Davvero ci importa dei bambini e delle bambine? Ce lo chiediamo spesso quando di fronte a separazioni e divorzi assistiamo a una contesa privata e pubblica in cui sentiamo sempre più spesso parlare di alienazione parentale (o genitoriale, conosciuta anche come Pas), una presunta manipolazione psicologica con cui un genitore allontana (aliena) i figli dall'altro. Se ne parla anche nel contratto di governo stipulato da Lega e Movimento 5 stelle, dove alla voce «Diritto di famiglia» il fenomeno viene definito «grave» e si fa riferimento all'introduzione di norme per contrastarlo. E i parlamentari non se lo sono fatti ripetere due volte: a giugno 2018 è stata infatti depositata una proposta di legge a firma leghista (ddl Pillon). A tutto questo ha risposto la rete nazionale dei centri antiviolenza Dire con un appello al presidente Mattarella: «Si tratta di una violazione dei diritti umani fondamentali di donne e bambini/e», scrivono.
«Il papà è sempre il papà, si tende culturalmente a dire, e i bambini hanno diritto di continuare a vedere entrambi i genitori»
Se di fronte all'utilizzo dell'alienazione parentale per screditare le donne che denunciano abusi sessuali sui figli (e che costringe dunque questi ultimi a continuare a frequentare i padri) è facile per l'opinione pubblica schierarsi contro. Più difficile è farsi un quadro della situazione quando siamo in presenza di violenza sulla donna a cui il minore assiste. Il papà è sempre il papà, si tende culturalmente a dire, e i bambini hanno diritto di continuare a vedere entrambi i genitori. Inoltre si è creata forse ancora più confusione sul tema anche per la posizioni dell'attuale ministra Giulia Bongiorno e di Michelle Hunziker, della cui buona fede non si può dubitare, che si esprimono in favore dell'alienazione genitoriale a nome della fondazione Doppia difesa. Di pas ne ho voluto parlare con il magistrato Fabio Roia, presidente di Sezione del Tribunale di Milano e autore, tra l’altro di un recente saggio intitolato Crimini contro le donne, politiche, leggi e buone pratiche (edito da Franco Angeli), che, nella nostra lunga chiacchierata, l'ha definita «una sorta di moda che va fermata».
DOMANDA. Ci spieghi cosa intende.
RISPOSTA. Di fronte al rifiuto di un bambino di incontrare un genitore, di solito il padre, molti giudici tendono a dire che la madre ne manipola in qualche modo l’emotività. Ma questo rifiuto del figlio normalmente accade quando è stato spettatore di una violenza assistita che gli ha ovviamente procurato dei traumi e delle sofferenze. La sua è una naturale richiesta di tutela.
Eppure ci sono anche avvocati che propongono corsi di formazione sull’alienazione parentale e la mediazione familiare.
C’è una pericolosa cultura della terapia della coppia che interpreta la violenza come un conflitto e quindi agisce con la pratica della mediazione anziché attivare la necessaria protezione. È importante distinguere tra violenza e conflitto. Quest'ultimo presuppone infatti una situazione di parità fra le due parti che deve essere pro valutata a tutti i livelli, economico, sociale, culturale. Raramente esiste, ce lo confermano l’ esperienza, i dati giudiziari e quelli Istat.
Di questo i giudici non tengono conto?
Nei nostri tribunali, soprattutto in ambito civile, la violenza intrafamiliare non viene sufficientemente letta, conosciuta e interpretata da tutti gli attori del processo che devono per esempio decidere se mantenere l’affido condiviso oppure no. Si ricorre meccanicamente a questa chimera della pas, che non ha fondamento scientifico. Sarebbe sufficiente acquisire gli atti del procedimento penale e valorizzare la violenza. Mi riferisco ai servizi sociali, ai consulenti tecnici, e allo stesso giudice che poi è il dominus di tutta la vicenda dovendo decidere.
Ma il bambino ha diritto alla bigenitorialità?
È giusto dirlo. Come è giusto che il padre violento faccia un percorso di consapevolezza per poi ripresentarsi con una caratteristica diversa e proseguire il rapporto col minore. Ma, ripeto, sono percorsi che vanno costruiti considerando gli abusi, paralizzando nel frattempo la relazione. Dobbiamo tutti agire nell’interesse primario del bambino in quanto portatore autonomo di diritti. Ce lo dicono tutte le convenzioni che abbiamo adottato e ratificato. Invece molte volte viene messo sullo sfondo e si dà preminenza all’interesse egoistico dell’adulto.
Che cosa intende?
Abbiamo una visione adultocentrica e quindi non scaviamo, non andiamo a interrogare il bimbo, ovviamente con le modalità di protezione che conosciamo, per capire cosa voglia fare. Applichiamo la pas facendolo diventare un soggetto invisibile. Ci possono essere dei casi in cui c’è una attività manipolatoria da parte di un genitore ma sono molto rari, lo dicono i dati delle indagini giudiziarie. Non siamo di fronte a un fenomeno. Bisognerebbe chiedere a coloro che ne parlano se hanno dei dati a riguardo in assenza di violenza domestica.
Alcuni distinguono tra pas e alienazione genitoriale o parentale.
Cambiano i termini ma il concetto è lo stesso.
Fabio Roia Magistrato
Il magistrato Fabio Roia.
I padri separati che accusano le donne di alienazione difficilmente ammettono le loro responsabilità.
Certamente. E poi non bisognerebbe mai dimenticarsi che la violenza non è solo fisica: dare alla moglie un tot a settimana e pretendere di vedere gli scontrini della spesa è una forma di violenza economica. È violenza il controllo, la sopraffazione. E poi mi permetta una precisazione.
Prego.
Normalmente siamo in presenza di padri che si scoprono genitori a scoppio ritardato, che dimostrano egoismo nel richiedere il figlio. Dov'era la genitorialità quando agivano violenza accettando che il figlio vi assistesse?
Eppure spesso l’affido condiviso viene concesso.
C’è una schizofrenia nel sistema giudiziario italiano rilevata anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femmincidio: in ambito penale si porta avanti un procedimento per violenza e poi in sede civile si chiede alla donna di favorire gli incontri tra figli e padre. Con una doppia ricaduta, sul minore e sulla madre che, dovendo rimanere in relazione con il suo aggressore, per favorire un presunto interesse del bambino, subisce una vittimizzazione secondaria di matrice giudiziaria.
Dunque i giudici che si occupano di affido non sono preparati?
Dovrebbero esserlo ed essere assistiti da persone che dovrebbero essere esperte.
Però lei sta usando il condizionale.
Lo faccio perchè nelle grandi città ci sono giudici che fanno solo separazioni e divorzi, che fanno formazione e quindi queste cose le conoscono. Il problema c’è nei tribunali medio piccoli dove il giudice fa anche altre cose, ma si dovrebbe specializzare. In Italia abbiamo purtroppo una situazione a macchia di leopardo. Ci sono realtà che funzionano bene altre no, a volte anche a pochi chilometri di distanza. Dobbiamo rendere omogeneo l’intervento perchè non è possibile che le risposte siano diverse a seconda di dove tu subisca la violenza. Non è accettabile.
Il caso di Federico Barakat però era in carico al tribunale di Milano. La mamma del piccolo fu accusata di alienazione perchè si opponeva agli incontri tra padre e figlio, e durante uno di quegli incontri l’uomo ha ucciso il piccolo.
È vero, anche a Milano ci sono ancora delle criticità. Lì si è agito proprio in nome del diritto alla bigenitorialità, che è un diritto astrattamente assolutamente condivisibile ma il problema è la traduzione nella realtà concreta. C’è però un’importante novità molto positiva.
Ce la racconti.
Con la risoluzione del 9 maggio 2018 il Consiglio superiore della Magistratura ha sottolineato come in sede civile nei procedimenti per l’affido si possano vanificare le cautele adottate in sede penale. Ha prescritto ai giudici di valorizzare la storia di violenza intrafamiliare attraverso una preliminare conoscenza degli atti del procedimento penale nonché interventi professionali specializzati. Ha inoltre sottolineato la necessità di porre una particolare attenzione al minore rendendolo destinatario di decisioni che lo tutelino, anche a discapito delle richieste adultocentriche. Questo è molto importante perchè non sono soltanto parole, questo tipo di risoluzioni hanno un obbligo vincolante, devono essere applicate.
Lei mi ha detto che non vuole commentare proposte di legge, ma Giulia Bongiorno aveva parlato addirittura di introdurre il reato di alienazione parentale nel nostro codice penale e siccome di quello si parla anche nel contratto di governo forse c'è un problema.
Penso che sia assolutamente inutile perchè un reato viene introdotto quando vi è una necessità e questa necessità non c’è. Come dicevamo prima si tratta di un’enfatizzazione che tende a trasformare in un fenomeno qualcosa che fenomeno non è, e i dati lo dimostrano. Tutte le argomentazioni sull’alienazione genitoriale vanno bene in caso di separazioni conflittuali ma casi del genere sono molto rari e quindi non meritano un intervento legislativo; oltretutto gli strumenti ci sono già per la prevista violazione dell’art. 570 del codice penale che riguarda gli obblighi di assistenza nei confronti del minore. Non abbiamo bisogno di nuove leggi ma di applicare bene le leggi che abbiamo. La commissione parlamentare sul femminicidio ci ricorda che l’articolo 31 della Convenzione di Istanbul (che intende garantire che, in sede di affidamento dei figli e di disciplina dei diritti di visita, l'autorità prenda in considerazione i precedenti episodi di violenza commessi dai genitori, così da tutelare la vittima e i minori, ndr) per noi è legge, ma non viene applicata in maniera adeguata.
In effetti la Convenzione risponde a tutta la complessità del fenomeno della violenza contro le donne, la svolta sarebbe applicarla.
Quello che temo è che una questione che dovrebbe essere di civiltà trasversale stia diventando una battaglia culturale o peggio di contrapposizione ideologica. Così non deve essere. Sono diritti minimi condivisi, scritti in tutte le convenzioni sovranazionali e adottati da tutti i Paesi a prescindere dalle categorie di appartenenza. Non possono diventare una lotta tra politica. Di questa tendenza mi preoccupo come cittadino e come magistrato.
Collabora con la ministra Giulia Bongiorno anche Michelle Hunziker, che ospite di Fabio Fazio aveva parlato della necessità di occuparsi di alienazione parentale. Nessuno dubita della sua buona fede, ma le dichiarazioni di un personaggio così noto e amato influenzano l’opinione pubblica.
Sono temi difficili e proprio per questo bisognerebbe assicurarsi sempre un contraddittorio, magari invitando volti meno famosi, con tutto il rispetto per la signora Hunziker, ma più competenti.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2018/08/03/alienazione-parentale-fabio-roia/26323/?fbclid=IwAR3niyj9YUbZxa8LRLgBM3QyHL73b2TJMRSiDaFs3BJqwI-qR9bx71_L6Z8
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