giovedì 17 ottobre 2019

Le soldatesse dell'YPJ e il femminismo in Kurdistan Hanno combattuto l'Isis e adesso affrontano l'offensiva dell'esercito turco. In tutto questo, in quanto donne non hanno mai smesso di lottare contro il patriarcato.

Dopo aver lottato coraggiosamente contro l’Isis (poi sconfitto), ed essere diventate il simbolo della resistenza curda nel nord della Siria, le soldatesse dell’YPJ devono adesso fronteggiare l’offensiva dell’esercito turco, che ha invaso i territori del Rojava, abbandonati ormai dalle truppe statunitensi per decisione di Donald Trump. Il mondo sta seguendo la vicenda con il fiato sospeso: mentre già si contano morti e feriti, sono decine di migliaia i civili in fuga dalle zone di combattimento. Tra le tendenze di Twitter c’è #iostoconicurdi, e sono diversi i volti noti che hanno preso posizione.

COMBATTENTI PER LA LIBERTÀ
«Sono piena di ammirazione per queste ragazze, per queste donne curde che combattono non solo per difendere un territorio, ma per difendere la libertà del loro popolo e per i diritti che come donne hanno conquistato», ha detto Dacia Maraini intervistata dall’Huffington Post: «Loro sì che rappresentano un esempio, una speranza. Per questo chiunque di noi abbia una coscienza democratica, soprattutto noi donne, non possiamo non dirci ‘curde’ ed essere a fianco di queste straordinarie combattenti per la libertà». Nel corso degli anni, abbiamo anche conosciuto i nomi e i volti di queste donne, come Asia Ramazan Antar, Jihan Cheikh Ahmad e Ayse Deniz Karacagil. Erano pronte a morire, e in alcuni casi le abbiamo piante. Ieri come oggi, le soldatesse curde fanno parte della Yekîneyên Parastina Jin (YPJ), organizzazione militare fondata nel 2013 come brigata femminile dell'YPG, la principale forza armata del territorio autonomo de facto del Rojava.

GLI EFFETTI DEL FEMMINISMO CURDO
Le soldatesse curde, che combattono al fianco degli uomini e, addirittura, in autonomia, sono una diretta espressione del movimento femminista del Kurdistan o, meglio, dell’area desertica del Rojava. In questa striscia di terra nel nord della Siria, infatti, si è formata una società in cui regna la parità tra i generi, fondata sugli ideali del Pkk, da sempre a favore dell’eliminazione del patriarcato. Nell’area di Baghuz, che è stata l’ultima roccaforte dell’Isis in Siria, è stato emanato un decreto che equipara uomini e donne, «uguali in tutte le sfere della vita pubblica e privata», abolendo al contempo delitti d’onore e nozze forzate. Sempre nel Rojava sorge il villaggio di Jinwar, dove è nata una comunità autogestita di sole donne yazide, mentre a Qamishli, capitale non ufficiale del territorio, c’è un’università aperta a uomini e donne. Tutto ciò nel nord della Siria, dove i diritti delle donne sono tutt’altro che garantiti, al pari di ciò che accade in Turchia, dove vive la maggioranza (48%) del popolo curdo. Le quote rosa nell’YPG si aggirano attorno al 35%: quando osserviamo queste soldatesse, ricordiamoci che la guerra con i fucili non è l’unica che stanno combattendo.
www.letteradonna.it/it/articoli/fatti/2019/10/10/soldatesse-curde-siria-turchia/29171/?fbclid=IwAR3HtY6gAYhxyuojztLVwvzLYNL6v2WbWoHEPetW3ONVI3CP_8_0sGSY6oE

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