Uno spettro si aggira
per il nostro sventurato paese. Non è il comunismo e nemmeno la
crisi o la disoccupazione ma la genderizzazione: terribile congiura
"lgbt" per distruggere la solidità della famiglia
naturale, cioè quella rettamente composta da papà (uomo) mamma
(donna) e figli (a seconda).
Sembra uno scherzo di
cattivo gusto ma è molto peggio: è la disarmante crociata (di cui
parliamo anche noi a p. 10) portata avanti dalla Cei in risposta ad
alcuni opuscoli informativi sull’omofobia destinati alle scuole
superiori, che non ha mancato di influenzare l’atteggiamento di
Comuni e Regioni e ha convinto il ministero all’Istruzione a
rinviare a data da destinarsi i corsi anti-omofobia per insegnanti.
Una pesante ingerenza
clericale nella scuola pubblica, che dovrebbe essere laica e
pluralista, un’intromissione che non è certo nuova e che si è
sempre fatta sentire in occasione dei singoli tentativi di fornire
qualche elemento di educazione sessuale, tutti bollati come
sovversivi, pericolosi e destabilizzanti: non è forse la famiglia
l’unica responsabile dell’educazione – e in particolare di
«quella» parte dell’educazione, così intima e personale? Per lo
stesso motivo sabato scorso a Torino le «Sentinelle in piedi»,
movimento nato a imitazione dei Veilleurs Debout francesi, hanno
manifestato contro il disegno di legge sull’omofobia, colpevole,
secondo loro, di minare la famiglia tradizionale.
Il cardinal Bagnasco,
nel riprendere per l’ennesima volta le fila di questa battaglia per
la purezza dei costumi, ha dimenticato però che i bambini e le
bambine sono già sottoposti a dei modelli e pensare che vivano in un
mondo asettico dove amorevoli genitori forniscono loro gli unici
riferimenti è perlomeno ingenuo.
Anche nella migliore
delle ipotesi sono comunque assillati da pubblicità in cui il corpo
della donna è usato per vendere, dalla televisione assorbono senza
schermi una rappresentazione dei ruoli che svilisce le donne
relegandole al ruolo di semplice ornamento – meglio se poco vestito
– accanto a uomini che gestiscono la situazione. E non è tutto: se
accedono a Internet troveranno loro coetanee di otto, dieci anni che
insegnano come farsi un make up tutorial, mentre su altri canali i
maschi possono abbeverarsi a ideologie machiste e guerrafondaie.
Non è una
rappresentazione semplicistica, è l’inizio di un tunnel: avete
provato a entrare in un negozio di giocattoli? Ci sono le corsie per
maschi e per femmine, già divisi nei desideri (indotti dal mercato)
sin dalla primissima infanzia – e in quelle destinate alle bambine
ci sono sempre di più soltanto trucchi, strass, gioiellini, il kit
completo per la perfetta (e passiva) principessa. Avete aperto i
libri della scuola primaria? I padri sono rappresentati ancora come
negli anni ‘50, seduti sul divano a fumare la pipa mentre la mamma
prepara la cena; e la piccola di casa aiuta mentre il fratello si
sfrena in giochi creativi e divertenti.
Tutto questo non è
innocente e non è nemmeno evidente. Non lo è agli occhi dei
piccoli, che prendono quello che gli viene offerto, ma non lo è
nemmeno per gli adulti: lo dimostra, fra l’altro, l’importante
corso per genitori e insegnanti proposto dall’associazione
ZeroViolenzaDonne e finanziato con l’Otto per mille della chiesa
valdese, «Gli adulti imparano, gli adulti insegnano la relazione fra
uomini e donne», cinque incontri in quattro istituti comprensivi di
altrettante periferie romane, in cui educatori e psicanalisti cercano
di aiutare genitori e insegnanti a rispondere alle domande dei
bambini sull’identità sessuale.
Fra le formatrici c’è
anche Loredana Lipperini, scrittrice attenta alle dinamiche della
comunicazione e autrice tra gli altri di Ancora dalla parte delle
bambine, seguito del noto saggio di Elena Gianini Belotti uscito nel
‘73. «Il primo obiettivo – dice – è smontare gli stereotipi,
perché alle bambine vengono offerti soltanto due modelli, la
casalinga perfetta e la donna poco seria».
E ai maschi non va
meglio, costretti a stare nei limitanti confini della virilità
intesa come forza e repressione delle emozioni. Di fronte alle
immagini di bambine che ancheggiano e guardano seduttive in camera o
a cartoni animati come le Winxs, in cui le protagoniste spingono a
«valorizzare la bellezza», considerato l’unico talento spendibile
per una ragazza, molte insegnanti hanno reagito con stupore,
ammettendo di non essersi mai accorte di offrire modelli di
mascolinità o femminilità preconfezionati.
Come reagire?
Contestualizzando quello che i ragazzini vedono e moltiplicando i
modelli di riferimento a loro disposizione. E informandoli perché,
anche se sembra un paradosso, in una società ipersessualizzata come
la nostra i ragazzi non sanno niente di educazione sessuale e sono
gettati in un mondo che li vuole precocemente attivi senza altro
bagaglio che l’incertezza, il desiderio di sperimentare e la
possibilità di farlo sapere a tutti in tempo reale grazie ai social
network.
La famiglia – dicono
gli insegnanti – ha delegato completamente alla scuola (che ne
dice, cardinal Bagnasco?), che però non è attrezzata a dare delle
risposte. L’Italia è infatti l’unico paese in Europa a non avere
una legge sull’educazione sessuale e anche gli sporadici tentativi
fatti in questi anni hanno sempre incontrato, come abbiamo visto, una
pronta stroncatura da parte cattolica.
Ora giace in
Parlamento, in seguito alla Convenzione di Istanbul sulla violenza
contro le donne, una proposta di legge sull’introduzione
dell’educazione sentimentale nelle scuole, voluta da Celeste
Costantino (Sel), che promuove percorsi di formazione per riflettere
sull’emotività e gli stereotipi di genere, con l’obiettivo di
costruire una nuova idea di cittadinanza e rivoluzionare il concetto
di convivenza fra le persone.
Questione tutt’altro
che formale perché è proprio da relazioni malate che si generano
violenza omofoba e femminicidi, non di rado proprio all’interno
delle «famiglie tradizionali». Allora forse è necessario ribadire
che non abbiamo bisogno di provvedimenti repressivi o contenitivi ma
di leggi e strumenti educativi che non strumentalizzino l’infanzia
e permettano a tutti di crescere senza paure e cliché, per poi
essere liberi, una volta adulti, di fare scelte consapevoli e
rispettose degli altri.
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