L’espressione,
“grande piano nazionale di fertilità”, non è sicuramente delle
più felici, e nemmeno l’idea di “educare alla maternità”.
Specialmente in bocca a una donna, la ministra per la Salute Beatrice
Lorenzin, che come capita spesso alle ministre e alle donne politiche
sembra dimenticare di esserlo anche lei. Parole, le sue, che
ricordano fatalmente i tempi bui dei figli alla patria e fanno
pensare alle donne come mansuete fattrici.
In un’intervista ad
“Avvenire” la ministra ha infatti affermato che
“i bambini devono
tornare a nascere e serve educare alla maternità. Ho in testa una
nuova sfida, un grande piano nazionale di fertilità. Il crollo
demografico è un crollo non solo economico, ma anche sociale. È una
decadenza che va frenata con politiche di comunicazione, di
educazione e di scelte sanitarie. Bisogna dire con chiarezza che
avere un figlio a trentacinque anni può essere un problema, bisogna
prendere decisioni per aiutare la fertilità in questo Paese e io ci
sto lavorando. Sia chiaro: nessun retropensiero e nessuno schema
ideologico, ma dobbiamo affrontare il tema di un Paese dove non
nascono i bambini“.
La denatalità è
senz’altro un problema: siamo il Paese più vecchio d’Europa, e
tanti di quei pochi giovani sono costretti ad andarsene per campare.
Quindi anche i loro figli non saranno “nostri”, se è possibile
dirla in questo modo. Nei panni della ministra, però, le cose le
avrei messe così:
è necessaria, certo,
un’”educazione alla maternità”, rivolta al mondo dell’impresa
che -vedi dimissioni in bianco e tutto il resto- pensa la gravidanza
come un lusso o una peste, e le giovani madri come una iattura. Ma
anche alla politica, che perpetua l’idea dell’alternativa secca
tra lavoratrici e madri (o sei una cosa, o sei l’altra: e se sei
l’altra te ne stai tranquilla a casa) ignorando il dato statistico
che dimostra la correlazione positiva tra tasso di occupazione
femminile e natalità.
Per rieducare la
politica è necessario rompere con questo pregiudizio, radicato nel
desiderio maschile, che la donna resti a casa a fare la madre, a
completa disposizione. Questo è uno degli aspetti della nostra
tenace questione maschile. Sono gli uomini a dover essere educati
alla maternità.
Educazione alla
maternità significa mettere al centro delle politiche questa coppia
madre-bambino, le cui raffigurazioni abbondano nelle chiese del
nostro Paese, mariano e prima ancora di Grandi Madri, ma nemico delle
piccole madri e antimaterno. Significa l’adozione di misure a
favore dell’occupazione femminile, sostegno alle imprese di donne,
accesso agevolato al credito: più le donne lavoreranno, più bambini
nasceranno. Significa offrire un reddito di esistenza e garantire la
maternità universale, anche in assenza di contratti a tempo
indeterminato, sempre più assenti. Significa costruire una società
mummy-and-baby friendly. Significa garantire i servizi indispensabili
alle famiglie e ai caregiver, donne o uomini che siano. Significa
offrire possibilità abitative e accesso ai mutui per le giovani
coppie.
(il governo danese,
molto creativo, spinge addirittura le coppie a viaggi romantici per
concepire più bambini, offrendo bonus economici a chi dimostrerà un
concepimento a Parigi o a Venezia: ma non si pretende tanto).
Questo sì, sarebbe un
grandissimo piano di “educazione alla maternità”. Che
consentirebbe alle donne nella loro piena autodeterminazione di
decidere sulla propria maternità: libere di scegliere non soltanto
di poter interrompere la gravidanza in sicurezza, con la piena
applicazione della 194 azzerata dall’obiezione, ma anche e
soprattutto di non dover congelare la loro fecondità fino al limite
estremo dell’età fertile e di non dover ricorrere alla
fecondazione assistita.
Se per piano nazionale
di fertilità la ministra Lorenzin intende tutto questo, be’, si
tratta di un’idea grandiosa. Siamo tutte qui per darle una mano.
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