venerdì 18 ottobre 2019

Tutte le donne si uniscano contro la guerra turca in Siria Non basta dichiararci accanto alle curde. Ognuna di noi può fare la differenza. Non dimentichiamoci che «la storia del femminismo è intrecciata con il pacifismo». L'appello di Rosangela Pesenti.

L’attivista per i diritti delle donne Hevrin Khalaf è stata violentata e lapidata dai miliziani filo-turchi nel nord-est della Siria. Un nome tra i tanti ignoti e ignorati delle storie che ci sfuggono, tolte alla vita e alla civiltà da un attacco che mina anche la nostra vita e la nostra civiltà, soprattutto se non ce ne accorgiamo, se continuiamo a fare la nostra vita come se niente fosse. Non c’è parola per la miopia ipocrita dei nostri governi, l’insipienza collusa con i mercanti d’armi. Mentre Hevrin muore in modo atroce i profitti delle nostre economie vivono e noi con loro.

È cominciata l’ennesima guerra accanto a noi.Mentre le altre continuano ovunque. Osserviamo con sgomento l’insipienza dei governi democratici e temiamo l’ignavia del cosiddetto popolo sovrano. La storia del femminismo è profondamente intrecciata con il pacifismo e non basta dire che nessun conflitto è in nostro nome, non basta dichiararci accanto alle sorelle curde. Una dichiarazione ha valore quando è azione. Noi dobbiamo agire. L’emancipazione imitativa, alla quale siamo state indotte da scuola e società ha cancellato la lunga lotta dei movimenti femministi per la pace, la testimonianza delle donne che con le armi e senza armi hanno saputo salvare vite e territori inventando una democrazia dalla quale erano state originariamente escluse e una società civile in cui i diritti umani devono essere esigibili da tutte e tutti, di qualsiasi età e condizione. Assente dai programmi scolastici, censurato dalla grande informazione, reso sospetto alla pubblica opinione, il femminismo è comunque una grande cultura politica che sa trasmettersi di generazione in generazione. Perciò, forti della nostra esperienza politica quotidiana e orizzontale, dei cambiamenti che abbiamo determinato nelle nostre vite e in ciò che ci circonda, delle lotte combattute e vinte per il bene comune, noi donne, noi femministe, possiamo muoverci contro la guerra.

«La storia del femminismo è profondamente intrecciata con il pacifismo e non basta dire che nessun conflitto è in nostro nome, non basta dichiararci accanto alle sorelle curde».
Siamo la maggioranza della popolazione, conosciamo difficoltà e fatiche ma sappiamo come agire in ogni contesto perché ci sono stati momenti in cui ci siamo date la mano, donne diverse per età, provenienza, condizione sociale, sappiamo come ci si può mettere insieme ed essere determinanti. Invito tutte le donne che hanno un potere politico, economico, mediatico, sociale a fare un passo avanti insieme a tutte noi, moltitudini femminili che siamo farina e lievito della società civile, per trovare il modo di fermare questa guerra. Possiamo costringere i governi alla trattativa, le diplomazie ad un impegno inedito e innovativo, siamo minoranza negli organismi di potere ma possiamo contare su una maggioranza che sa agire in ogni luogo. Non è tempo di ritrosia o modestia o supponenza, non lasciamoci afferrare dallo scetticismo, dai dubbi, dal disincanto: la guerra, ogni guerra, chiama in causa tutta la nostra intelligenza politica perché riguarda la nostra stessa esistenza. Dal tempo di Lisistrata ad oggi possiamo ricordare e usare il patrimonio della nostra memoria storica per trovare il coraggio di mettere in campo le azioni più diverse ovunque siamo. Le donne consapevoli della propria storia di genere, che conoscono la storia politica di conquista invenzione ed esercizio dei diritti umani, civili e democratici, possono fare la differenza. Per questo le donne curde hanno fatto la differenza nel Rojava. Accogliamo gli uomini che vogliono agire per la pace come fratelli e compagni, ma sappiamo che la politica tradizionale non basta, non ci basta. Il tempo per mostrare la nostra forza collettiva è adesso. Appendiamo alle nostre finestre la bandiera della pace con un drappo rosa in onore delle sorelle curde, che ci hanno ricordato il nostro passato testimoniando con il loro sacrificio il valore del nostro comune futuro, oggi, nel presente.

Ecco, queste sono le parole della mia anima di vecchia femminista, scritte di getto dopo l’attacco turco in Siria. Parole che nascono da sentimenti autentici e diventano pura retorica, perché la lingua ci tradisce se diventa maschera che imbelletta la realtà e non riesce a cambiarla. I governi sospendono la vendita di armi a Erdogan. Bene, e prima dov’erano? Se non si sono resi conto dove portava la vendita di armi i nostri governanti europei, italiani compresi, sono stupidi, incapaci oppure falsi e ipocriti. Le donne curde stanno facendo quello che hanno fatto, in modi e tempi diversi, moltissime donne italiane tra il ’43 e il ’45 per salvare vite e territori e dopo, per più di 40 anni per conquistare la democrazia, eppure noi le abbiamo dimenticate, la scuola le ha ignorate, l’università rimosse, i media censurate, perfino alcune donne oggi preferiscono evitarne la memoria. Nel dopoguerra dell’Italia povera e devastata migliaia di bambini affamati si spostarono in case sicure e accoglienti, dal sud al nord, per sopravvivere a un difficile inverno. Sono stati chiamati 'treni della felicità' organizzati soprattutto dalle donne dell’UDI che hanno prontamente risposto all’idea lanciata a Milano da una delle nostre madri costituenti: Teresa Noce. Il tempo che viviamo è diverso: abiti, abitudini, abitazioni, tecnologia, comunicazione, tutto è cambiato, ma le armi uccidono sempre nello stesso modo e le case sventrate, le popolazioni in fuga, le donne stuprate, bambine e bambini morti si assomigliano sempre.

Noi oggi non abbiamo bisogno di prendere le armi, noi viviamo in case sicure e confortevoli, possiamo fare molto di più mettendo a disposizione molto meno di quanto ci serve per vivere, molto meno del nostro quotidiano superfluo. Mentre chiediamo il massimo impegno da parte della Comunità internazionale per interrompere il conflitto, far cessare gli attacchi militari e ogni disegno di persecuzione delle popolazioni che hanno diritto alla pace nei luoghi in cui sono nate e da cui hanno respinto l’Isis, possiamo ottenere prima di tutto e subito un corridoio umanitario per salvare bambine e bambini: sottrarli alla guerra significa togliere agli aggressori almeno l’arma della paura perché se i piccoli sono minacciati un popolo è più indifeso. Serve una grande organizzazione ma non più onerosa di quanto sia la guerra e noi europei abbiamo esperienza sia di guerra che di pace. Ne siamo anche capaci? Intanto che i governi decidono e le donne importanti cominciano a pensare come muoversi, noi donne che siamo più della metà del popolo sovrano possiamo organizzarci, coordinarci con tutte le associazioni possibili e senza nemmeno mettere il bollino identitario, solo per restare umane e umani, solo per il piacere di inventare il presente e aspettare con speranza il futuro, che comunque verrà. C’è un appello, di amministratori e amministratrici locali, facciamolo diventare piattaforma d’azione, opportunità di coordinamento: i governi devono fare la loro parte e noi, popolo della Repubblica nata dalla Resistenza, società civile variamente organizzata, possiamo fare la nostra. Riprendiamo e aggiorniamo le nostre affermazioni storiche: tra uccidere e morire c’è una terza via, vivere e far vivere; fuori la guerra dalla storia, dai bilanci statali e dai profitti privati.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/punti-di-vista/2019/10/14/guerra-in-siria-turchia-curdi/29177/?fbclid=IwAR3-B2wpSYgKbqCN5W3QQe2G0uWvIsomKpDCNMozJcaTxnQxbsa3w_GZE-U

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