mercoledì 1 marzo 2017

NON UN’ORA DI SCIOPERO DI MENO. DIVISIONE SESSUALE DEL LAVORO, DISTRIBUZIONE DEL POTERE FRA I GENERI E CARRIERE ACCADEMICHE

L’8 marzo sarà uno sciopero globale. In oltre 30 paesi, dall’Argentina, alla Polonia, all’Italia le donne incroceranno le braccia interrompendo ogni attività produttiva e riproduttiva: perché la violenza maschile contro le donne è sistemica e si combatte con una trasformazione radicale della società.

L’8 marzo scioperiamo anche contro il sessismo nel sistema delle relazioni accademiche. Le pari opportunità non ci bastano: rifiutiamo l’ipocrisia del femminismo politicamente accettabile, quello che chiede alle donne di ‘farsi avanti’, quello corporativo della donna in carriera, che abbandona al loro destino la stragrande maggioranza di coloro che non hanno accesso all’autopromozione e all’avanzamento individuale. Scioperiamo perché, anche nell’università, la trasformazione radicale non si dà se la riproduzione sociale è considerata un problema delle donne, se  non si garantiscono reddito e diritti sul lavoro.

Le donne nell’intero comparto della formazione sono prevalenti. Nelle università, le nostre aule sono colme di studenti meravigliose e migliaia di dottorande, post-doc, assegniste col loro lavoro precario permettono a decine e decine di dipartimenti di funzionare. In quali condizioni? Con quali prospettive di reclutamento? E di carriera?

Nonostante sia luogo di produzione di cultura ‘alta’, l’università italiana continua a essere attraversata da una cultura profondamente sessista che quotidianamente si esprime attraverso la violenza dei più retrivi stereotipi di genere. Vogliamo nominarli, perché il contrasto alla violenza contro le donne passa anche dal suo smascheramento. Quante ricercatrici, docenti, studenti devono quotidianamente affrontare nel loro lavoro gli stereotipi che le dipingono come oggetti sessuali, ‘oche’, ‘isteriche’, ‘frustrate’, ‘oneste segretarie’ che si spacciano per scienziate,  ‘casalinghe frigide’ o ‘vogliose’ travestite da intellettuali? Non si tratta solo di violenza verbale, la riconosciamo nei mille volti subdoli con cui le molestie sessuali prendono forma.

La presenza femminile nelle università è massiccia ma per lo più relegata a ruoli marginali, quando non di manovalanza, che non rispecchiano quanto le donne producono, quanto valgono e non è all’altezza dei loro desideri..

Il continuo richiamo al c.d. tetto di cristallo ci ha stancato, suona stantio… . Finché non ci si confronta con i numeri: se al livello più basso della carriera accademica la distanza fra uomini e donne è quasi trascurabile (ricercatori 8.288, ricercatrici 7.620), man mano che si sale verso il vertice della carriera la forbice si allarga fino ad arrivare ad un rapporto di una a tre (ordinari 10.115, ordinarie 2.895). Numeri che si divaricano sensibilmente in quei settori disciplinari nei quali progredire nella carriera significa occupare posizioni di potere non solo accademico, ma anche economico. Nei quali cioè il prestigio accademico apre le porte al mondo degli affari e dei grandi studi professionali (e viceversa!). Per scienze mediche gli ordinari sono 1.570, le ordinarie 269; per scienze giuridiche gli ordinari 1.125, le ordinarie 336; per ingegneria civile e architettura gli ordinari sono 600, le ordinarie 138; per ingegneria industriale e dell’informazione 1.296 ordinari contro 124 ordinarie (ma potete continuare voi: http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/cerca.php9)

D’altra parte, la divisione sessuale del lavoro pesa come un macigno sulle carriere. Il lavoro di cura è ignorato nelle valutazioni accademiche, e la maternità ridotta ai periodi di astensione obbligatoria. La tirannia di parametri numerici falsamente obiettivi, le mediane, mentre mima l’impresa, insensata e ridicola, di misurare la qualità della produzione intellettuale non fa che legittimare e alimentare il gap provocato da una ineguale e ingiusta distribuzione del peso del lavoro riproduttivo fra i generi. Un peso che si fa insostenibile con il crescere della precarietà e delle differenze sociali.

Il divario fra presenza maschile e presenza femminile diventa stellare nel governo delle strutture e degli atenei. Quante rettrici? Quante direttrici di dipartimenti e di scuole? Quale presenza femminile nei consigli di amministrazione degli atenei? Al di là dei numeri, le donne raramente sono protagoniste delle scelte di politica accademica. Eppure molta dell’innovazione scientifica e didattica che in questi anni è entrata nelle aule dell’università italiana è dovuta alle donne, di ruolo e precarie.

L’8 marzo NON UN’ORA DI SCIOPERO DI MENO! Perché se le nostre vite non valgono, scioperiamo!
https://nonunadimeno.wordpress.com/2017/02/16/non-unora-di-sciopero-di-meno-divisione-sessuale-del-lavoro-distribuzione-de-potere-fra-i-generi-e-carriere-accademiche/

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