venerdì 29 aprile 2016

Quando alle partigiane veniva negato l’onore della Resistenza di Perry Willson*



Esiste una storiografia affascinante sul ruolo delle donne nella Resistenza, arricchita dalla raccolta di innumerevoli testimonianze orali e dall’uso di diverse altre fonti memorialistiche. Molte delle storie raccolte sono commoventi, ma anche entusiasmanti. Alcune narrano atti di grande audacia di fronte a pericoli estremi. È anche una storiografia vastissima: i libri e gli articoli sul ruolo delle donne nella Resistenza superano di gran lunga il numero di quelli scritti su altri ruoli svolti dalle donne in tempo di guerra. Infatti, di tutti gli argomenti trattati nel presente volume, la Resistenza è quello più esaurientemente studiato dagli storici. Il motivo è l’importanza che la Resistenza assunse, come fenomeno politico e culturale, nel dopoguerra, in quanto fu intesa come movimento che conferiva legittimità politica alla repubblica appena nata, un fenomeno capace di ridare onore all’Italia e riscattarla dal suo passato fascista. Le donne volevano ovviamente essere partecipi della cittadinanza che la lotta di liberazione poteva conferire. La resistenza inoltre è spesso presentata non solo come spartiacque tra fascismo e democrazia, ma anche come preludio di una nuova era di maggiore emancipazione conquistata dalle partigiane per le donne del dopoguerra. (…)
Per ovvi motivi non sono disponibili cifre attendibili, ma è chiaro che un numero enorme di donne partecipò a vario titolo alla Resistenza (pur restando una minoranza delle donne italiane). Secondo alcune stime, le donne attive nella Resistenza sarebbero state due milioni. Ciononostante, gran parte della prima storiografia in materia descrisse la Resistenza essenzialmente come un movimento armato maschile. Ciò fu facilitato dal fatto che molte ex partigiane erano o troppo modeste o troppo intimorite per farsi avanti  e rivendicare un riconoscimento. L’esperienza della partigiana comunista Tersilia Fenoglio (nome di battaglia «Trottolina») dopo la Liberazione non è insolita. Ricordava che
alla sfilata non ho partecipato: ero fuori, a applaudire. Ho visto passare il mio comandante, poi ho visto Mauri, poi tutti i distaccamenti di Mauri con le donne che avevano insieme. Loro sì che c’erano. Mamma mia, per fortuna non ero andata anch’io! La gente diceva che eran delle puttane.  […] E i compagni hanno fatto bene a non farci sfilare: hanno avuto ragione.
Altre furono semplicemente messe in ridicolo, perché nel primo dopoguerra la Resistenza finì per essere celebrata come un’impresa maschile.
Che fossero o non fossero ufficialmente riconosciute, la ricerca ha dimostrato che molte donne vi presero parte, donne di tutte le fasce di età e di tutte le classi sociali. Le donne parteciparono alle attività svolte da ogni gruppo politico nella Resistenza in tutta l’Italia occupata. Tra di loro c’erano operaie, studentesse, impiegate, casalinghe, contadine.

*Perry Willson è docente di Storia europea contemporanea presso la University of Dundee, in Scozia. Quello che abbiamo pubblicato è un brano del suo libro “Italiane. Biografia del Novecento” (Laterza, 2011).

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