venerdì 23 maggio 2025

Incontro con l'autrice Rosa Teruzzi 29.05.2025

Giovedì 29 maggio alle 20,45
 al Saloncino La Pianta 
 (via Leopardi. 7 Corsico)  
incontreremo Rosa Teruzzi che ci racconterà la sua recente fatica 
"La giostra delle spie".

 Vi aspettiamo








 

martedì 20 maggio 2025

I primi 50 anni della riforma del Diritto di Famiglia, di Marisa Malagoli Togliatti



Ricorre, il 19 maggio, il cinquantesimo anniversario della legge 151 che costituisce una pietra  miliare nella lotta contro il “patriarcato”, per l’affermazione  di una nuova cultura basata sul rispetto  dei diritti di tutti.

Premessa


Ricorderei innanzitutto quanto il prof. Cesare Massimo Bianca(ordinario di Diritto   di Famiglia presso la Sapienza) insegnava e scriveva nei suoi trattati: Il diritto deve adeguarsi  alle istanze sociali e culturali, alle esigenze e ai cambiamenti di vita in atto in un contesto socio-economico in continuo cambiamento, ovvero deve proporre modifiche delle norme esistenti e rispondere in modo adeguato al rispetto  dei diritti dei singoli armonizzandoli con i diritti relazionali e delle formazioni sociali.  Questa concezione dinamica del diritto si può applicare  alla struttura familiare che ha visto nel corso di meno di un secolo grandi trasformazioni, non più basata sull’autorità del pater familias, a partire dalla Costituzione quella che si è configurata dopo la seconda guerra mondiale è una “famiglia democratica” basata sulla solidarietà, su rapporti paritari tra uomo e donna , ma anche su un ruolo genitoriale più responsabile e più attento alle esigenze evolutive dei figli, alle loro capacità e inclinazioni, alle loro scelte.  Nel contesto del microsistema familiare è sempre  più  necessario trasmettere la coerenza e l’essenza del diritto  con l’essenza dei valori della persona, attraverso la applicazione delle norme vigenti in ogni specifica situazione e pronti ai cambiamenti evolutivi  necessari, sempre tenendo  conto della centralità dei valori della persona e delle sue relazioni nei vari  contesti di appartenenza.  


La Riforma del diritto di famiglia ha  inciso profondamente nella vita di tutti i cittadini e nei rapporti tra i componenti il gruppo familiare nucleare e allargato. La legge  151 costituisce una pietra  miliare nella lotta contro il “patriarcato”, per l’affermazione  di una nuova cultura basata sul rispetto  dei diritti di tutti. Innanzitutto vorrei sottolineare che è basata sulla attuazione  della Costituzione Italiana  a cominciare dall’art 3:“tutti  i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge”. La nuova  cultura  è  quella di una famiglia democratica in cui ogni singolo componente ha diritti e doveri che devono essere rispettati e salvaguardati. Nilde Iotti nella sua relazione  sulla  famiglia alla Sottocommissione dei 75,  riuscì a trovare una sintesi tra il rispetto dei diritti dei singoli e il senso della formazione del nucleo familiare. Così scriveva: “Nella vecchia legislazione e nel vecchio costume del nostro paese, la famiglia ha mantenuto sinora una fisionomia che si può definire antidemocratica. In particolare le condizioni arretrate della donna, la pongono in uno stato di inferiorità, rendendo per essa la vita familiare un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona”..…..”la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita ad una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina”.


Nel testo della legge di Riforma del diritto di famiglia,  innanzitutto viene ribadita con forza l’eguaglianza morale e  giuridica dei  coniugi, i doveri e diritti dei genitori verso i figli, la tutela giuridica e sociale dei figli nati fuori dal  matrimonio(vedi art. 30 della Costituzione)  definiti fino ad allora illegittimi e da allora  fino al 2012 “naturali”.  Per quanto riguarda i diritti dei figli l’iter  è stato completato con la legge 219 del 2012 sulla filiazione, elaborata dalla Commissione presieduta dal prof. Bianca.


Fino al 1975, erano in vigore le norme del  codice civile del 1942( codice Rocco) basato su un modello  autoritario  e gerarchico della  famiglia: ad esempio  il marito era definito il capo della famiglia, decideva sull’indirizzo educativo dei figli e la  moglie doveva accompagnarlo dovunque egli decideva  di fissare la residenza. Un piccolo passo era stato già  compiuto nel 1956 quando fu abolito lo jus corrigendi (art  571 C.P) basato sul principio paternalistico relativo alla considerazione che, poiché la donna è  debole, il marito ha il dovere/diritto  di “correggerla”  anche con la forza. Lo stesso dovere/diritto valeva anche  nei confronti dei figli. Dal 1996 non si parlò più di abuso dei mezzi di correzione,ma di violenza familiare.


Ricordiamo in particolare che dal 1970 era stata approvata la legge sullo scioglimento della unione coniugale, legge sul divorzio, riconfermata dal referendum del 1974 ed era sempre più necessario coordinare le esigenze di cambiamento della struttura familiare con i principi costituzionali. Sono  gli anni in cui abbiamo un lungo e complesso impegno delle associazioni femminili e femministe  in dialogo con le donne dei partiti  di sinistra e di centro. Ricordiamo in particolare,oltre a Nilde Iotti, Franca Falcucci, Maria Eletta Martini,Giglia Tedesco capaci di armonizzare  la legge 151 con gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione.


Nella legge del 1975 si  stabilisce che con il matrimonio il marito e la moglie  acquistano gli stessi  diritti e assumono gli stessi doveri.   Nel codice del  1942  era prevista  la potestà maritale in quanto il marito è capo della  famiglia e la moglie obbligata ad accompagnarlo  dovunque egli creda  opportuno  di fissare  la sua  residenza. Nelle norme del 1975: ognuno dei due coniugi  ha il domicilio  nel luogo in cui ha la sede  principale dei propri affari  o  interessi, il figlio ha domicilio  con il genitore con  cui convive prevalentemente.  Viene integrata la normativa sul divorzio per cui il matrimonio è impugnabile se uno o entrambi presentano incapacità  di intendere e volere, se sono stati interdetti, se  il  consenso è stato  estorto  con la violenza o per errore sulla  identità  della persona per malattia fisica/psichica…o per sentenza di  condanna per delitto  non  colposo non inferiore a 5 anni.


Art. 25, 26, 27 legge 151. La moglie aggiunge al  proprio  cognome quello del  marito( fino  ad allora sostituiva), i coniugi concordano  tra loro  l’indirizzo  della vita  familiare e fissano  la residenza secondo  le esigenze di  entrambi e della  famiglia. Art 29 i genitori debbono educare i figli tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione  naturale e delle aspirazioni  dei  figli. Ciascuno dei due ha il potere di attuare l’indirizzo concordato, in caso di disaccordo può  essere  chiesto l’intervento  del  giudice che adotta, con provvedimento non impugnabile, la soluzione più  adeguata. Viene abolito l’istituto  della dote in quanto  entrambi  i coniugi sono  tenuti, ciascuno  in relazione alle proprie sostanze e alle  proprie  capacità di lavoro(professionale  o casalingo) a  contribuire ai bisogni  della famiglia.


Di fatto  cambia la struttura  interna della famiglia  riconoscendo la completa  parità tra uomo e donna  e rafforzando la tutela  giuridica dei figli, anche di quelli nati  fuori  dal  matrimonio. Per ribadire la parità tra uomo e donna nell’ambito della struttura  familiare,nel 2006 viene promulgata la legge n.  54 che,in caso  di separazione tra i genitori, stabilisce come prioritario  il regime di  affido  condiviso per valorizzare  l’impegno di  entrambi i genitori  in caso  di cessazione  della  convivenza. Un ulteriore passo in avanti si ha con la legge 219 del 2012 che sostituisce  il concetto di potestà  genitoriale con il concetto di  responsabilità genitoriale e con l’abolizione della discriminazione tra figli legittimi e figli “naturali” come erano stati  definiti  nel 1975 i figli nati  fuori dal matrimonio. La legge n. 219/2012(pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre 2012) sancisce l’unicità dello stato giuridico di figlio. D’ora in poi, tutti i figli avranno gli stessi diritti a prescindere dalle condizioni in cui è avvenuta la nascita, all’interno del matrimonio o fuori di esso.


In questo modo il diritto pone attenzione al numero crescente ( in assoluto e in percentuale) delle coppie che non sanciscono col matrimonio la loro unione, ovvero alle coppie di fatto e apre ulteriori problematiche per i figli nati in situazioni particolari. Anche in questa legge il diritto cerca di normare le “nuove famiglie” tutelando  soprattutto i diritti dei figli. Sia negli articoli del codice civile che negli articoli del codice penale si parlerà di figli senza  specificare  se nati da genitori coniugati, da genitori non coniugati o da single.  Sempre per tutelare i minori vengono estesi  gli effetti del  riconoscimento anche ai rapporti affettivi e patrimoniali con gli ascendenti e i parenti in generale; mentre fino ad allora il figlio aveva rapporti giuridici, ovvero diritti e doveri solo verso i genitori e non verso i componenti della famiglia prossimi come nonni e zii. Vengono cioè riconosciuti non solo i rapporti affettivi, ma anche i diritti successori in base alla nozione  di  parentela,ovvero del vincolo  tra  persone  che  discendono dallo stipite di entrambi i genitori e quindi i diritti del minore  ad essere assistito moralmente ed affettivamente, al mantenimento, all’ educazione, all’ istruzione, alla successione, alle  donazioni.


Con la legge 219, nota come riforma della filiazione  si viene finalmente a completare il difficile percorso legislativo che valorizza la famiglia basata sugli affetti.


 Rendere concrete  le  considerazioni  sui diritti,  ribaditi negli articoli  2,3, 29,30 e 31della  Costituzione   articoli  che riconoscono i diritti  inviolabili e la pari dignità sociale di tutti i cittadini, la piena parità di  diritti e doveri  tra uomo e donna e i diritti/doveri tra genitori e figli. Negli anni successivi al dettato costituzionale sono stati  affrontati i problemi relativi alla attuazione di  quei principi utilizzando i  portati delle ricerche sociologiche sui cambiamenti nel  corso degli anni relativi alla famiglia: formazione sociale “naturale” ma condizionata da molteplici fattori e in continua trasformazione e alla intersezione di elementi di  trasformazione culturale,  economica, politica. Le leggi che riguardano la  famiglia  o  meglio che  presentano particolare attenzione ai bisogni e alle  esigenze dei   suoi  componenti  visti non solo come singoli  individui ma soprattutto  come microsistema  basato su  modalità  relazionali in continua evoluzione.


La “famiglia è un’importante crocevia di altri fenomeni da analizzare e integrare” :“ i modelli  storico-sociali di genere, i rapporti  tra  generazioni, la attenzione alle  condizioni dell’infanzia.  Il discorso pubblico sulla famiglia è spesso intessuto di conflitti ideologici, ambiguità ed equivoci. L’invecchiamento delle parentele ha trasformato  i rapporti tra le  generazioni. Separazioni e divorzi hanno modificato  le famiglie e i confini tra le famiglie:parliamo di famiglie separate, famiglie nucleari,  famiglie monogenitoriali, famiglie allargate, famiglie ricostituite, famiglia monogamiche. Abbiamo un’evidenza crescente delle  famiglie basate su unioni civili secondo varie declinazioni: famiglie omofile( normate dalla legge Cirinnà del 2016) e dalle famiglie queer: comunità  di  persone che, indipendentemente dal  genere di  appartenenza o dall’orientamento  sessuale,vivono insieme per  scelta o sono legate da affinità affettive, sentimentali  e dalla  condivisione  di attività.


Marisa Malagoli Togliatti

https://www.fondazionenildeiotti.it/new_test/pagina.php?id=1321&fbclid=IwY2xjawKZHDpleHRuA2FlbQIxMABicmlkETB5UWxWTE1EZWNPbUtMcVlUAR6Bf1EokPWrFOtjoSDo2idPJGKPuljPsCCzypUiuYDQBdB5VcsGupXUXMUi2g_aem_VdUsVNp1iXty


venerdì 16 maggio 2025

"Giornaliste di verità e coraggio" lunedì 19 maggio 2025

Vi invitiamo a partecipare alla serata  "Giornaliste di verità e di coraggio" nel corso della quale Sara Manisera e Rosaria Capacchione,  intervistate da Paolo Lambruschi, ci racconteranno la loro esperienza di donne impegnate a difendere i diritti e a promuovere una cultura della legalità.
Lunedì 19 maggio 2025  ore 19.30 
 Saloncino La pianta,  via Leopardi 7Corsico  
prima dell'incontro buffet con prodotti etici e solidali



martedì 13 maggio 2025

Perché l’Italia sta diventando un Paese che odia le madri di Maddalena Comotto

La maternità continua a calare in modo preoccupante. Svalutata dal mondo del lavoro, dalla politica, dalla società rimane anche un nodo irrisolto del femminismo

Oggi è la festa della mamma, purtroppo c’è ben poco da festeggiare. Negli ultimi anni in Italia ha preso piede una tendenza a considerare poco la maternità, fino a una vera e propria ostilità.


Lo Stato ha sul tema un atteggiamento ambivalente: da un lato si rende conto che non può prescindere dal ruolo femminile materno e cerca di incentivarlo, dall’altro non lo protegge con adeguate tutele.  Nonostante la legge sulle pari opportunità del 2006 nel 2024 una lavoratrice su cinque ha dovuto lasciare il lavoro per l’impossibilità di coniugarlo con la famiglia, il 72,8% delle dimissioni dei neogenitori è costituito da donne. 

La maternità è vista come un peso dal punto di vista lavorativo, spesso comporta penalizzazioni professionali o economiche: le colleghe che chiedono semplicemente i propri diritti vengono percepite come pigre, donne che non si realizzano in pieno e che gravano sugli altri. 

Dal 2008 al 2023 la natalità è diminuita del 34,2%  e dati provvisori del 2024 indicano un calo ulteriore. Molte persone se ne dichiarano contente: “siamo in troppi”, “è una scelta ecologica”, oppure la solita “tanto i figli li fanno gli immigrati”. Il ricambio generazionale dato dall’immigrazione è vero solo in parte, specialmente con gli ultimi flussi migratori costituiti non da famiglie ma da uomini soli; inoltre, è piuttosto razzista pensare che, siccome la maternità è complicata e degradante nella nostra società, sia meglio subappaltarla a qualcuno che riteniamo “inferiore” e non affrontare i problemi che essa comporta per poter essere vissuta in sicurezza e dignità.

Molte donne però hanno un rifiuto per la maternità che è molto più forte del semplice non volerlo per se stesse. Se nei colloqui di lavoro le donne sono discriminate e  il 30%  di loro ha ricevuto la domanda  “vuoi avere figli?”, è così sorprendente che alcune per sentirsi realizzate vogliano vivere come uomini?  Vogliano distaccarsi dal gruppo oppresso?

La legge 54 sulla bigenitorialità non aiuta. La bigenitorialità a tutti i costi infatti si colloca in un sistema che sta cercando di ridimensionare la maternità e renderla praticamente equivalente alla paternità. E adesso, a peggiorare le cose,  in Commissione Giustizia al Senato c’è in discussione un disegno di legge sull'”affido condiviso”, detto anche ddl Salomone,  che prevede la bigenitorialità perfetta.

Padri assenti, o addirittura violenti, si ritrovano in nome di un possesso patriarcale a esigere il figlio e trovarsi questo diritto garantito, anche dopo violenze sulla madre. E può raggiungere vette di follia, quando la madre che denuncia si ritrova a perdere il figlio con l’accusa di sindrome di alienazione parentale, cioè di aver messo il figlio contro il padre. In questo caso, i diritti del padre superano il diritto della madre di potersi allontanare dalla violenza tanto quanto quelli del figlio di rifiutare tale violenza.

Caso emblematico, quello di Monteverde a Roma in cui il condominio intero si è mobilitato per impedire alle forze dell’ordine di prelevare la bambina, Stella, di cinque anni dalla mamma, rea di “aver trasmesso il rifiuto genitoriale” verso il padre violento e, per questo, di essere considerata un pessimo genitore quanto il compagno. 

Questo caso è finito sui giornali, ma tanti, troppi altri no, anzi, il clamore mediatico è tutto dato al famoso gruppo dei “padri separati” che, a causa dell’assegno di mantenimento, secondo il mito, vivrebbe di stenti e in auto.  L’Istat però ci dice che sono proprio le donne separate con figli a essere sotto la soglia di povertà assoluta, ma le loro statistiche passano in sordina rispetto alle battaglie maschili.

Se il rapporto madre bambino non è così importante non c’è motivo per cui la gravidanza non possa essere subappaltata a esterni. Un outsourcing come un altro in paesi più poveri e dove c’è sfruttamento. Eppure, checché si cerchi di negarlo, come nel caso delle mamme denigrate mamme pancine, la maternità è totalizzante, un’esperienza che comprende un rapporto con la creatura in grembo e che, soprattutto, comporta rischi e disagi per la salute, anche a lungo termine. L’utero non è una parte del corpo che può essere subaffittata autonomamente, così come il contributo materno non può essere paragonato a quello paterno che biologicamente si ferma all’eiaculazione.

OSTACOLO ALL’EGUAGLIANZA O EMPOWERMENT?

Anche nel femminismo il tema della maternità è diventato divisivo. Alcune riflessioni di femministe famose, come Simone de Beauvoir, che scrisse che “la maternità è un campo di battaglia sul quale è stato eretto l’edificio del patriarcato”, sono spesso citate come critiche alla maternità. Simone de Beauvoir, in realtà, criticava la maternità inconsapevole ed egoista; la decisione di diventare madre doveva essere presa con l’obiettivo di mettere al mondo persone libere e, comunque, la maternità non doveva essere vista come l’obiettivo principale della vita di una donna. Sebbene la precisazione sembri una difesa della maternità stessa, in realtà pone una condizione spesso citata dalle critiche alle madri: per essere davvero madre, infatti, non basta aver messo al mondo un figlio, averlo curato e amato, ma bisogna averlo fatto per le ragioni giuste, essere cioè degne. Chi decide però chi è davvero una degna madre?

Il femminismo liberale nasce con l’obiettivo di garantire alle donne le stesse opportunità degli uomini. Ma come può una madre avere le stesse opportunità se, di fatto, si assenta da lavoro e richiede meno ore? Purtroppo una parte del movimento non ha individuato il problema nel fatto che il mondo lavorativo sia modellato sulla base maschile, ma ha additato la maternità, che di fatto legherebbe mani e piedi alle donne a una condizione subordinata e di non realizzazione. Non solo, le “mamme” sarebbero pure ree di danneggiare le altre donne che non vogliono figli, creando un sistema che danneggia le donne (già a partire dai colloqui) rendendole pericolose, con il loro utero simile a una bomba pronta a esplodere sul datore di lavoro.

Tutte queste critiche sono legittime ed è vero che per molte donne la maternità, oggi e nella nostra società, è un percorso fatto di rinunce, frustrazioni, rabbia e difficoltà a collocarsi adeguatamente nel mondo lavorativo e sociale. Ed è altrettanto vero che, sebbene sia possibile da un punto di vista tecnico-scientifico viverlo come un percorso solitario, la maggior parte delle donne vive la maternità in coppia e in famiglia, con tutti i problemi che questo comporta. Dare valore a questa esperienza e aiutare le donne che la scelgono, non vuol dire che ogni donna debba farlo ma capire che la maternità è un’esperienza unicamente femminile e che va rispettata. Passare da un eccesso all’altro non serve a nessuno, solo a inventarsi un nuovo livello di misoginia.


 di Maddalena Comotto

https://feministpost.it/da-voi/perche-litalia-sta-diventando-un-paese-che-odia-le-madri/?fbclid=IwY2xjawKP9BJleHRuA2FlbQIxMABicmlkETBwTzBaN3JTdEFscGw5Z3FoAR5igT4yrQlGWrHC4GqBi-ljW0NQiaQmU8R6p6X5ghvBCxZSudBPqtFhgrw

sabato 5 aprile 2025

Sara per strada, alla fermata dell'autobus. Ilaria in casa e poi buttata in un dirupo dentro una valigia. Ancora, ancora...

 Uccise a coltellate all'inizio della primavera

Sara per strada, alla fermata dell'autobus. Ilaria in casa e poi buttata in un dirupo dentro una valigia. Ancora, ancora...

Diminuiscono gli omicidi, rimane immutato il numero dei femminicidi, fenomeno preoccupante perché profondo e radicato. Violenze estreme, inumanità. 

E' pazzesco, insopportabile! 

Una recente legge introduce nel Codice Penale il reato di femminicidio [termine che fino a poco tempo fa veniva da molte parti contestato] e dà nome ad un omicidio “commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l'esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l'espressione della sua personalità” che viene punito con il carcere a vita. 

E' un buon punto di partenza.

L'approccio penale è un aspetto, la risposta ad un atto già avvenuto, ma serve continuare il percorso. Bisogna risalire alle cause che scatenano la violenza maschile sulle donne anche perché il fenomeno coinvolge sempre più frequentemente giovani uomini. 

Serve la prevenzione. Non ci stanchiamo di dire che bisogna educare all'affettività, alla gestione dei sentimenti e delle emozioni, alla sessualità che nulla ha a che fare con il fantasma del gender che viene sventolato ogni qualvolta si dice che nell'educazione devono essere coinvolte le scuole. 

Serve cambiare quella cultura che viene da lontano secondo cui agli uomini tutto è dovuto, hanno diritto ad avere qualunque cosa vogliano, donne comprese, cultura che crea uomini incapaci di accettare di essere lasciati o rifiutati e trasformano il dolore di un abbandono o di in rifiuto in odio e rabbia che può generare la violenza omicida.

E' un compito faticoso in un momento in cui all'orizzonte sono comparsi uomini che si considerano padroni del mondo e hanno come modello una società “mascolina”  e patriarcale, in cui la forza e la violenza sono normali strumenti di governo.

Ma sappiamo che ci sono “uomini che stanno dalla parte giusta” sempre più numerosi, convinti che bisogna destrutturare stereotipi e costruire nuovi modelli di uomini liberati dalle idee del possesso e del controllo retaggio di arcaici condizionamenti. 

Bisogna accompagnare alle necessarie parole i fatti ed attivare azioni strutturali, fare sistema Istituzioni e società civile, uomini e donne, ragazze e ragazzi insieme perché questa realtà è insopportabile ed inaccettabile.

sabato 15 marzo 2025

"Donna faber "mostra fotografica

 E' ancora il mese di Marzo. Parliamo di donne, parliamo di lavoro.

Vi invitiamo sabato 22 alle ore 18 all'inaugurazione della mostra. 

 Per ragionare insieme a Emanuela Abbatecola, sociologa dell'università di Genova e   Federico Montaldo, fotografo e curatore della rassegna 

"Il mondo del lavoro contemporaneo è ancora legato a stereotipi sessuali e sessisti: i lavori da uomini e i lavori da donne.

Tali confini, così come la cultura che contribuisce a costruirli e a rafforzarli, rimangono invisibili al nostro sguardo, almeno finché qualcuna, o qualcuno, sfida le regole (per scelta, per caso o per necessità), attraversandoli.

Come viene colta questa sfida? Quali sono gli stereotipi che entrano in gioco? Quali le pratiche di resistenza? Come demolire questi stereotipi che producono barriere in ingresso e sessismo?

La mostra “Donna Faber” risponde ad alcuni interrogativi usando la fotografia come strumento per far emergere e comprendere aspetti di una complessità spesso sfuggenti. Una carrellata di interviste e fotografie di donne in ambienti lavorativi da uomini: fabbre, camioniste, minatore, chef, guide alpine, elicotteriste, elettriciste, vigili del fuoco, falegname, maestre d'ascia, ingegnere meccaniche, capitane di navi e molte altre ancora. Donne che con coraggio e passione entrano nei lavori considerati esclusivamente “da uomini” e affrontano le sfide di un mondo che le respinge".



sabato 8 marzo 2025

8 marzo 2025 Giornata internazionale della donna

 Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”

                       Salvatore Quasimodo


Abbiamo pensato che forza, arroganza, sopraffazione, fossero alle spalle dell'Occidente

moderno, invece sono ritornate.   Sono fra noi.

E' arrivata la nuova stagione delle guerre fra Stati, Istituzioni, gruppi sociali e politici

combattute con moderne armi e nuove parole.

Nuovi dei, nuovi eroi legittimano il valore dell'insulto, dell'umiliazione, scatenano “moderni

combattimenti” in tempo reale, sbraitano in diretta televisiva mondiale e nella rete, diventata

ricettacolo della violenza e della miseria.

E' l'effetto dell'ostentazione sfacciata della “mascolinità tossica”, dei “comportamenti

aggressivi”, dell'ideologia della forza e dell'esibizione di muscoli che diffondendosi come

virus rischiano di infettare il tessuto democratico del mondo.


Avviene poi a tutte le latitudini ed anche vicino a noi l'esibizione dell'antica arte di una

misoginia mai sopita quando delle donne si pensa e si dice con aggressività che le loro

carriere lavorative, i loro ruoli sociali e politici siano da attribuirsi all'appartenenza di genere

e non alle loro competenze e capacità. Un vizio antico che resiste in alcune aree sociali e

culturali.


In questo clima di turbolenza generato da aggressività e violenza arriva l'8 marzo.


E noi donne che abbiamo vissuto un momento storico in cui valori come Pace, Ragione,

Giustizia, Libertà, Diritti sono stati fondamenti della nostra identità sociale non vogliamo

tornare indietro.

Dobbiamo [donne e uomini orgoglios* della cultura del rispetto] riflettere, attivare energie,

sommare azioni positive per proteggere le Istituzioni, la Democrazia e l'Umanità intera.


giovedì 6 marzo 2025

le iniziative legate all'8 marzo Giornata internazionale della donna.



Venerdì 7 marzo alle ore 21 si potrà assistere alla Commedia brillante a cura dell' Amministrazione comunale

"BENTORNATA FRANCESCA"

 di e con Valentina Ferrari,un omaggio alle donne emancipate e controcorrente.

 Sabato 22 marzo alle ore 18 ci sarà l'inaugurazione della mostra "Donna Faber", ovvero come scardinare gli stereotipi legati alla scelta del lavoro, a cura di ventunesimodonna in collaborazione con l'A.C.

Saranno presenti Emanuela Abbatecola e Federico Montaldo, autrice e curatore della mostra.Seguirà rinfresco

 Venerdì 7 al cinema Cristallo sarà proiettato il film " Amore a Mumbai" cineforum organizzato in collaborazione con le associazioni Sibilla Aleramo di Cesano Boscone e Demetra Donne di Assago.

 

 

mercoledì 12 febbraio 2025

Uomini che ammazzano le "loro" donne. Donne e uomini detenuti, 4 su 100. Femminismi. di Adriano Sofri

A Rufina, Firenze, e a Venaria, Torino, i titoli, staccati di nemmeno un giorno, sono così simili da far pensare a una stessa notizia: uomo che uccide la moglie accoltellandola alla schiena, 24 volte, e poi tenta il suicidio. I dettagli poi sembrano distanziare i fatti: alla Rufina i due coniugi sono trentenni, lavorano ambedue, lui è un architetto, hanno un bambino di un anno e mezzo, l'aggettivo ricorrente è "tranquilli", qualcuno si spinge a ripetere la formula della "coppia perfetta". Niente di più allarmante che l'aggettivo "tranquillo" e la "coppia perfetta". A Venaria cinquantenni, meno agiati, lui invalido, di modi brutali, i vicini "l'avevano sentito dire tante volte che l'avrebbe uccisa, ma non se lo aspettavano". Lei sì. Nello stesso paio di giorni, un altro uomo finisce per confessare di aver ucciso, due settimane prima, la sua compagna, e di averne buttato da qualche parte il cadavere, senza ricordare bene dove. 

Che ne è dunque dell'emozione accesa attorno ai femminicidi e la mobilitazione di coscienze e misure pratiche che sembrava aver suscitato? Qualche "esperto" avverte che l'attenzione sollevata sul tema può addirittura fomentare l'emulazione, argomento frequente quanto desolante. E' un fatto che l'uomo che spinge la propria violenza contro la "sua" donna fino al punto di ucciderla, e infierendo, mostra di essere illeso dalla condanna pubblica e di trattare la propria rabbia, frustrazione, offesa, e qualsiasi altro nome dia al proprio imbestiamento, come un affare del tutto personale, che riguardi solo lui, una prima inesorabile volta. E il suicidio, riuscito o mancato, a volte vero più spesso simulato o dimezzato, vale a coronare il gesto ultimativo. Non voglio certo dire che l'impegno all'educazione, all'esempio morale, al piacere paziente dell'allargamento delle maglie e dello scioglimento dei nodi, non sia un compito cruciale, a cominciare dall'infanzia. Tuttavia, il "cambiamento culturale" invocato di prammatica farebbe bene a rassegnarsi all'enorme divario fra il suo tempo largo e quello stretto di una cultura arcaica ed emarginata dal cambiamento troppo svelto dei modi di vita. I vicini, dove ancora esistono, e sentono dire "prima o poi la uccido", e "non ci possono credere". I familiari, che poi costernati dicono: "Negli ultimi tempi non era più lui...". La mentalità ha bisogno della lunga durata, e bisogna sbrigarsi con l'intervento dei carabinieri, la cavigliera elettronica (funzionante), la stessa carcerazione che risponda a una minaccia comprovata e incombente, per limitare l'obbrobrio che mette donne, indipendentemente dalle loro differenze, in balia di uomini. 

Le carceri italiane, famigerate e spesso compiaciute del proprio sovraffollamento, folla sopra folla, continuano ad avere una quota di detenute del 4 per cento sul totale della cosiddetta popolazione penitenziaria. (E' più o meno così nel resto d'Europa). E il dato è costante, cioè non registra alcun cambiamento - il progresso consisterebbe in un aumento della criminalità femminile. Se non mi sfugge qualcosa, questo dato è incomparabile con qualsiasi altro sullo squilibrio fra i sessi, negli stipendi o nei ruoli socialmente rilevanti. La stessa irrisoria percentuale misura l'uccisione di uomini da parte di loro partner femminili, e il fallimento del nome polemico di "maschicidio". 

Studiose e militanti donne si sono occupate di questo fenomeno e della sua storia. Ma la considerazione pubblica è ancora sorprendentemente distratta. La statistica sulla popolazione carceraria è un altro modo per dire che una donna che si innamori di un uomo - uso questa terminologia, che continua ad avere un senso - ha ragione di mettere nel conto il rischio per la propria incolumità, preoccupazione che un uomo ha ragione di ignorare. Viceversa, un uomo che si innamori di una donna ha ragione di mettere nel conto il rischio che farà correre alla donna di cui si è innamorato. Fino all'estremo.

Leggevo ieri, in un'intervista sulla Stampa di Simonetta Sciandivasci a Rossana Campo, questo passo, su un tema che abbiamo ritrattato nei giorni scorsi: "Gli autori dei grandi romanzi e delle grandi opere liriche che hanno dato vita a eroine avidamente attaccate alla vita, se pure le hanno raccontate con passione, hanno finito sempre per farle morire ammazzate o suicide. Anche se inconsciamente, le punivano. Non credo sia un caso che le scrittrici che hanno dato vita a personaggi altrettanto vitali e problematici, non li abbiano poi uccisi". Anche grandi romanzieri e librettisti sono stati in regola con l'infima percentuale di donne "delinquenti". Sempre ieri ho trovato questo brano di Hannah Arendt: "La verità è che io non ho mai avuto la pretesa di essere altro o diversa da quella che sono, né ho mai avuto la tentazione di esserlo. Sarebbe stato come dire che ero un uomo e non una donna: ossia qualcosa di insensato... Esiste una sorta di gratitudine di fondo per tutto ciò che è com'è...". Arendt trattava del suo rapporto con l'ebraicità, ma le sue parole mi paiono appropriate a un altro fenomeno di questi giorni, che è una esacerbazione forse irreparabile, quanto ai toni reciproci, della (delle) divergenza fra posizioni originariamente femministe. Già forti e aspramente espresse, queste divergenze, che coinvolgono fortemente benché di rimando anche gli uomini, sono chimicamente precipitate dall'avvento del regime trumpiano e dalla sua vendetta su ogni valorizzazione delle differenze che non siano quella fra chi ha il potere e chi invece non ce l'ha. Non saprei discuterne adeguatamente, e forse per questo mi sembra di riconoscere molto di interessante e di fecondo in posizioni che si presentano a vicenda come inconciliabili e risentite: come un turatiano nel '21, per sorridere un po' di me. Ma il cedimento allo spirito della rottura e della demarcazione è una tentazione micidiale del '22, del '33, e del 2025.

martedì 11 febbraio 2025

BUONA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE DONNE E DELLE RAGAZZE NELLA SCIENZA! di Stefano Fortini

L’11 febbraio di ogni anno si celebra la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, un evento promosso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015. Oggi ricorre quindi il decimo anniversario dell'istituzione di questa ricorrenza.

Secondo i dati più recenti dell’UNESCO, meno del 30% dei ricercatori a livello mondiale sono donne, inoltre la disparità di genere è testimoniata anche dal fatto che le donne che fanno ricerca in ambito scientifico-tecnologico sono pagate meno e hanno maggiori difficoltà rispetto agli uomini a progredire nelle loro carriere (fonte: http://uis.unesco.org/en/topic/women-science).

Negli ultimi decenni sono stati compiuti alcuni progressi verso l’uguaglianza di genere nelle discipline STEM. Tuttavia, le donne e le ragazze continuano a essere escluse dalla piena partecipazione alla scienza: i dati statistici disponibili evidenziano un pregiudizio nei confronti delle donne e mostrano che siamo ancora lontani dalla parità di impiego. 

Spero davvero che questa giornata possa promuovere il dibattito e sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema al fine di colmare il divario, raggiungere l’uguaglianza di genere e dare effettivamente potere alle donne e alle ragazze rafforzando la loro libertà di scegliere il proprio futuro.

I miei migliori auguri a tutte le donne e alle ragazze che si occupano – professionalmente o anche solo per passione – di scienza! 

Immagine: Serie di illustrazioni per la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, opera dell’artista spagnola Beatriz Arribas de Frutos. Da sinistra: Rosalind Franklin, Margarita Salas, Vera Rubin, Emmy Noether, Chien-Shiung Wu, Jane Goodall (fonte: https://www.artconnect.com/.../international-day-of-women...).

#donneescienza #donne #giornatainternazionaledelledonneedelleragazzenellascienza #scienza

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lunedì 10 febbraio 2025

Ottant'anni di voto alle donne

Ottant’anni è un tempo breve in prospettiva storica, più o meno equivalente nel nostro paese all’aspettativa di vita media di una persona. Vale la pena di rimarcarlo, per ricordare che la vicenda delle donne come cittadine, in Italia, è cominciata ieri.È cominciata grazie alle battaglie del femminismo suffragista, impegnato per decenni contro una cultura che considerava la partecipazione femminile alla vita politica ridicola, assurda e potenzialmente dannosa. Ma soprattutto grazie al contributo straordinario che le donne diedero alla Resistenza contro il nazifascismo, verso cui il diritto di voto – sostenuto da Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi – arrivò anche come riconoscimento di valore.

Politica maschile

Ottant’anni sono pochi, ma sembrano tanti se si considera la lentezza dei progressi compiuti da allora. Più che un progresso lineare, la storia della partecipazione alla vita democratica della metà femminile del démos descrive una traiettoria costellata di successi e fallimenti nella lotta contro l’ostilità, più o meno dichiarata, della politica maschile.Lo stesso decreto del 1945, mentre riconosceva alle donne l’elettorato attivo, dimenticava di parlare della loro eleggibilità. Una svista – così la trattò Togliatti – a cui mise rimedio il successivo decreto del 10 marzo 1946 esplicitando anche il diritto all’elettorato passivo. Una dimenticanza, tuttavia, che denunciava la resistenza, anche da parte dei leader dei maggiori partiti di massa, rispetto all’opportunità che le donne fossero chiamate a rappresentare la collettività, la nazione.E raccontava, più in generale, la difficoltà dell’ingresso delle donne nel paradigma moderno della cittadinanza, storicamente modellato sulla loro esclusione, fin da quando la Rivoluzione francese segnò il clamoroso trionfo del principio di uguaglianza politica tra gli uomini, dimenticando di precisare che per “uomini” intendeva i “maschi”.

Dal 1945 a oggi

Quel che è avvenuto dopo il 1945 è in parte il riflesso dell'imperfezione degli inizi, di un’incompiutezza, di un retaggio della distinzione antica tra una sfera pubblica maschile e una privata femminile, che si è perpetuata in una storia che arriva fino ai nostri giorni. Ventuno donne furono elette nel 1946 tra i componenti dell’Assemblea costituente, ma la presenza femminile in parlamento è rimasta sempre minoritaria. E si è dovuto aspettare il 2022 perché una donna, Giorgia Meloni, conquistasse il ruolo di presidente del Consiglio dei ministri

Oggi, nonostante la lentezza dei progressi, il crescente protagonismo delle donne in politica ha mutato in modo tutt’altro che irrilevante la scena pubblica del potere. Si pensi alla situazione inedita in cui il conflitto tra maggioranza e opposizione vede due donne, Elly Schlein e la stessa Meloni, alla guida dei campi avversari. Si fa forte la tentazione di vedere in questa fase nuova il superamento della contraddizione che vive fin dal Settecento tra la figura della donna e quella della cittadina, tra le gerarchie di genere nella società e l’uguaglianza formale nei diritti che è fondamento giuridico dello stato democratico.Sarebbe, però, una rappresentazione fuorviante. La contraddizione originaria si perpetua, nonostante il faticoso avanzamento della presenza femminile nella vita pubblica, non solo perché questo continua ad avvenire al costo di incessanti conflitti per il riconoscimento e di pesanti rinunce sul piano della vita personale, che non hanno equivalenti nell’esperienza degli uomini di potere. Ma anche perché alle storie di successo di donne che conquistano posizioni di guida non corrisponde necessariamente un miglioramento nella condizione della popolazione generale donne, né sul piano economico-sociale né su quello dei diritti civili e della cultura. Può persino corrispondere un arretramento, in governi di segno reazionario.Resta attuale, allora, la questione del potere, di quale potere le donne sanno, possono e vogliono esercitare, dopo una millenaria storia di esclusione. E il rapporto irrisolto tra donne e politica richiede di articolarsi con quello del rapporto tra rappresentanza, femminismo e democrazia.

Quella cominciata nel 1945 appare così come una storia aperta. Il tempo (breve) trascorso da allora racconta che nessuna conquista è scontata e nessuna, senza impegno comune, è per sempre.

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giovedì 6 febbraio 2025

Divampa in Iran l'ira delle donne contro le squadracce della polizia morale di Mariano Giustino

 Qui il mio articolo su Il Riformista, di questa mattina 5 febbraio 2025, sulla giovane donna che in #Iran, a #Mashhad, si è denudata completamente davanti alle forze di sicurezza armate ed è salita in piedi su un veicolo della polizia, infrangendo platealmente le rigidissime restrizioni in materia di abbigliamento. Buona lettura!

Da Mashhad, una delle città cuore del conservatorismo sciita in Iran, un nuovo video di una clamorosa protesta di una donna sta inondando la Rete.

Un'altra donna, scalza e col corpo nudo, ha manifestato tra la gente, per affermare la propria volontà di liberazione e la propria identità, solo tre mesi dopo un precedente simile gesto avvenuto nel campus dell'Università Islamica Azad di #Teheran, dove una studentessa si era spogliata restando solo con la biancheria intimaper protestare dopo essere stata aggredita dalle forze di sicurezza perché non indossava l’#hijab obbligatorio.

Questa volta, una donna di cui non conosciamo il nome, si è denudata completamente davanti alle forze di sicurezza armate ed è salita in piedi su un veicolo della polizia, infrangendo platealmente le rigidissime restrizioni in materia di abbigliamento.

La Bibbia narra che il profeta Isaia sentì dentro di sé la voce di Dio che gli chiese di andare col suo corpo nudo e scalzo tra la gente, per rappresentare la vergogna dell’#Egitto. Il Signore disse per mezzo di Isaia figlio di Amoz: "Va’, sciogliti il sacco dai fianchi e togliti i sandali dai piedi! Così egli fece, andando nudo e scalzo” (Isaia 20, 1-2). Un analogo forte impulso sembra avere spinto la giovane donna di Mashhad e Ahoo #Daryaei, la “ragazza dell’Università” di Teheran, per rappresentare la vergogna dell’#Iran, della Repubblica islamica che pratica l’apartheid di genere. Passeggiare nudi e scalzi tra la gente, davanti alle donne in nero della polizia morale, delle terribili squadre femminili della “Hijab ban”, o alle forze paramilitari basij armate di fucili e ballare liberamente per le strade al ritmo della musica occidentale, sono azioni di disobbedienza civile molto coraggiose, messe in atto con ferma determinazione e volontà di sfida ad uno dei regimi più orrifici del pianeta.

Durante l'arresto, la studentessa, Ahoo Daryaei, aveva ricevuto gravi percosse, la sua testa era stata sbattuta violentemente contro la portiera dell'auto della polizia, ciò le aveva causato una forte emorragia e un trauma cranico.

Le donne iraniane sanno che per ribellarsi spesso non sono sufficienti le parole, occorre fare gesti clamorosi, passeggiare nude e scalze in una strada affollata o in un campus universitario sotto gli occhi di studenti, professori e forze di polizia, è un potente gesto che incarna lo spirito della rivoluzione "Donna, Vita, Libertà", ancora in corso nelle strade di Teheran sotto forma di disobbedienza civile.

Per la ragazza di Mashhad e per la “ragazza dell’Università”, così come lo fu per Isaia, è venuto il momento della “parola”, cioè di essere “parola” e per essere parola, bisogna essere “ascoltati”, altrimenti si rischia uno sterile soliloquio, un tradimento di se stessi.

“Cosa dobbiamo fare”, si chiederanno forse le “ragazze iraniane” quando ricevono insulti e minacce perché non indossano il velo? #Jina, #MahsaAmini, la ragazza curda che il 16 settembre 2022 è stata massacrata di botte e uccisa perché non indossava bene l’hijab, non aveva fatto in tempo a ribellarsi e a gridare, lo stanno facendo ora le sue coetanee denudandosi e dando parola al suo corpo con una rivoluzione a mani nude che sfida la violenza bruta di un regime che ha istituito l’apartheid di genere e che vuole ridurre al silenzio ogni oppositore, col terrore di torture e impiccagioni. La “ragazza di Mashhad” è riuscita a “essere parola” come Isaia, e a farsi “ascoltare”, perché se manca l’ascolto, non vi è parola. È un evento che irrompe nelle strade sorvegliate dalla polizia morale e dagli occhi delle telecamere sempre a caccia di donne senza hijab o malvelate.

La ragazza di Mashhad, così come Ahou Daryaei sono diventate un altro simbolo della resistenza alla mostruosa Repubblica islamica, della lotta nonviolenta della Generazione Z per la liberazione dell’Iran. La loro azione di disobbedienza civile è già impressa nella storia come è accaduto anche per #VidaMovahed, “la ragazza della Via #Enghelab”, a Teheran, che il 27 dicembre del 2017, in piedi, su un bidone della spazzatura, si tolse il velo e lo sventolò come una bandiera, fu arrestata ma il suo video, in cui sventolava silenziosamente il suo velo bianco su un bastoncino in via Enghelab, diventò virale sui social media e la sua azione nonviolenta diede vita alle manifestazioni del "Mercoledì Bianco". Proprio come è accaduto anche per l'"Uomo del carro armato", il giovane cinese, il "Rivoltoso sconosciuto", divenuto famoso quando, il 5 giugno 1989, il giorno dopo del massacro in piazza #Tienanmen a #Pechino, con le buste della spesa nelle mani, si parò davanti ad alcuni carri armati impedendone l'avanzata. E infine come accadde per #RosaParks, attivista del movimento per i diritti civili negli Usa, che divenne famosa nel 1955 per essersi rifiutata di obbedire alla regola di cedere il proprio posto su un autobus a un bianco, dando così origine al boicottaggio dei bus a #Montgomery. Figure anticipatrici di grandi cambiamenti. 

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giovedì 30 gennaio 2025

Femministe a fasi alterne di Maddalena Robustelli

Il concerto del Comune di Roma alla fine dello scorso anno, che ha visto annullata per proteste l'esibizione di Tony Effe, interroga al proposito dell'impegno contro la violenza maschile sulle donne delle artiste che ne hanno preso le difese

La vicenda della mancata esibizione di Tony Effe al concerto di fine anno promosso dal Comune di Roma, esibizione prima scelta dagli organizzatori e poi annullata per le forti polemiche suscitate, ha aperto uno squarcio sul fronte dell’impegno contro la violenza maschile sulle donne da parte di famose testimonial artistiche. Mentre quasi tutte le femministe, singolarmente o attraverso le proprie associazioni, ad eccezione di Non una di meno, si sono espresse contro l’esibizione di Tony Effe per i testi delle sue canzoni profondamente sessisti e violenti, si è assistito ad un sua difesa da parte di quelle artiste che sui palchi, durante le loro esibizioni, si adoperano a raccogliere fondi da destinare ai centri antiviolenza. Tali cantanti si sono schierate a favore della libertà artistica, definendo la marcia indietro del Comune di Roma un deliberato atto di censura.

"Trovo che sia davvero un brutto gesto escludere Tony Effe dal concerto di Capodanno a Roma - scrisse Emma Marrone sui suoi canali social - privando un ragazzo di esibirsi nella sua città. Non è una cattiva persona e non ha fatto male a nessuno ma è altrettanto brutto nei confronti della musica tutta e dell'arte in generale. Una forma di censura 'violenta' che alle soglie del 2025 non si può tollerare e giustificare. Ti abbraccio Tony". Sulla stessa falsariga si sono espresse anche Giorgia e Noemi, mentre un imprevisto silenzio sul tema ha riguardato Fiorella Mannoia, che da presidente onoraria della Fondazione Una, Nessuna, Centomila avrebbe dovuto prendere posizione, limitandosi invece a dire che avesse “altro da fare”. Gli utenti dei social non hanno perdonato questa difesa di casta da parte di tali artiste e l'hashtag #TonyEffe è stato in tendenza, con accuse rivolte alle colleghe che avevano fatto quadrato intorno al rapper romano: «Non osare mai più parlare di femminismo e di diritti delle donne», ha scritto un’utente nei riguardi di Emma.

Altri, invece, hanno puntato il dito contro la casa discografica di Tony Effe, notando come molti artisti solidali appartengano alla stessa etichetta discografica, la Universal, e scrivendo: «La casualità della vita». Illuminante è stato questo provocatorio commento: «Quindi da ora in poi sdoganiamo qualsiasi linguaggio misogino, omofobo, contro i disabili perché chi si oppone a questo linguaggio viene tacciato di censura. Si fanno gli interessi delle donne o delle case discografiche?». Questo, a mio parere, è il punto dirimente della questione, ossia, comprendere se l’impegno delle menzionate artiste nel contrasto alla violenza maschie sulle donne sia incondizionato oppure limitato ai propri interessi professionali. A loro formulerei tale domanda: Se la vostra casa discografica vi avesse proposto un brano particolarmente sessista e violento, l'avreste interpretato? Spero che la risposta sia che lo avrebbero rifiutato, per onorare il loro impegno sociale, considerandolo propria stella polare.

Un diverso riscontro comporterebbe che personalmente le rinneghi come paladine di questa causa, che non si può sposare a fasi alterne, o ci si crede a 360 gradi oppure no. Purtroppo, la loro difesa "di casta" nei confronti di Tony Effe porta a dire che esse non siano consapevoli a pieno di cosa comporti contrastare la violenza degli uomini sulle donne. Penso che come me la pensi la stragrande maggioranza degli utenti dei social, visto che il loro più ricorrente commento è stato: "E pure vi etichettate come femministe". Già, perché sulle cantanti in questione si riversa ancora oggi un faro mediatico importante, che serve a raccogliere fondi per aiutare chi quotidianamente lavora a tentare di debellare la violenza maschile sulle donne. Occorrerebbe che, proprio in relazione al fine benefico delle loro iniziative artistiche, dimostrino maggiore coerenza, altrimenti la conseguente credibilità verrà meno.

Tant’è che ho letto numerosi commenti di donne che, nell’immediatezza delle prese di posizione a favore di Tony Effe, hanno rimarcato che non sarebbero più andate ai loro concerti promossi per la raccolta di fondi da destinare ai centri antiviolenza. Spero che una riflessione al riguardo, queste artiste se la siano posta, almeno in sé stesse, di modo che, se si ripetesse una vicenda similare, si comportino diversamente. L’impegno contro la violenza maschile sulle donne non può né deve essere abbracciato a seconda delle proprie convenienze, non lo meritano le donne che vedono in tali cantanti le loro paladine, ma non lo meritano, soprattutto, le vittime. In loro nome conseguentemente chiederei che la tanto sbandierata tutela, ossia quella perpetrata attraverso le manifestazioni artistiche, diventi un imperativo categorico, che Emma, Fiorella, Giorgia e Noemi declinino al meglio delle proprie possibilità. Ed anche oltre.

https://www.noidonne.org/articoli/femministe-a-fasi-alterne-21140.php?fbclid=IwY2xjawIIfqRleHRuA2FlbQIxMAABHZdYVjux83224LK3_EPwwZNPmEqJS5GbWIBKMHBzdc4uduDy7WZRby7MAg_aem_nqHmyjzCWjDXwaZdhEYV6Q

lunedì 27 gennaio 2025

“Boschi cantate per me”: poesie per celebrare il Giorno della Memoria di Danda Santini

 Arriva, in occasione del Giorno della Memoria per le vittime dell’Olocausto di lunedì 27 gennaio, un libro dal titolo sognante, Boschi cantate per me (Enciclopedia delle Donne), ma dal contenuto drammatico.


È l’antologia poetica dal lager femminile di Ravensbrück. Lì furono rinchiuse, dal 1939 al 1945, le prigioniere politiche – comuniste, socialdemocratiche, antinaziste – e poi testimoni di Geova, zingare, ebree, lesbiche. Furono internate in 130mila; ne morirono oltre 90mila. Molte furono seviziate o utilizzate come cavie umane, altre reclutate per la prostituzione.

Quando furono evacuate, il 26 aprile 1945, lasciarono il campo cantando canzoni preparate da tempo. Alcune, benché pelle e ossa, subirono gli stupri dei russi liberatori; altre, al ritorno, soffrirono anche i sospetti sulla loro moralità.

Quel campo è rimasto a lungo sconosciuto, anche agli studiosi dell’Olocausto. Come spesso capita alle storie femminili, occorre andarsele a cercare, e di solito sono altre donne a farlo. In Italia, a parlarne per prima fu una delle sopravvissute, Lidia Beccaria, alla fine degli anni ’70.

Si scoprì che lì alcune deportate avevano composto, furtivamente, nascondendole e poi trafugandole, coperte dalle compagne, poesie. Ne sono arrivate a noi 1200. Drammatiche, ma non tragiche: come se la poesia, di per sé, per sua natura, potesse lenire il male, come fosse una pratica di sopravvivenza in una situazione estrema, una forma di riscatto dall’annientamento fisico e morale.

Di queste, mai pubblicate prima in Italia, Anna Paola Moretti, con un lavoro di ricerca certosino, ne ha selezionate 90, composte da 50 deportate di 15 nazionalità diverse, e ha ricostruito le biografie. Le italiane nel campo furono un migliaio, le poete quattro. La già citata Lidia Beccaria (Mondovì 1925-1996), maestra e staffetta partigiana, poi vicesindaca e assessora della sua città, che nel lager sogna, come molte, l’abbraccio della mamma.

Maria Musso (Imperia 1924-2011), apolitica, che si consegnò ai tedeschi per far liberare la madre, nell’abbruttimento ricorda le posate di casa e da un pezzo di bidone fabbrica un cucchiaio “per evitare un nutrirsi animale”. Sarà poi testimone nelle scuole.

Maria Montuoro (Palermo 1909-Milano 2000), antifascista: si occupava della stampa clandestina e diventerà testimone dei deportati politici italiani. Dell’amaro ritorno scrive: “Non si può vivere e ricordare/Bisognava essere di quella vita o di questa/Cancellare il ricordo non era vivere/Ma soltanto un modo di morire”.

Alcune deportate nei campi di concentramento composero di nascosto delle poesie. Anna Paola Moretti, ne ha selezionate 90 da pubblicare nel libro “Boschi cantate per me” (illustrazione di Cinzia Zenocchini).

Rosa Cantoni (Udine 1913-2009), operaia, autrice di poesie in friulano contro il regime, fondatrice di un foglio clandestino, poi attiva nell’associazionismo femminile, che in una notte di desolazione trova conforto nella natura: “Alzo gli occhi, il cielo è bellissimo/sereno e pulito, le stelle immense! Stelle che luccicano sulla terra triste”.

Parole sussurrate nei boschi e nel gelo, piene di vita, in un ostinato “volersi umane”, mai senza speranza. Una bella indicazione di resistenza positiva, collettiva e trasfigurata, al male, alla forza, alla violenza. E di quanto l’arte, in tutte le forme, sia la più tenace testimone di “mai più”.

https://www.iodonna.it/spettacoli/libri/2025/01/25/boschi-cantate-per-me-giorno-memoria-olocausto-ebrei-donne-prigionia-poesia-editoriale-danda-santini/?fbclid=IwY2xjawIEJpdleHRuA2FlbQIxMAABHf70dUPyojQMiLryuYrX_tdhJq0wEDz5X3zZF2dw3m

sabato 25 gennaio 2025

Per chi volesse leggere in originale l’executive order di Trump sui “due sessi” e farsi personalmente un’idea, qui la traduzione

Grazie al potere conferitomi dalla Costituzione e dalle leggi degli Stati Uniti in qualità di Presidente, incluso l’articolo 7301 della legge 5, con il presente si decreta che:

Sezione 1. Finalità. Nell’intera nazione, coloro che negano l’evidenza della natura biologica del sesso usano mezzi coercitivi sia legali che sociali per garantire agli uomini che si identificano come donne l’accesso a spazi, servizi e attività riservati alle donne, dai centri anti-violenza ai bagni negli uffici. Tutto ciò è sbagliato. Il tentativo di eradicare la realtà biologica del sesso costituisce un attacco fondamentale alle donne, in quanto le priva della loro dignità, sicurezza e benessere. Eliminare il concetto di sesso dal linguaggio e dalla politica ha un impatto deleterio non solo sulle donne ma sul funzionamento dell’intero sistema di governo e sociale americano. Tutte le azioni e le politiche federali devono essere basate sull’evidenza, per l’avanzamento della scienza, la sicurezza e il morale della popolazione e la fiducia che questa ripone nello stato.

Questa pericolosa deriva si manifesta in un attacco continuo e determinato all’uso comune di lunga data di termini scientifici e biologici, con lo scopo di sostituire la realtà del sesso come fatto biologico immutabile con l’idea di un’identità autodefinita fluida e disgiunta dalla realtà biologica. Invalidare la categoria biologica di “donna” ha l’effetto di trasformare impropriamente leggi e politiche concepite per proteggere le opportunità garantite in base al sesso in leggi e politiche che le minano e che sostituiscono diritti acquisiti preziosi per le donne con un concetto identitario vago e indefinito.

Per questi motivi, il mio governo intende difendere i diritti delle donne e garantire la libertà di coscienza tramite l’uso di un linguaggio chiaro ed accurato e di politiche che riconoscano che le donne sono coloro che appartengono al sesso femminile e gli uomini coloro che appartengono al sesso maschile.

Sezione 2. Politiche e definizioni. Il governo degli Stati Uniti riconosce l’esistenza di due sessi, maschile e femminile. Il sesso non si può cambiare, essendo radicato in una realtà oggettiva fondamentale e incontrovertibile. In ottemperanza alle mie volontà, l’esecutivo assicurerà l’applicazione di tutte le leggi che proteggono e promuovono la realtà biologica del sesso, e le seguenti definizioni saranno alla base dell’interpretazione e applicazione di leggi e politiche federali da parte dell’esecutivo:

(a) “Sesso” indica la classificazione biologica immutabile di un individuo come maschio o femmina. “Sesso” non è un sinonimo di “identità di genere, e non è incluso in essa.

(b) “Donne” o “donna” e “bambine” o “bambina” significano rispettivamente femmine della specie umana adulte o minori.

(c) “Uomini” o “uomo” e “bambini” o “bambino” significano rispettivamente maschi della specie umana adulti o minori.

(d) “Femmina” indica una persona che appartiene alla classe sessuale, determinata al concepimento, in grado di produrre macrogameti.

(e) “Maschio” indica una persona che appartiene alla classe sessuale, determinata al concepimento, in grado di produrre microgameti.

(f) L’“ideologia di genere” sostituisce la categoria biologica del sesso con l’idea di un’identità di genere cangiante e autodeterminata, così da permettere la falsa affermazione che gli uomini possono identificarsi come donne e conseguentemente diventarlo, e viceversa, con l’obbligo su terzi di considerare questa falsità come un fatto oggettivo. L’ideologia di genere include l’idea che esista un ampio spettro di generi, del tutto independenti dal proprio sesso. Si tratta di un’ideologia che manca di coerenza interna, tanto che sostiene che il sesso non è una categoria utile o identificabile, e contemporaneamente afferma la possibilità che un individuo possa nascere in un corpo con il sesso sbagliato.

(g) “Identità di genere” indica una percezione di sé completamente soggettiva e interna all’individuo, scollegata dalla realtà biologica del sesso e collocata su un continuo teoricamente infinito, non in grado di fornire una base utile per l’identificazione e non sostituibile al sesso come categoria.

Sezione 3. Il riconoscimento che donne e uomini sono biologicamente due categorie distinte.

(a) Entro 30 giorni da questo decreto, il segretario della salute e dei servizi umani dovrà fornire al governo, ai suoi interlocutori esterni e al pubblico linee guida che precisino e chiariscano le definizioni qui contenute.

(b) Tutti gli enti pubblici e i funzionari del governo federale hanno l’obbligo di applicare le leggi su diritti, tutele, opportunità e accomodamenti intesi a proteggere uomini e donne in qualità di sessi biologicamente distinti. Di conseguenza ogni ente pubblico ha l’obbligo di interpretare i termini “sesso”, “maschio”, “femmina”, “uomini”, “donne”, “bambini” e “bambine” nel senso stabilito all’articolo 2 di questo ordine e conseguentemente di interpretare e applicare leggi, regolamenti, o linee guida e di condurre tutte le attività relative all’ente, inclusi documenti e comunicazioni con l’esterno, in tal senso.

(c) Nello svolgere le loro funzioni nei casi in cui si tratti di far rispettare trattamenti differenziati in base al sesso, i funzionari degli enti pubblici dovranno impiegare, in tutte le politiche e relativi documenti, il termine “sesso” e non “genere”.

(d) I segretari di stato e della sicurezza nazionale, e il direttore dell’ufficio del personale, dovranno effettuare i cambiamenti necessari a garantire che i documenti di identità rilasciati dallo stato, inclusi passaporti, visti e i documenti per il programma Global Entry, riportino il sesso dell’individuo possessore del documento, come definito all’articolo 2 del presente ordine; il direttore dell’ufficio del personale ha la responsabilità di garantire che le schede del personale federale riportino il sesso, come definito all’articolo 2 del presente ordine.

(e) Gli enti pubblici hanno l’obbligo di eliminare le dichiarazioni, le politiche, i regolamenti, i moduli, i comunicati e ogni altro messaggio, interno o esterno, che promuove o impone l’ideologia di genere, e di cessare la produzione di tali dichiarazioni, politiche, regolamenti, moduli, comunicati o altri messaggi. I moduli degli enti pubblici dovranno specificare il sesso del richiedente, e non l’identità di genere. Gli enti pubblici dovranno prendere tutti i provvedimenti necessari, nel rispetto della legge, per terminare il finanziamento di qualsiasi programma legato all’ideologia di genere.

(f) L’amministrazione precedente sosteneva che la sentenza della Corte Suprema in Bostock v. Clayton County (2020), che concerne il Title VII del Civil Rights Act del 1964, impone di consentire l’accesso sulla base dell’identità di genere a spazi separati per sesso, ad esempio quelli previsti nel Title IX dell’Educational Amendments Act. Questa opinione non ha alcuna validità giuridica e lede i diritti delle donne. Il procuratore generale deve di conseguenza immediatamente emettere delle linee guida per gli enti pubblici al fine di correggere questa scorretta intepretazione delle distinzioni in base al sesso della sentenza della Corte Suprema in Bostock v. Clayton County (2020) adottate dagli enti pubblici nelle loro attività. Inoltre, il procuratore generale dovrà emettere delle apposite linee guida e assistere gli enti pubblici nel loro compito di proteggere i trattamenti differenziati in base al sesso, permessi dalla costituzione e dalla legge degli Stati Uniti.

(g) Non sarà consentito l’uso di finanziamenti federali per promuovere l’ideologia di genere. Gli enti pubblici devono valutare le condizioni per la concessione di finanziamenti e le preferenze degli eventuali beneficiari per assicurarsi che i fondi non vadano a promuovere l’ideologia di genere.

Sezione 4. Diritto alla privacy.

(a) Il procuratore generale e il segretario per la sicurezza nazionale hanno l’obbligo di garantire che i detenuti maschi non vengano ospitati nelle carceri e nei centri di detenzione per donne, se necessario tramite l’emendamento della sezione 115.41 del Title 28, Code of Federal Regulations and interpretation guidance regarding the Americans with Disabilities Act.

(b) Il segretario per gli alloggi e lo sviluppo urbano ha l’obbligo di preparare e presentare ed aprire ai commenti un documento per rescindere la regola su “Accesso in base all’identità di genere ai programmi di pianificazione e sviluppo per le comunità” del 21 settembre 2016, 81 FR 64763, e l’obbligo ulteriore di invitare commenti dal pubblico su nuove regole per la protezione delle donne che richiedono il supporto di centri anti-violenza sessuale.

(c) Il procuratore generale ha l’obbligo di garantire che il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria modifichi le sue politiche sulle cure mediche per i detenuti, per assicurare che non si spendano fondi pubblici per procedure mediche, trattamenti o medicine per modificare le caratteristiche sessuali secondarie dei detenuti che lo richiedono in modo da approssimare il sesso opposto.

(d) Gli enti pubblici devono mettere in atto politiche che garantiscano che i servizi previsti per donne e bambine (o per uomini e bambini) siano separati in base al sesso e non l’identità di genere.

Sezione 5. Protezione di determinati diritti. Il procuratore generale ha l’obbligo di stilare delle linee guida atte a garantire la libertà di espressione in relazione alla natura binaria del sesso e il diritto ad avere servizi separati per sesso nei luoghi di lavoro ed enti inclusi nel Civil Rights Act del 1964. In conformità con le suddette linee guida il procuratore generale, il segretario del lavoro, il direttore degli affari legali e il presidente della commissione per le pari opportunità e tutti i responsabili di enti pubblici con poteri di applicazione del Civil Rights Act hanno l’obbligo di dare la precedenza a indagini e azioni legali tese a garantire i diritti e le libertà contenute in questo articolo.

Sezione 6. Proposta di legge. Entro 30 giorni dalla data di questo ordine, l’assistente presidenziale per gli affari legali dovrà stilare e consegnare al presidente la proposta di legge tramite la quale codificare le definizione contenute in questo ordine.

Sezione 7. Obbligo di attuazione e produzione di un rapporto.

(a) Entro 120 giorni dalla data di questo ordine, i direttori degli enti pubblici hanno l’obbligo di stilare un rapporto sull’attuazione di questo ordine e inviarlo al presidente, tramite il direttore dell’ufficio per l’amministrazione e il bilancio. Il rapporto dovrà contenere:

(i) le modifiche apportate ai documenti prodotti dall’ente, inclusi regolamenti, linee guida, moduli e comunicati, introdotte per ottemperare a quest’ordine; e

(ii) i criteri introdotti dall’ente in ottemperanza a questo ordine al cui rispetto vengono sottoposti tutti gli enti che ricevono fondi federali, inclusi coloro che ricevono appalti dal governo federale.

(b) I requisiti contenuti nel presente ordine sostituiscono qualsiasi clausola che sia in contraddizione contenuta in precedenti ordini esecutivi o memoranda presidenziali, inclusi, ma non limitatamente a, l’ordine esecutivo 13988 del 20 gennaio 2021, 14004 del 25 gennaio 2021, 14020 e 14021 dell’8 marzo 2021 e 14075 del 15 giugno 2022. I suddetti ordini esecutivi sono revocati con il presente ordine, e il consiglio sulle politiche di genere della Casa Bianca viene dissolto con effetto immediato.

(c) Tutti gli enti pubblici hanno l’obbligo di revocare immediatamente tutti gli atti pubblici che non rispettano i requisiti contenuti nel presente ordine o nelle istruzioni stilate dal procuratore generale in ottemperanza al presente ordine, o abrogare quelle parti dei suddetti atti che siano in contrasto con il presente ordine. Tali atti includono, non limitatamente:

(i) “La guida della Casa Bianca sull’uguaglianza transgender”;

(ii) le guide prodotte dal dipartimento dell’istruzione, incluse:

(A) “Regolamento 2024 sul Title IX: suggerimenti per l’applicazione” (luglio 2024);

(B) “Guida del dipartimento dell’istruzione degli Stati Uniti: Come creare un ambiente inclusivo e non-discriminatorio per gli studenti LGBTQI+”;

(C) “Il dipartimento dell’istruzione degli Stati Uniti sostiene i minori LGBTQI+ e le loro famiglie nelle scuole” (21 giugno 2023);

(D) “Il dipartimento dell’istruzione degli Stati Uniti: come sostenere gli alunni LGBTQI+ e le loro famiglie nelle scuole” (21 giugno 2023) (in spagnolo);

(E) “Sostenere gli studenti intersex: Guida per studenti, famiglie e insegnanti” (ottobre 2021);

(F) “Sostenere gli alunni transgender nelle scuole” (giugno 2021);

(G) “Lettera agli insegnanti nel 49simo anniversario del Title IX” (23 giugno 2021);

(H) “Gestire il bullismo contro gli studenti LGBTQI+ nelle scuole: Guida per studenti e famiglie” (giugno 2021);

(I) “Applicazione del Title IX degli Education Amendments del 1972 in relazione alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere alla luce di Bostock v. Clayton County” (22 giugno 2021);

(J) “L’istruzione durante la pandemia: diversi impatti del COVID-19 sugli studenti negli Stati Uniti” (9 giugno 2021); e

(K) “Messaggio per gli studenti transgendere in occasione del ritorno a scuola, da parte dei dipartimenti di giustizia, dell’istruzione e della salute e servizi umani” (17 agosto 2021);

(iii) Memorandum del procuratore generale del 26 marzo 2021, dal titolo “Applicazione di Bostock v. Clayton County al Title IX dell’Education Amendments del 1972″; e

(iv) “Guida sulle molestie nel luogo di lavoro della commissione sulle pari opportunità”(29 aprile 2024).

Sezione 8. Disposizioni generali.

(a) Niente in questo ordine va interpretato in modo da compromettere l’efficacia di o limitare:

(i) il potere conferito per legge ai dipartimenti governativi e i loro direttori; o

(ii) le funzioni del direttore ell’ufficio per l’amministrazione e il bilancio in relazioni alle loro proposte legislative, di bilancio, o amministrative.

(b) Il presente ordine sarà applicato in ottemperenza alle leggi applicabili e soggetto alla disponibilità di stanziamenti.

(c) Il presente ordine non intende creare, e non crea di conseguenza, alcun diritto o beneficio, sostanziale o procedurale, eseguibile per legge o per equità per chiunque contro gli Stati Uniti, i suoi dipartimenti, agenzie o altri enti, i suoi funzionari, impiegati, agenti o chiunque altro.

(d) Nel caso qualsiasi parte del presente ordine, o l’applicazione di qualsiasi parte di questo ordine a qualsiasi individuo o circostanza, venisse riconosciuta non valida, il resto del presente ordine e la sua applicazione ad altri individui o circostanze non subiranno conseguenze.

LA CASA BIANCA,

20 gennaio 2025

https://www.facebook.com/marina.terragni/posts/pfbid027eMd35vQvvBe7CcFCPq95SZDYRKRzpXN4mV658yPKxuUQ6fwDAwEDmYD9rTfC

venerdì 24 gennaio 2025

Le donne guadagnano in media un euro in meno ogni ora. Il Gender pay gap secondo l’Istat di Erika Riggi

La busta paga è più leggera per le lavoratrici di oltre il 5%. E il divario retributivo è maggiore nelle professioni con una ridotta presenza femminile. Ma, a parità di livello di istruzione, gli uomini hanno in ogni caso stipendi medi annui superiori rispetto alle donne. Sempre

Non stupisce ma continua, deve continuare a indignare. Secondo le rilevazioni dell’Istat sulla struttura delle retribuzioni in Italia nelle unità economiche con almeno 10 dipendenti, gli stipendi medi lordi in Italia nel 2022 sono stati di circa 2.200 euro netti al mese. Ma questo significa, per le donne, 15,9 euro l’ora (0,5 euro inferiore alla media calcolata su tutti i dipendenti) e per gli uomini, 16,8 euro (0,4 euro superiore). Il gender pay gap è di (quasi) un euro ogni sessanta minuti. Differenza che, in un anno, significa oltre 6mila euro in meno.

Gender gap: donne più istruite ma di rado ai vertici

«Il differenziale retributivo di genere  – osserva l’Istat – è più marcato tra i laureati (16,6%, un valore circa triplo di quello medio) e tra i dirigenti (30,8%)». A questa disparità contribuisce il fatto che lavorano per meno tempo: 1.539 ore l’anno a fronte a fronte delle 1.812 ore degli uomini.

Gli stipendi delle donne secondo l’Istat: il gender pay gap è di (quasi) un euro ogni ora

A parità di livello di istruzione, i dipendenti uomini hanno stipendi medi annui sempre superiori alle donne, con un divario che aumenta al crescere del livello di istruzione: si ferma al 19,9% tra i dipendenti con al massimo la licenza media, sale al 20,5% se l’istruzione è secondaria superiore e raddoppia, raggiungendo il 39,9%, per l’istruzione terziaria.

Quanto influisce la laurea sugli stipendi di uomini e donne

Il rendimento del titolo di studio in termini retributivi è diverso per uomini e donne, soprattutto se si tratta di dipendenti con istruzione terziaria. Se infatti la retribuzione delle donne diplomate è del 20,2% superiore a quella delle donne con al più la licenza media (un divario del tutto simile a quello degli uomini, pari al 20,7%), quella delle donne con istruzione terziaria lo è del 54,2%, una differenza decisamente inferiore a quella rilevata per gli uomini (79,9%).

Oltre che al crescere del titolo di studio, le retribuzioni annue crescono all’aumentare dell’età del lavoratore, in misura maggiore per i dipendenti uomini. Rispetto alla retribuzione dei lavoratori più giovani (tra i 14 e i 29 anni), quella degli over 50 tra gli uomini è superiore del 65,5%, differenza che si ferma al 38,6% tra le donne.

Cambia il contratto, resta (e aumenta) il gender pay gap

Il divario retributivo tra uomini e donne aumenta nel passaggio anche nel passaggio dal contratto a tempo determinato – più diffuso tra le donne – al contratto a tempo indeterminato: nel primo caso le donne hanno una retribuzione annua inferiore del 6,3% a quella degli uomini, differenza che diventa del 15,6% in caso di contratto a tempo indeterminato.

Le ore retribuite per le donne sono inferiori a quelle degli uomini del 15,1% – in media sono 1.539 a fronte delle 1.812 ore degli uomini.

Effetto part-time

Questo, anche per effetto della maggiore diffusione di contratti con orario part-time. Nelle imprese con almeno 10 dipendenti, infatti, la percentuale di lavoratrici part-time, sul totale degli occupati, è più che doppia rispetto a quella degli uomini (12,3%, contro 5,2%)». E, dice sempre l’Istat, chi lavora part-time prende meno: in media 12 euro lordi l’ora contro i 17,3 euro che vanno a chi lavora a tempo pieno.

Studiare conviene

Molto grande è la differenza tra giovani e anziani e tra coloro che hanno un lavoro precario e gli altri. I lavoratori «under 30 guadagnano il 36,4% in meno rispetto agli over 50 (38,5% tra gli uomini, 33,3% tra le donne)» mentre «i lavoratori con contratto a tempo determinato percepiscono il 24,6% in meno di chi ha un contratto a tempo indeterminato». Studiare conviene, secondo i dati della rilevazione. «I dipendenti meno istruiti (con un titolo di studio al più secondario inferiore) hanno una retribuzione oraria pari in media a 12,4 euro, inferiore del 17,3% a quella dei dipendenti con istruzione secondaria superiore (tra i quali è pari a 15 euro) e del 43,6% a quella dei dipendenti con istruzione terziaria (22 euro)».

Chi guadagna meno (sotto i 9 euro l’ora) e chi di più (sopra i 26)

Interessanti le differenze tra pubblico e privato e tra i settori produttivi. «La retribuzione oraria è di 20,4 euro nelle unità economiche a controllo pubblico e di 14,4 euro in quelle a controllo privato», si legge nel report dell’Istat.  Tra i settori, la retribuzione più alta c’è nell’industria in senso stretto, con 38.760 euro lordi, la più bassa nelle costruzioni, con 32.202 euro, mentre i servizi si collocano intorno ai 37 mila euro.

Tra i lavoratori dipendenti, il 10% che guadagna di meno viene retribuito al massimo con 8,8 euro l’ora, mentre il 10% che guadagna di più supera i 26,6 euro.

https://www.iodonna.it/attualita/famiglia-e-lavoro/2025/01/21/gender-gap-pay-stipendio-donne-uomini-guadagnano-meno/?fbclid=IwY2xjawIASZxleHRuA2FlbQIxMAABHZtnLI1j83zf4zVvvp1FbPFNcSeQxkEinvm9zFfWKpbRfyHPDDHnT2Fg-Q_aem_otzDJA

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lunedì 20 gennaio 2025

Il diritto di abortire e a essere informate sulla sepoltura Il podcast "20 settimane" di Flavia Cappellini e Gabriele Barbati

 Dopo l’ultima puntata,gli autori del podcasthanno continuatoa ricevere segnalazioni di donne a cui in ospedalenon sono state fornitele informazioni necessarieIl buco nero aperto dai cimiteri dei feti continua a restituire storie. La pubblicazione dei nove episodi di “20 settimane”, il podcast di Domani prodotto da Emons record che indaga su cosa succede a un feto dopo un aborto, ha suscitato l’attenzione di migliaia di ascoltatori e segnalazioni di nuove storie. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Solo nel 2022 – ultimi dati del ministero della Salute – le interruzioni volontarie di gravidanza sono state oltre 65mila, di cui circa 4mila nel secondo trimestre, ma le regole sul dopo aborto e le pratiche che lo circondano rimangono ancora un argomento poco conosciuto fuori e dentro gli ospedali.Al cimitero Flaminio di Roma, dove nel 2020 è emerso lo scandalo delle croci con nomi e cognomi di donne sopra e feti sotto, oggi viene tutelata la privacy e si è dismesso l’uso di simboli religiosi. Eppure un’ascoltatrice del podcast, Bianca (nome di fantasia), ci ha contattati per raccontare con incredulità la sua vicenda. Dopo aver effettuato un’interruzione terapeutica di gravidanza (Itg) nel 2024 al Policlinico Casilino, oltre le venti settimane, aveva ricevuto un’informativa scritta sulla sepoltura obbligatoria ai sensi dell’articolo 7 del Dpr 285 del 1990.«Quel foglio invece di informare genera confusione», ci ha scritto Bianca dopo avere ascoltato le prime puntate. Lei una sepoltura la voleva e ha lasciato che se ne occupasse l’ospedale, ma già dalle prime richieste di aggiornamenti sull’inumazione il personale non ha saputo assisterla, forse per ignoranza delle norme, come riscontrato spesso nella nostra ricerca.«Chiamavo periodicamente il Casilino per sapere quando sarebbe avvenuta la sepoltura, e ho iniziato a contattare anche i cimiteri capitolini. Sono state settimane difficili», ricorda Bianca. «Ho cominciato a pensare che forse l’avevano smaltita tra i rifiuti. Tuttavia ho insistito». La sepoltura è avvenuta quasi cinque mesi dopo l’aborto.Il senso di abbandono vissuto in ospedale ha trovato eco nelle ascoltatrici. Una ci ha contattato per chiedere cosa potesse essere accaduto in Abruzzo al feto abortito a undici settimane. Un’altra lo ha fatto dalla Toscana per un aborto entro le venti. L’assurdità di questa vicenda non ha colpito però solo chi ci è passato. Molti follower hanno commentato i post di Domani sui cimiteri dei feti con sdegno, accusando di fanatismo i medici obiettori e chi ha permesso le sepolture all’insaputa delle interessate. Al pubblico non è sfuggito come la realtà degli aborti terapeutici nel secondo trimestre (a cui si aggiungono oltre 4mila interruzioni spontanee, sempre nel 2022, secondo Istat) tracimi i numeri. La dimensione dell’aborto raccontata in “20 settimane”, sul destino di un feto abortito, ha riportato infatti al centro del dibattito un diritto fondamentale delle donne e i doveri delle istituzioni.Libere di scegliereÈ uno dei motivi che hanno spinto le protagoniste del podcast a raccontare le loro storie, con l’obiettivo di rompere il silenzio e il senso di colpa. «A un certo punto fortunatamente superi l’io», dice Marta Bardoni, una delle protagoniste del podcast che ha abortito a Milano nel 2016, «e senti che questa cosa deve servire al macro, non più a me». Marta ritiene di avere chiuso il cerchio del proprio lutto e oggi chiede allo Stato supporto psicologico per le donne che hanno affrontato un’Itg. Un riferimento alla 194, la legge che regola l’aborto e prevede che una gravidanza possa essere interrotta solo in presenza di rischi per la salute della donna e non, invece, riconoscendo la sua decisione di non mettere al mondo un bambino. «Se nel certificato», prosegue Marta, «è scritto che se non interrompo la gravidanza rischio problemi psicologici, dopo sarebbe giusto fornirmi 5-10 sedute di psicoterapia».Un’altra voce del podcast, Elisa, si è iscritta a un gruppo di mutuo aiuto su Facebook e sostiene donne che stanno per affrontare un’Itg. Crede che ormai stia riuscendo a tirare fuori del buono dalla propria storia, oltre a tenere alta la guardia sul cimitero Flaminio. Il suo avvocato, Francesco Mingiardi, ha detto nell’ultima puntata di “20 settimane” che «qualcosa è cambiato a Roma perché c’è gente che si è presa questa cosa a cuore».Grazie alla campagna “Libera di Abortire”, infatti, lanciata tra gli altri da Mingiardi e da Francesca Tolino, un’altra protagonista di questa vicenda, Roma Capitale ha stabilito nel 2022 che solo le donne possano decidere del destino dei resti abortivi e introdotto un codice alfanumerico per garantire l’anonimato. Da parte loro, seppure un protocollo regionale in merito non è arrivato, alcuni ospedali di Roma hanno introdotto un modulo di consenso informato. La giustizia per i cimiteri dei feti, che molte ascoltatrici hanno invocato, si è fermata all’archiviazione di un’inchiesta penale e alla multe del Garante della privacy al Comune di Roma e alla municipalizzata che si occupa dei cimiteri, l’Ama. Un’azione popolare, che ha chiesto un risarcimento per la cittadinanza romana, andrà a sentenza quest’anno.La differenza d’ora in poi starà nel controllare se e come le donne ricevono informazioni sul dopo aborto, nella quotidianità delle interruzioni di gravidanza. Dopo avere ascoltato questa inchiesta speriamo che sarete proprio voi a contribuirvi.

venerdì 17 gennaio 2025

Il dominio maschile esce allo scoperto. di Lea Melandri Il Manifesto oggi 17 gennaio 2025

La violenza di genere è oggi al centro del dibattito pubblico, giudiziario e politico. Se ne parla in trasmissioni radiofoniche, televisive, giornalistiche, con attenzione a vicende anche non recenti in relazione ai processi che vi hanno fatto seguito. Da caso di cronaca, patologia del singolo, vicenda ‘privata’, la problematica che ruota intorno al rapporto tra i sessi, nei suoi aspetti di violenza manifesta, si è notevolmente estesa, fino ad arrivare alla presidenza degli Stati Uniti, nella persona del nuovo eletto: Donald Trump.

Mi sono chiesta quale legame ci può essere tra fatti che hanno come elemento comune donne che sono state uccise, violentate, aggredite sessualmente, sottoposte a controlli polizieschi umilianti, o soltanto molestate, ma che si scostano per la prima volta dalla semplice richiesta di protezione per le vittime e carcerazione più pesante per gli aggressori. Penso al processo con cui Trump è stato riconosciuto colpevole di “aggressione sessuale” nei riguardi della scrittrice Jean Carrol, poi licenziata dalla rivista Elle, a cui il caso sembra aver fatto perdere molti lettori e lettrici, alle ragazze belghe che nella notte di Capodanno in piazza Duomo a Milano sono state fatto oggetto di violenza di gruppo, alle attiviste di Extinction Rellion, Ultima Generazione, che arrestate dopo una pacifica manifestazione davanti al gruppo industriale Leonardo a Brescia sono state costrette a denudarsi e a fare flessioni, un trattamento di controllo riservato solo a loro e non ai maschi. E penso ai due processi, ritornati al centro dell’attenzione mediatica per le sentenze discutibili con cui si sono chiusi recentemente: il caso dell’imprenditore Salvatore Montefusco, che due anni e mezzo fa ha ucciso la moglie e la figlia di lei, e a cui la Corte di Assise di Modena ha commutato l’ergastolo in trenta anni di carcere, riconoscendo come attenuante del suo gesto “motivi umanamente comprensibili”; a quello di Alex Cotia che ha ucciso il padre dopo aver assistito per anni alle violenze contro la madre, e che in Appello è stato assolto per “legittima difesa”.

La novità e la ragione del rilievo che ha preso una violenza rimasta per secoli all’interno delle case, nella privatezza in cui il dominio maschile ha confinato la sessualità, le relazioni di coppia, i ruoli familiari, è che a esserne scopertamente investite oggi sono istituzioni di primo piano, come le Corti di Appello, la Polizia di Stato, e, nel caso Trump, la Presidenza di quella che è ancora la prima potenza mondiale. Tutto ciò che è rimasto ambiguo e impresentabile del legame perverso tra amore e potere nel rapporto tra i sessi viene allo scoperto nei luoghi che sono parsi finora più lontani ed estranei. Che il sessismo, o se si preferisce la cultura patriarcale, non sia mai stata assente dai poteri e saperi della vita pubblica è una di quelle “evidenze invisibili” che ancora aspettavano di venire portate a consapevolezza, e forse ad abbattere un tabù così duraturo non poteva che essere la violenza contro le donne nel suo aspetto più feroce ed arcaico: il potere maschile di vita e di morte sul sesso che è stato considerato e per ciò stesso asservito, come “natura inferiore”. Nel suo libro Il dominio maschile (Feltrinelli 1998 ) Pierre Bourdieu sottolinea il fatto che il sessismo è inscritto nelle istituzioni ma anche “nell’oscurità dei corpi”: “La divisione tra i sessi sembra rientrare nell’ “ordine delle cose”, come si dice talvolta per parlare di ciò che è normale, naturale, al punto da risultare inevitabile. Essa è presente, allo stato oggettivato, nelle cose (ad esempio nella casa, le cui parti sono “sessuate”) in tutto il mondo sociale e, allo stato incorporato, nei corpi, negli habitus degli agenti, dove funziona come sistema di schemi, di percezione, di pensiero e di azione.”

Riconoscere l’aspetto “oggettivo” della rappresentazione maschile del mondo, il suo radicamento considerato la “normalità” di ogni ordine sociale, oggi, saltati i confini tra privato e pubblico, non è più separabile da vissuti, pregiudizi, sentimenti, costruzioni mentali, che si accompagnano all’atto violento e che, nell’immediato, sembrano spiegarne la ragione. L’ assillo ossessivo e doloroso della “gelosia”, per l’abbandono da parte di una moglie, di un’amante, di una fidanzata, la “rabbia e l’odio”, così come la “paura” di un figlio si è trovato per anni ad assistere alla violenza contro la madre da parte di un genitore violento, non si può negare che siano “umanamente comprensibili” e che possano produrre un “black out emozionale ed esistenziale”. Allo stesso modo, se può restare sorpresi e indignati che sia una corte giudiziaria a parlare del rapporto conflittuale all’interno di una coppia, delle “frustrazioni” subite a sua volta da un coniuge violento, e ad assumerle come “attenuanti” in un processo di duplice femminicidio, come nel caso di Salvatore Montefusco. Negare la complessità, le ambiguità, l’annodamento perverso di passioni contrastanti, come potere e amore, desiderio e respingimento, che sono all’origine della durata millenaria del dominio maschile, vuol dire sottrarsi alla consapevolezza del suo aspetto del tutto particolare, che è la confusione con le esperienze più intime dell’umano.

Quello che mantiene viva l’attenzione dei media e l’indignazione che passa attraverso i social e le voci di tante ascoltatrici e ascoltatori delle radio è, giustamente, l’uso che consapevolmente o meno viene fatto del risvolto “soggettivo”, “esperienziale” del gesto violento per coprire ancora una volta la realtà storica di un fenomeno, che come tale, pur senza misconoscere la responsabilità del singolo, parla del condizionamento che lo anticipa e lo sovrasta. Da ciò si dovrebbe dedurre che non è con l’aumento delle pene che si può arginare o prevenire la violenza di genere, in qualsiasi forma si manifesti, ma con un processo educativo che investa la scuola, fin dall’educazione primaria, ma anche la società nelle sue strutture portanti, politiche, culturali, economiche, giudiziarie e informative.

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