mercoledì 9 aprile 2014

Lorella Zanardo: rispetto per il 51% della popolazione, al di là dei moralismi

Dal sessimo nei media alla mancanza di educazione (anche sessuale) nelle scuole, dall'abbandono scolastico all'incultura televisiva alla violenza come colpo di coda del patriarcato: la scrittrice e regista racconta ciò che non va in Italia, soprattutto per le donne
Nel 2012 il sito di informazione americano The Daily Beast l’ha nominata tra le 150 donne più coraggiose nel mondo. E del mondo lei si sente cittadina, ma insieme “profondamente e orgogliosamente italiana”. Lorella Zanardo è autrice del documentario Il corpo delle donne, visto da oltre 5 milioni di persone sul web, e del libro Senza chiedere il permesso – Come cambiamo la tv (e l’Italia) (Feltrinelli, 2012).
Dopo aver trascorso gran parte della sua vita all’estero, tra Germania, Inghilterra e Francia, nel 2009 ha deciso di ricominciare in Italia, per “lottare su temi di cui in altri paesi è quasi banale parlare, mentre qua c’è ancora tanto da fare”: i diritti delle donne, l’educazione di ragazze e ragazzi ai media e alla cittadinanza attiva. Questa primavera per lei si è aperta una nuova avventura, come candidata al Parlamento Europeo della Lista Tsipras.
Spesso in questi anni hai richiamato l’attenzione sulla distanza tra l’Italia e altri paesi europei per quanto riguarda il sessismo nei media. L’Italia è il fanalino di coda?
Purtroppo sì. Non è che negli altri paesi non ci sia il problema della rappresentazione delle donne nei media, ma se leggiamo una ricerca come quella del Censis, Donne e media, scopriamo che da noi è molto più grave. Intanto perché in Italia riguarda sia la televisione privata sia quella pubblica, mentre all’estero è un problema limitato alle emittenti commerciali. Poi è una questione di quantità: non è che in Francia non ci sia la donna soubrette – e perché non dovrebbe esserci? – ma non a tutti gli orari e in tutti i programmi. Certe storture italiane per cui persino i numeri del Lotto devono diventare sexy fa

Ma a dire queste cose in Italia si finisce per essere tacciate di moralismo…
È abbastanza idiota il dibattito che c’è stato su questo. Non c’entra niente il moralismo: gli inglesi sono forse più moralisti? Siamo molto più moralisti noi. Ma la Bbc non manderebbe mai in onda una ragazza in ginocchio mezza nuda vicino a un uomo vestito, semplicemente per rispetto del 51% della popolazione.
E per quanto riguarda la scuola, l’altro grande tema su cui sei impegnata, come siamo messi?
La scuola italiana non ha avuto finora nulla da invidiare ad altri paesi europei. Dico finora perché da anni investiamo meno di altri paesi europei nell’educazione, e chiaramente è un grosso rischio per il futuro. In Italia poi non si fa nulla per l’educazione ai media, mentre per esempio nel resto d’Europa questa è una materia spesso obbligatoria. O almeno si formano gli insegnanti. Servirebbe moltissimo anche qui.
Nelle ultime settimane è nata una grande discussione intorno ai libretti che l’Unar voleva diffondere nelle scuole per l’educazione alle differenze. Alla fine sono stati bloccati. Qual è la tua posizione?
Chiaramente la mia posizione è che urge cultura nelle scuole. Noi – io e chi lavora con me – ci impegniamo perché nelle scuole venga fatta educazione sessuale, educazione alle relazioni, alla corporeità, all’affettività. L’unica cosa che mi viene da dire è che a volte facciamo il passo più lungo della gamba. Questo è un paese in cui i miei figli adolescenti a Milano non hanno mai fatto educazione sessuale, non hanno mai parlato a scuola neanche dell’ape e del fiore. Me l’aspettavo, questa reazione ai corsi sul gender, al libretto dell’Unar. Se non siamo neanche in grado di fare educazione sessuale, come ci si poteva aspettare che venisse accettato serenamente questo progetto così avanzato? È come voler raggiungere la Norvegia partendo da una situazione da Medioevo.
Consumi televisivi e abbandono scolastico: sono fenomeni che tu metti in relazione, in che modo?
In realtà metto insieme serie di dati che mi fanno riflettere. In Italia abbiamo una delle percentuali più alte di persone che guardano la Tv: il 98,7% della popolazione, che significa praticamente tutti. E non è vero quello che si dice per cui i ragazzi non guarderebbero più la tv: la guardano con modalità diverse, magari sul web. I contenuti televisivi hanno colonizzato completamente la rete. E quali contenuti? Abbiamo monitorato la televisione pubblica per un mese, scoprendo che Rai1 e Rai2, i canali generalisti della tv pubblica, quindi i più visti, fanno un investimento pari a zero in programmi culturali in ore diurne e serali. La scommessa sarebbe introdurre cultura in queste fasce, e così usare questo strumento anche per fare educazione.
Perché anche i dati sull’istruzione da quel che dici non sono confortanti…
Abbiamo un tasso di abbandono scolastico tra i più alti d’Europa: il 17,6% contro il 12,7% della comunità europea. E al Sud il dato sale al 25%. Questo è gravissimo. L’Ue ha posto l’obiettivo di abbassare questa percentuale al 10% entro il 2020, dunque bisognerà darsi una mossa nei prossimi anni. Quindi: abbiamo un servizio pubblico televisivo che non investe nulla in programmi educativi, e un abbandono scolastico da paese del terzo mondo. Attraverso una diversa tv si potrebbe fare molto.
Ma se l’Italia è il paese peggiore in questo panorama, non è una contraddizione impegnarsi in Europa anziché, per esempio, nella politica locale?
Molte cose in effetti possono partire dalle politiche locali. Ma una cosa bella dell’Europa è la possibilità di importare ed esportare buone prassi. Credo che mai come ora abbiamo bisogno di pensare e insegnare ai ragazzi che si può cambiare. È questa l’idea di Europa da comunicare ai giovani, non solo parlare di euro che a loro non interessa minimamente. Se l’Italia è al 71esimo posto nel Global Gender Gap, la graduatoria mondiale delle disparità di genere, sapere che paesi dell’Ue come la Finlandia o la Svezia si trovano ai primi posti è uno stimolo a darsi da fare.
Come si combatte il sessismo in tv e in pubblicità? Bisogna censurare le immagini offensive?

Censura è una parola che aborro. Non credo che ce ne sia bisogno del resto. Io miro a lavorare sull’innalzamento del livello di consapevolezza, ci vuole più tempo ma è il modo più democratico. Perché in altri paesi non sentono la necessità di mettere in televisione una valletta con il sedere per aria e un uomo che la umilia? Forse a loro non piacciono le donne? No, piacciono un sacco anche a loro. È un problema culturale. Noi siamo anche il paese in cui si leggono meno libri e quotidiani, e questo conta. Il mio modello è investire in scuola e in educazione permanente, anche per gli adulti.
Che legame c’è tra la donna-soprammobile in tv e la violenza sulle donne?
L’oggettivizzazione delle donne non è la causa unica della violenza, è una delle cause. Questo non ha nulla a che vedere con la nudità, ci sono immagini di nudo che non sono affatto de-umanizzanti, quello che oggettivizza è il punto di vista, quindi in televisione la telecamera: se questa inquadra ginecologicamente una donna, anche completamente vestita, e rimuove il volto, offre un’immagine de-umanizzante. Ed è un’immagine violenta perché porta chi guarda a vedere quel pezzo di corpo come qualcosa da possedere.
Eppure i dati dicono che, se in Italia il 27% delle donne ha subito violenza, in Danimarca addirittura il 52%, e poco meno in Finlandia e in Svezia. Come si spiega?
C’è in corso un fenomeno epocale che non riguarda solo l’Italia, quello che qualcuno definisce il “colpo di coda del patriarcato”. Ma è possibile anche un’altra spiegazione che dipende dal modo in cui viene percepita la violenza. Alcuni atti sono classificati come violenza in paesi del Nord e molto meno in Italia, per esempio la “toccatina al culo” di un uomo per strada. Mi ricordo un’amica inglese, in vacanza, che per un fianco sfiorato ha voluto andare dai carabinieri. Lì ho vissuto la differenza tra la percezione mia e sua. Quindi è necessario introdurre parametri simili per consentire una vera comparazione.
Insomma, cosa si dovrebbe fare urgentemente a livello europeo?
A me piacerebbe costituire al più presto un team di donne di tutti i paesi che si attivasse per portare avanti strumenti di educazione alla sessualità, alle relazioni, e anche ai media. Perché le immagini rimandano ai corpi. Ma siccome in Italia abbiamo il più alto tasso di analfabetismo funzionale tra gli adulti e la metà degli italiani fa fatica a comprende un articolo di quotidiano, bisogna investire urgentemente nella cultura. Altrimenti anche strumenti importanti a livello europeo qui saranno sempre rigettati: faranno la fine dell’opuscolo dell’Unar.

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