Risorse al lumicino, interi territori scoperti. Nel primo rapporto Istat sui Centri antiviolenza le contraddizioni nella gestione di un fenomeno definito “emergenza” solo quando di violenza si muore
Segregata in casa, insultata e abusata quotidianamente, costretta ad abortire. L’ultimo caso, nella lista dell’orrore che tocca alle donne in Italia, arriva da Bologna. Vittima, una giovane originari del Marocco, che aveva trovato già quest’estate la forza di denunciare quello che subiva dal marito. Era stata accolta in un una struttura protetta, ma poi aveva ritrattato tutto, probabilmente indotta dall’uomo e dai suoi familiari, ed era tornata a casa.
Come lei, nel nostro Paese, ci sono altre 44mila vittime. Eccolo, il conto fatto per la prima volta dall’Istat, che ieri ha divulgato i dati relativi alle violenze subite dalle donne e una fotografia della trincea dei centri antiviolenza che ogni giorno se ne fanno carico, nel deserto – o quasi – di aiuti pubblici, di risorse e di attenzione istituzionale. Talmente poca che, fatti due conti, per il sostegno e l’accoglienza che ogni giorno riceve una vittima di violenza lo Stato paga meno di un euro: 76 centesimi, per l’esattezza.
Nel 2017 alla rete di aiuto che sconta ancora troppe diseguaglianze territoriali (con regioni, specialmente al Sud, ancora del tutto prive di strutture) si sono rivolte per l’esattezza 43.467 donne, ovvero 15,5 ogni 10mila, il 67,2% delle quali ha iniziato un percorso di uscita da una vita di soprusi e maltrattamenti. Drammatico l’identikit delle vittime: il 63,7% ha figli, minorenni nel 72,8% dei casi, e 27 volte su cento la persona presa in carico è di nazionalità straniera. Di fronte a questi numeri è lampante come l’offerta di centri sia ancora del tutto insufficiente. La legge di ratifica della Convenzione di Istanbul del 2013 individua come obiettivo quello di avere un Cav ogni 10mila abitanti: al 31 dicembre 2017 erano invece attivi nel nostro Paese 281 centri antiviolenza, pari a 0,05 centri per 10mila abitanti. Un abisso drammatico.
Quello che si fa (e si potrebbe fare meglio)
Pensare che invece queste strutture sono un fiore all’occhiello del nostro sistema di welfare: ottima la reperibilità offerta (mediamente 5 giorni a settimana per circa 7 ore al giorno), con la quasi totalità che ha attivato diverse modalità per esserlo in modo continuativo, dal numero verde alla segreteria telefonica. Molti, inoltre, i servizi offerti in risposta all’esigenza di personalizzazione dei percorsi per superare abusi e sopraffazioni subite e bene anche l’attività di educazione nelle scuole, svolta da nove centri su dieci. Con un valore aggiunto impagabile: l’informazione e la formazione all’esterno rivolta agli operatori sociali (la svolgono il 71,7% dei centri), agli operatori sanitari (il 60,5%), alle forze dell’ordine (il 49,8%) e agli avvocati (il 43,4%). Senza contare che per gestire le situazioni di emergenza l’85,8% dei Centri antiviolenza è collegato con una casa rifugio, dove le donne possono concretamente – e da subito – trovare protezione per se stesse e per i propri bambini.
Fa specie allora che più della metà delle professioniste che lavora in un Cav lo faccia senza essere retribuita: è volontario il 56,1% del personale specializzato (che nel totale – tra pagato e gratuito – raggiunge le 4.403 unità), con la maggiore quota di volontarie tra le operatrici e le avvocate. Ma volontariamente, spesso, per aiutare le altre donne si offrono anche infermiere, psicologhe, educatrici, mediatrici culturali. Un vero e proprio “esercito del bene”, quasi completamente dimenticato dalle istituzioni. L’ente promotore delle strutture – cioè la persona giuridica pubblica o privata che ha la titolarità del servizio in quanto lo finanzia – è infatti prevalentemente un soggetto privato, e in quasi tutte le regioni (61,3%).
I soldi e l'attenzione che mancano
E nel 2017, sembra incredibile, i fondi pubblici per i Centri antiviolenza sono stati 12 milioni di euro, che – se divisi per il numero delle donne accolte secondo l’Istat – fa appunti meno di 1 euro al giorno, 76 centesimi per la precisione secondo i conti di Donne in rete contro la violenza (D.i.Re), che nel 2017 ha accolto la metà delle 44mila donne rivelate dall’Istat. «Il quadro che emerge dalla rilevazione conferma le criticità che da sempre e continuamente mettiamo in evidenza – è il commento della presidente, Lella Palladino –. I centri antiviolenza sono troppo pochi, con interi territori scoperti, il personale solo parzialmente retribuito, le risorse assolutamente al di sotto del bisogno».
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/lo-stato-e-quei-76-centesimi-al-giorno-per-le-donne-vittime-di-violenza?fbclid=IwAR2RJ49q9gzk7fk8SoSBA42d7nkvCd1oirwkF0AU-o2QQlxIgv1a9eb68LE
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