"Temo che
anche in questo caso siamo di fronte alla logica consueta che entra
in azione in Italia quando si toccano questioni che hanno a che fare
con la famiglia: si arriva con ritardo a regolare ciò che altrove da
tempo fa parte dei diritti di libertà e in nome di questo ritardo si
pretende di procedere lentamente, perché la società “non sarebbe
pronta”.
L’IDEA che ci
debba essere un privilegio paterno, almeno nella continuità del
cognome, continua a prevalere tra i nostri legislatori. Il disegno di
legge sul cognome che può essere attribuito ai figli approvato dal
Consiglio dei ministri sembra partire con il piede sbagliato,
rischiando così di incorrere di nuovo nella censura della Corte di
Strasburgo. Secondo le notizie di agenzia, il disegno di legge
prevede che il figlio «assume il cognome del padre ovvero, in caso
di accordo tra i genitori risultante dalla dichiarazione di nascita,
quello della madre o quello di entrambi i genitori». Questa
formulazione ancora una volta privilegia il cognome paterno, che
verrebbe attribuito di default, mentre per attribuire il cognome
materno o quello di entrambi i genitori occorrerebbe una esplicita
richiesta e dichiarazione di consenso. In ottemperanza al principio
di libertà di scelta nelle questioni che riguardano la vita privata
e della uguaglianza tra madri e padri, la norma dovrebbe essere
formulata in modo da non privilegiare alcuna delle tre soluzioni,
chiedendo che all’atto della dichiarazione di nascita,
eventualmente prima che essa avvenga, i genitori dichiarino quale
cognome vogliono attribuire al figlio. La procedura sarebbe simile a
quella richiesta oggi quando il padre non coniugato con la madre
vuole riconoscere il figlio dandogli il proprio cognome.
Non è, inoltre,
chiaro perché non dovrebbe essere possibile almeno aggiungere il
cognome della madre ai figli nati prima dell’entrata in vigore
della legge. Capisco le difficoltà burocratiche, ma anche di
continuità della riconoscibilità sociale di un individuo, a
prevedere un cambiamento radicale di cognome. Ma la possibilità di
aggiungerlo senza dover fare lunghissime trafile burocratiche come
avviene attualmente non dovrebbe presentare problemi insormontabili e
soddisferebbe coloro che avrebbero desiderato farlo, ma ne sono stati
scoraggiati, quando non impediti. Contestualmente si dovrebbe
modificare la norma che stabilisce che all’atto del matrimonio la
moglie aggiunge al proprio il cognome del marito, lasciando liberi
entrambi i coniugi di aggiungere o meno il cognome dell’altro e di
definire quale sia il cognome di famiglia.
Giacciono in
Parlamento diverse proposte di legge che toccano questi temi, ma
sembra che la presidenza del Consiglio, o chi ha formulato il disegno
di legge, li ignorino. Temo che anche in questo caso siamo di fronte
alla logica consueta che entra in azione in Italia quando si toccano
questioni che hanno a che fare con la famiglia: si arriva con ritardo
a regolare ciò che altrove da tempo fa parte dei diritti di libertà
e in nome di questo ritardo si pretende di procedere lentamente,
perché la società “non sarebbe pronta”. È successo con il
divorzio, arrivato tardi e con vincoli (processo a due stadi, con
lungo periodo di attesa intermedio) sconosciuti in altri Paesi. È
successo con l’equiparazione piena tra figli naturali e legittimi,
per cui ci sono voluti oltre quarant’anni, più un anno tra la
modifica della legge e i decreti attuativi. È successo con la
riproduzione assistita, che è regolata da una delle leggi più
restrittive al mondo. Sta succedendo con il riconoscimento delle
coppie omosessuali, per le quali si inizia, tra molte resistenze, a
discutere di unioni civili, mentre i Paesi che le hanno introdotte da
più tempo stanno passando al matrimonio. E sembra stia succedendo
anche con il cognome. Nel frattempo, in società, le famiglie, i
rapporti tra uomini e donne, il modo in cui si decide di generare, i
rapporti tra le generazioni cambiano e in molti casi rischiano di
rimanere fuori, non solo dalle regole, ma dalle protezioni. Fino alla
prossima sentenza di una Corte.
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