C’è un lato della seconda guerra mondiale spesso non considerato, come a volerlo dimenticare. Si tratta delle violenze sulle donne italiane, abusate dai Nazisti quanto dagli Alleati. La seconda guerra mondiale infatti, al contrario delle battaglie ottocentesche, puntava anche alla fetta di popolazione più debole: donne, bambini, anziani. Le regole di civiltà vennero a cadere, la disinibizione fu totale e nemmeno le categorie considerate indifese – anche se, ricordiamolo, le donne hanno avuto modo di dimostrare il loro coraggio e la loro forza in più occasioni – fermarono l’orrore della guerra. Oltre ai bombardamenti, i civili subirono quindi rapine, violenze corporali e sessuali, senza contare i casi di sfruttamento della prostituzione.
Eppure, dello stupro di guerra si parla sempre come di un comprensibile incidente di percorso, raramente lo si descrive per quel che è: uno strumento di tortura e di sottomissione, un abuso che va al di là della religione, dell’età, della fazione politica. È in realtà una pratica di dominazione psicologica che ha segnato più generazioni e annientato ulteriormente famiglie già di per sé distrutte.
Lo sbarco degli Alleati del 1943 fece sperare agli italiani che la guerra fosse ormai agli sgoccioli. L’orrore però non era ancora finito e proprio in quegli anni i soprusi sul corpo femminile si moltiplicarono. Nel novembre del 1943, con l’ordine chiamato Merkblatt 69/1, i vertici militari tedeschi cancellarono ogni distinzione tra partigiani e popolazione civile. Così, nel violento massacro dei cittadini, lo stupro della donna diventò una conseguenza inevitabile, un atto terribile per annientare l’avversario a ogni livello, fisico e mentale. Il nemico non era più l’uomo, il militare armato da sconfiggere, ma un intero popolo, donne comprese. Nella zona della Toscana per esempio i soldati avevano l’abitudine di irrompere nelle case italiane, farsi preparare del cibo e poi violentare la padrona di casa.
Alcuni documenti redatti dal Ministero della Guerra nell’ottobre del 1946 tentano di fare ordine sulle altissime cifre di abusi subiti dai civili, pur non venendo mai presi dei provvedimenti effettivi, né cercati dei colpevoli. I dati parlano molto chiaro:
«Secondo il Gabinetto nel 1943, dal giorno dell’armistizio, in Italia furono 8 le violenze carnali compiute e 4 quelle tentate. Nel gennaio del 1944 avvennero 5 casi, nel febbraio 2, nel marzo 3, ad aprile 9, fino ad arrivare a 391 casi accertati nel maggio e 626 a giugno. nel 1944, secondo il Ministero della Guerra italiano, sono state 1111 e per l’anno successivo si contano 38 casi di abuso. Un ulteriore allegato ricomponeva la situazione a livello geografico. Secondo i dati il Lazio deteneva il primo posto con 818 violenze, seguito dalla Toscana con 227 casi e dalla Campania con 52 abusi».
È davvero difficile dare un numero certo, ma i dati d’archivio ipotizzano cifre ancora superiori: basti pensare che nell’unico dibattito in Parlamento sul tema, ben 60.000 donne chiesero un risarcimento, mentre molte altre probabilmente preferirono tacere, anche se l’ex Partito comunista italiano, le forze cattoliche e l’Unione donne italiane le incoraggiarono a raccontare i torti subiti. Avere dei numeri precisi è difficile anche perché il problema degli stupri venne in parte sfruttato: non solo le violenze erano un ottimo strumento per raffigurare il nemico come ancor più terribile, ma molte donne finsero di essere state abusate per ottenere l’indennizzo, cumulabile con la pensione di guerra.
Mediamente, gli abusi più denunciati erano quelli legati alle truppe coloniali. In effetti, le violenze, sia fisiche sia sessuali, venivano chiamate marocchinate in quanto eseguite dai militari francesi provenienti dalle colonie, soprattutto – ma non solo – marocchini. Lo racconta per esempio Norma Lewis nell’opera Napoli ’44:
«Tutte le donne di Patrica, Pofi, Isoletta, Supino, e Morolo sono state violentate… A Lenola il 21 maggio hanno stuprato cinquanta donne, e siccome non ce n’erano abbastanza per tutti hanno violentato anche i bambini e i vecchi. I marocchini di solito aggrediscono le donne in due – uno ha un rapporto normale, mentre l’altro la sodomizza».
Gli ufficiali francesi chiesero addirittura di assumere più prostitute per placare la furia dei goumiers, ma la questione era solo in parte sessuale. D’altro canto, gli Alleati non fermarono mai questi episodi di violenza, tanto che quando i soldati americani di passaggio da Spigno sentirono le urla delle donne violate, il sottotenente Buzick rispose al sergente Mc Cormick, che gli chiese cosa fare: «credo che stiano facendo quello che gli italiani hanno fatto in Africa».
Incolpare i soli goumiers degli stupri tra il 1943 e il 1945 sarebbe quindi riduttivo. Tra i soldati europei e quelli delle colonie, tra quelli nazisti e quelli americani non c’è più alcuna differenza: la guerra porta a una totale perdita di civiltà, un trionfo della barbarie contro chiunque. Basti pensare che alcuni gruppi di fascisti stuprarono le partigiane o le donne civili: una colpa quindi di cui si sono macchiati uomini provenienti da ogni parte del mondo, di ogni fazione politica o credo religioso. Invasori o presunti liberatori, nessuno risparmiò nessuno.
La letteratura e il cinema sono arrivati prima degli storici a toccare un tema difficile ma fondamentale come quello dello stupro di guerra. L’esempio più celebre è La Ciociara di Alberto Moravia, un libro che spiega la seconda guerra mondiale da un punto di vista femminile, quello di una madre e di una figlia, senza censurare gli episodi di violenza e le sue devastanti conseguenze. Dal romanzo del 1957 è stato poi tratto l’omonimo film di Vittorio de Sica, che valse un meritato Oscar a Sophia Loren.
«Adesso lui mi stava sopra; e io mi dibattevo con le mani e con le gambe; e lui sempre mi teneva fissa la testa a terra contro il pavimento, tirandomi i capelli con una mano; e intanto sentivo che con l’altra andava alla veste e me la tirava su verso la pancia e poi andava tra le gambe; e tutto a un tratto gridai di nuovo, ma di dolore, perché lui mi aveva acchiappato per il pelo con la stessa forza con la quale mi tirava i capelli per tenermi ferma la testa. […] e io, invece, stesi la mano di sotto, gli acchiappai i testicoli e glieli strinsi con quanta forza avevo. Lui allora diede un ruggito, mi riacchiappò per i capelli e mi batté la testa, a parte dietro, contro il pavimento con tanta violenza che quasi quasi non provai alcun dolore ma svenni. […] Purtroppo, però, Rosetta non era svenuta, e tutto quello che era successo lei l’aveva veduto con i suoi occhi e sentito con i suoi sensi. […] L’avevano trascinata o lei era fuggita fin sotto l’altare; stava distesa, supina, con le vesti rialzate sopra la testa e non si vedeva, nuda dalla vita ai piedi. Le gambe erano rimaste aperte, come loro l’avevano lasciate, e si vedeva il ventre bianco come il marmo e il pelo biondo e ricciuto simile alla testina di un capretto e sulla parte interna delle cosce c’era del sangue e ce n’era anche sul pelo. Io pensai che fosse morta anche per via del sangue il quale, benché capissi che era il sangue della sua verginità massacrata, era pur sangue e suggeriva idee di morte».
Se quindi da un lato le donne parteciparono attivamente alla guerra, rendendosi utili non soltanto come infermiere, dall’altro lato questo trionfo del genere femminile venne oscurato dai soprusi subiti, fatti di una violenza non solo fisica, ma più di tutto simbolica e psicologica, umiliante, troppo spesso ignorata.
Fonti:
Alessia D’Innocenzo, Lo stupro come arma dei Nazisti e degli Alleati. La violenza sessuale in tempo di guerra
Giovanni De Luna , Il caso delle donne italiane stuprate durante la seconda guerra mondiale al centro di nuove ricerche
http://fascinointellettuali.larionews.com/donne-violenza-sessuale-gli-abusi-dimenticati-della-seconda-guerra-mondiale/
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