Su Il Fatto Quotidiano c'è stata una mia lunga intervista sulla violenza sulle donne per mano maschile a firma dell'ottima Silvia Truzzi. Rileggerla mi ha suscitato una riflessione un po' amara. Sono stata una lettrice del Fatto dalla prima ora, stimo i giornalisti che ci lavorano e ho collaborato a lungo con le scomparse pagine culturali, ma questo non mi impedisce di dire che sul tema del femminicidio e della cultura che lo produce Il Fatto Quotidiano è in ritardo netto su tutti gli altri quotidiani, che pure in materia non sono stati certo avanguardisti. I motivi sono diversi e vorrei provare ad analizzarli con spirito costruttivo.
-Il primo motivo è che i fenomeni sociali richiedono un approccio complesso anche nel dare le notizie e purtroppo il Fatto Quotidiano riserva questo sguardo analitico quasi esclusivamente alle vicende giudiziarie dei politici. Fuori dalla politica agita e dall'economia, sul Fatto il mondo appare come uno scenario in bianco e nero.
-Il secondo è che la direzione del Fatto (sia quella web di Gomez che quella cartacea di Padellaro) sul femminicidio non ha una linea precisa e quindi concede spazi paritari sia a chi lo combatte tutti i giorni che a chi ne nega grossolanamente l'esistenza. In una domanda dell'intervista questa compresenza contraddittoria viene rivendicata dalla giornalista come un'espressione di pluralismo, ma è una foglia di fico: mai Padellaro o Gomez concederebbero di scrivere sulle pagine del Fatto un editoriale a favore dell'inciucio PD-PdL in nome del pluralismo, perchè sulla questione del governo la linea del Fatto è nettissima; non è così sul femminicidio, evidentemente.
-Il terzo motivo è di natura culturale e, benchè riguardi tutti i giornali, tocca il Fatto in maniera molto più evidente, se non altro perchè la sua ambizione iniziale era di interpretare una sensibilità progressista. Lo snodo è questo: la questione femminile non è percepita come un tema politico, ma come un fatto di costume che riguarda marginalmente una parte della società, piuttosto che le radici stesse del vivere civile. Perciò si tende a delegare la trattazione del tema a opinionisti esterni e così oggi vengo intervistata io e domani un'altra, ma sul femminicidio e sulla cultura sessista non abbiamo mai avuto il piacere di leggere nessun editoriale di Padellaro, nessun fulminante corsivo di Travaglio, nessuna lucida analisi di Gomez. In questo modo nel lettore viene confermata la convinzione che il divario sociale di genere o le decine di donne morte per mano d'uomo possessivo siano un tema marginale rispetto, che so, a snodi sociali fondamentali come la bagarre grillina sui rimborsi del taxi privi di ricevuta. Così in prima pagina ci vanno i rimborsi e invece la questione femminile finisce nel ghetto web (Donne di Fatto) dove per giunta deve contendersi lo spazio col presunto "pluralismo" in contraddittorio di un Massimo Fini, di un Mazzola o di un Tonello
-Il quarto motivo è, banalmente, che al Fatto Quotidiano nessun caporedattore è donna e nessuna firma femminile si occupa di temi politici in prima pagina: la linea decisionale del giornale è esclusivamente maschile. Incapacità delle donne a ricoprire ruoli direttivi nel giornalismo? Inettitudine all'analisi sui fatti che contano? Il gender gap, al Fatto come ovunque, non influenza solo la scelta dei temi e del linguaggio, ma anche il grado interno di tolleranza verso i commenti violenti e insultanti e verso le posizioni evidentemente sessiste di alcuni opinionisti e blogger.
C'è tanto ancora da fare.
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