genere come la lotta alla violenza, al femminicidio, agli stereotipi, con l’intenzione di «costruire relazioni tra sapere accademico e vita quotidiana delle donne». Un percorso iniziato due anni fa che vuole aprirsi non solo al territorio italiano,ma internazionale, perché «è importante ragionare in chiave comparativa, altrimenti i dati rischiano di essere insoddisfacenti» spiega la direttrice.
“Saremo un punto di riferimento omogeneo quando si cercano notizie su pensioni, mercato del lavoro e rappresentazione mediatica della donna» continua Leccardi ma «vogliamo coinvolgere le stesse associazioni femminili». Nel progetto ci sono già due associazioni, Donne in quota e Amiche di Abcd, entrambe nate in due università milanesi, in Statale e in Bicocca in occasione dei corsi annuali “Donne politiche e istituzioni” promossi dal ministero delle Pari opportunità e arrivati quest’anno alla sesta edizione anche se manca il rifinanziamento per il prossimo anno.
Leccardi in questi mesi è impegnata con una ricerca sulle nuove soggettività femminili cioè «come le giovani donne reagiscono a questa situazione di chiusura del mercato del lavoro e di stallo nel riconoscimento della capacità di essere soggetti». C’è la precarietà, la maternità sempre più difficile, la violenza: «Fermo restando l’importanza della difesa di diritti fondamentali, come il diritto a non essere vittima di violenza, di disporre del proprio corpo ed altri diritti fondamentali legate alle lotte degli anni Settanta, emergono nuove rivendicazioni, il diritto a esprimere le proprie capacità e competenze» spiega la sociologa. «Stiamo parlando di giovani donne sempre più scolarizzate, più degli uomini, che però vedono un mancato riconoscimento delle loro competenze nella società, c’è una discrasia tra quello che sanno e quello che viene loro riconosciuto, una differenza marcata tra le aspettative di riconoscimento e il riconoscimento effettivo». I gruppi di studio coinvolgono solo giovani di collettivi femministi che provengono da tutta Italia, la ragione? «Penso sia importante guardare a questi nuovi ambiti di soggettività come quando guardiamo alle minoranze attive per guardare in che direzione procedere» e questi collettivi esprimono una «nuova critica (rispetto al pensiero femminista degli anni Settanta, ndr) alla mercificazione dei rapporti sociali, alla visione neo liberista, al ruolo di cura».
Altro filone di ricerca sono gli stereotipi che Leccardi e il suo team di ricerca hanno indagato nelle scuole milanesi, e nei prossimi mesi organizzeranno uno spettacolo teatrale «a conclusione del percorso fatto».
«Abbiamo notato che continuano ad essere diffusi anche negli studenti delle scuole medie superiori una serie di stereotipi e pregiudizi sulle differenze di genere. Persiste la convinzione che le donne sarebbero incapaci di esercitare delle forme di giudizio razionale, che siano preda dell’emotività, meno affidabili dal punto di vista delle responsabilità, esclusivamente attratte da modelli maschili seduttivi. Abbiamo visto che aderire agli stereotipi di genere produce un senso comune molto ostile alle donne, che non esprime le sue potenzialità negative nel mondo della scuola ma nel mondo del lavoro sì, producendo delle situazione estremamente critiche, sia nelle relazioni lavorative che tra i generi». In conclusione, per i giovani, emerge una «nuova difficoltà a costruirsi come soggetti a tutto campo: uomini che esprimono la propria presenza nel mondo anche in riferimento a qualità femminili e donne, viceversa, che scelgono anche strade che richiamano doti e virtù maschili, questa flessibilità nella costruzione dell’identità trova un’ostacolo nella riproduzione di vecchi stereotipi».

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