Un ricordo a partire
dalle sue parole in "La donna contro se stessa"di Monica
Lanfranco
“…il femminismo –
accettato o osteggiato, discusso con scientifico distacco o
pubblicizzato nei modi tipici del consumismo culturale, contestato o
addirittura rifiutato con i più rigidi viscerali sbarramenti
difensivi – è ormai comunque, irreversibilmente, una costante del
panorama umano e sociale, in Italia come in tutti i paesi
dell’Occidente. Provocatoriamente presente nei settori più diversi
della vita associata, culturale e politica, pronto allo scatto della
protesta dovunque più vistosa si esprima la violenza antifemminile,
capace di mobilitare da un giorno all’altro decine di migliaia di
donne nei momenti cruciali delle sue battaglie; movimento di massa
che ha ormai superato i confini elitistici, intellettuali e borghesi
della sua origine, per conquistare fabbriche, scuole di ogni ordine e
grado, province depresse, periferie proletarie e sotto proletarie,
che ha contribuito a rivitalizzare e orientare tutte le
organizzazioni femminili preesistenti, che inevitabilmente si impone
all’attenzione, al confronto e al calcolo dei partiti politici;
forte di una sempre più vasta e spesso più altamente qualificata
letteratura specialistica e di tutto un corredo di centri di
produzione, teatri, librerie, case editrici, consultori, gruppi di
studio e di documentazione, circoli di lavoro per quartieri;
soprattutto portatore di un’analisi che non solo ha affrontato la
realtà femminile in tutta la molteplicità delle sue innumerevoli
facce, evidenti e nascoste, ma che ha capovolto l’ottica delle
precedenti analisi, tendenti a circoscrivere la questione nell’ambito
dello sfruttamento capitalistico, per la rimessa in discussione di
una politica prevalentemente economicistica.
Il femminismo infatti
muove non più dall’osservazione del ‘sociale’ ma del ‘privato’
(cioè di quel ‘vissuto’ in cui ogni donna quotidianamente
sperimenta la propria sudditanza, attraverso gli eventi spiccioli
della più minuta fenomenologia esistenziale come nello scontro coi
più gravi e coinvolgenti problemi della maternità, della
sessualità, del lavoro domestico obbligato) per un confronto e una
verifica fra donne dove i più drammatici conflitti, da sempre
gestiti e sofferti in solitudine, come fatti strettamente personali e
non condivisibili, si rivelano dato costante di una condizione
comune, problema non più privato quindi, ma ‘sociale’, dunque
‘politico’”.
Le righe precedenti
sono state scritte nel 1977 da Carla Ravaioli nella prefazione alla
seconda edizione (nove anni dopo la prima), del suo libro La donna
contro se stessa. Un testo che ha formato due generazioni di donne,
impegnate nella sinistra e nel femminismo: da oggi è per intero
pubblicato qui http://www2.rifondazione.it/primapagina/?p=10177,
perché il libro è ormai introvabile anche nelle biblioteche
specializzate.
Carla Ravaioli,
giornalista, saggista, femminista, ambientalista e fino all’ultimo
comunista di un comunismo umanista contaminato dai filoni di pensiero
critico che per questo l’hanno allontanata dal potere, forse si è
uccisa il 15 gennaio scorso, allo scoccare del suo novantunesimo
compleanno.
Poco importa, a questo
punto, se si sia trattato di un suicidio o di una morte sopraggiunta
per malore. La vita di Carla Ravaioli è stata intensa, di
formidabile esempio e stimolo per le donne e gli uomini che cerchino
una visione divergente, critica e mai domata sul reale. Personalmente
so che, a distanza di quarant’anni, devo anche a lei l’intuizione
per lo sviluppo del lavoro che ora sto facendo con Uomini che odiano
amano le donne e il teatro sociale per uomini con Manutenzioni-Uomini
a nudo.
Lei aveva già capito,
nel 1973, come uno dei bandoli della matassa da sbrogliare nelle
relazioni tra i generi fosse quello del silenzio maschile sulla
sessualità: Maschio per obbligo (così si chiama il libro), era
allora già più avanti rispetto alla stessa contestazione femminista
dell’epoca, in famiglia così come nel pubblico.
Mi piace ricordarla a
chi la conosceva, e a chi invece non sapeva nulla di lei (sperando
che qualche editore decida di stampare nuovamente almeno qualche suo
titolo) con queste parole, scritte sempre nell’introduzione citata
sopra: “Questo infatti – ma me ne accorgo solo oggi – è stato
soprattutto per me ‘La donna contro se stessa’: il tentativo di
spiegare certi miei comportamenti, autolimitazioni, blocchi
improvvisi dopo rincorse a perdifiato, paure di essere quello che
volevo, o credevo di volere, confini che io stessa ponevo a una
scelta di vita che pure avevo fatto fin da giovanissima (niente
matrimonio figli famiglia, lavorare, campare con le mie forze,
mettermi in piedi uno straccio di vita che avesse un senso senza che
un uomo ne fosse garante e mediatore); il bisogno di oggettivare la
mia fatica di donna inquadrandola e proiettandola nella condizione di
tutte le donne”
18|01|14
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