Ekin Van, donna, curda, combattente del PKK. E' stata brutalmente torturata e ammazzata dall'esercito turco. Il suo corpo è stato abbandonato per strada, nudo, come se fosse un rifiuto da gettare via, come se dovesse essere un monito perenne, pubblico, per chi osa sfidare Erdogan e lo strapotere militare della Turchia e della Nato in questo fazzoletto di terra.
Niente di troppo diverso dalle immagini che diffonde l'Isis sulla fine che fanno i suoi prigionieri.
A Ekin e alle donne coraggiose e rivoluzionarie come lei, alle sue compagne che sono state le uniche a impedire davvero l'avanzata dello Stato Islamico, fino a qualche mese fa osannate dai nostri viscidi governanti e dai loro mezzi di comunicazione e ora tornate a essere le "terroriste" del PKK, a loro vogliamo dedicare alcuni versi che Pablo Neruda scrisse per un'altra sorella della rivoluzione
Perché il loro sacrifico muoverà la storia, perché non sono passate invano, ne siamo certe.
Perché non muore il fuoco.
"Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d'una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall'acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco".
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