mercoledì 5 novembre 2014

Consigliere di parità o dame di carità? Di Valeria Maione

Private di fondi e risorse, senza uno stipendio, impossibilitate a fare il loro lavoro ma sovraccariche di responsabilità formali: questa è oggi la situazione delle consigliere di parità. Il forte
disinvestimento rende esplicito che la politica istituzionale le considera superflue e non crede nel loro operato. La domanda dunque è: sono davvero necessarie?
Il ruolo delle consigliere e i consiglieri di parità, che di seguito menzioneremo al femminile data la scarsa rappresentanza di uomini nella categoria, viene messo in discussione dai tagli alle risorse necessarie per svolgere le proprie mansioni. Vista la situazione di stillicidio forse vale la pena ripercorrere la storia della funzione di consigliera, analizzarne le funzioni e capire se ancora ha un senso che esista questa figura.
L'incarico di consigliera di parità nasce con le leggi 863/84 e 56/87 e attraversa quattro fasi[1] . Il primo periodo, negli anni ‘80, è caratterizzato da una attribuzione di funzioni che però non è sostenuta da una conseguente attribuzione di poteri. In pratica, per assolvere ad un obbligo di immagine, si concedeva un riconoscimento formale, senza rendere agibile un effettivo controllo sul mercato del lavoro. Nella seconda fase, con la legge 125/91, i poteri furono previsti e articolati ma i soldi per renderli operativi no. Le consigliere divennero forti sulla carta ma deboli nella realtà. Alla situazione rimediò la legge 196/2000, e siamo alla terza fase, attraverso il decentramento e il potenziamento delle funzioni in rete delle consigliere. Le funzioni vengono razionalizzate e potenziate, vengono date dotazioni operative e finanziarie. Rimaneva qualche criticità che avrebbe avuto bisogno di un intervento legislativo, ma quando si presentò l'occasione nel 2006, anno in cui, per adeguarsi alla direttiva europea dello stesso anno[2], viene stilato il Codice delle pari opportunità, si fece tutto in fretta e furia a fine legislazione e male, perdendo l'opportunità di rettificare e innovare.
Con la crisi e una revisione della spesa che ha tagliato con l'accetta soprattutto nel sociale i fondi delle consigliere sono stati ridotti drasticamente, e così si apre la quarta fase: grandi potenzialità e scarse possibilità pratiche di intervento. Come se non bastasse, l’esiguo fondo (attribuito nel 2013) per le attività delle consigliere destina l’87% delle risorse alle Regioni a statuto speciale inibendo di fatto l'operato delle altre realtà locali. Parlando di soldi, non meritano commento i 16 euro lordi mensili previsti come compenso forfettario per le consigliere di parità regionali. C'è un ripiegamento, un colpo di frusta che non giova alla tutela delle donne contro le discriminazioni sul lavoro, visto che in alcuni casi le consigliere sono state chiamate a rispondere in prima persona, anche a livello finanziario, di azioni in giudizio che le hanno viste soccombenti. Situazione aggravata da un aumento delle competenze, verificatosi in relazione alla legge 215 del 2012, che prevede che le consigliere debbano vigilare sulla composizione delle commissioni di concorso pubblico affinché sia garantita una presenza “paritaria” dei due sessi.
Dal Dgs. 198/2006 si evince che le Consigliere di parità hanno delle attribuzioni che le connotano distinguendole da tutti gli altri organismi territoriali simili. Sono infatti pubblici ufficiali, soggetti terzi ai quali si richiede preparazione specifica ed esperienza pluriennale. Per la verità, sui curricula, specie negli ultimi tempi, non sembra ci sia stata la necessaria attenzione e d’altra parte l’aver introdotto il concetto di “funzionalità” al sistema di fatto lega un organismo di garanzia, che dovrebbe essere di per sé indipendente, alle decisioni politiche delle istituzioni locali.
Cosa fanno concretamente le consigliere? Operano in ambito lavorativo per promuovere e monitorare l’applicazione dei principi di parità, di pari opportunità e contrastare le discriminazioni di genere , fanno parte delle Commissioni tripartite, dei Tavoli di partenariato locale e dei Comitati di sorveglianza. Possono chiedere alle Direzioni del lavoro ispezioni e andare in giudizio contro le discriminazioni[3] a prescindere dalla volontà di parte. In molti contesti e con numerosi soggetti hanno stilato protocolli di intesa che consentono di rendere ancor più forte il legame con il territorio che hanno nel tempo coltivato. Ogni due anni le consigliere di parità regionali raccolgono ed elaborano i rapporti sulla situazione del personale delle imprese con più di 100 addetti, operazione che dovrebbe consentire, oltre alla conoscenza del contesto, il richiamo di quelle unità produttive troppo squilibrate per genere. Altre attività e funzioni[4] potrebbero essere menzionate così come si potrebbe evocare la giurisprudenza che si è andata creando negli anni, penso ad esempio alla legittimazione ad agire dinanzi al TAR nei confronti di Giunte con la sola presenza maschile, per la consigliera di parità regionale, oppure la costituzione di parte civile nelle molestie sessuali in ambito lavorativo (sentenza del Tribunale di PT, 8/9/2012 n. 177-8).
Per dare un'idea di che cosa fa una consigliera, racconterò una delle storie di discriminazione che si sono risolte con il mio intervento in veste di consigliera della Liguria. Una giovane donna stava facendo un percorso formativo in un particolare settore per il quale potevano (ma non dovevano) essere richieste caratteristiche fisiche, che proprio in quanto donna, la giovane non aveva. La donna mi riportò una situazione di obiettiva e continua umiliazione perchè secondo i formatori non rientrava negli standard richiesti. C'era un piccolo particolare però: la società responsabile del corso aveva preso dei contributi locali proprio perché nel percorso formativo sarebbero state ammesse anche le donne. Ci vedemmo una prima volta con il titolare che mi fece notare come non discriminassero le donne in generale, ma avessero a che fare con una donna che non riusciva a fare quanto previsto. Chiedemmo un incontro anche con l’interessata che, al momento di spiegare la situazione, si dimostrò fragile, provata, molto, forse troppo, emotivamente coinvolta. Per un attimo temetti di non riuscire ad ottenere granché. Ma quando mi fecero presente che, essendo dei formatori, consideravano il fallimento di una discente, oltre che un dispiacere, un fattore di debolezza della struttura, domandai loro se e quanto fossero attribuibili a loro stessi le debolezze e le criticità che la giovane aveva palesato, se le stesse non potessero essere frutto di un loro scarso impegno nel supportarla e metterla in condizione di superarle. Fu la svolta. Ci accordammo che la studentessa avrebbe cambiato percorso mantenendo molti dei crediti che il suo obiettivo impegno le aveva fatto acquisire e avrebbe ottenuto un brevetto per compiere operazioni che non richiedevano quegli standard per lei non raggiungibili. Alla fine quella giovane ha conseguito più di un brevetto con piena soddisfazione sua e della struttura di formazione. Potrei aggiungere che la persona che l’aveva trattata, diciamo così, con poco tatto, è stata allontanata, ma questa è un’altra storia.
Molti casi di questo genere sono alla continua attenzione delle consigliere che si prodigano in primo luogo ascoltando e trovando delle soluzioni, quando possibile, a prescindere dalle azioni specifiche che possono essere messe in atto coinvolgendo i sindacati e i giudici. Posso testimoniare che spesso l’ascolto risulta una medicina più efficace di molte altre. Anche perché ascoltando e impegnandosi si trovano soluzioni, spesso inattese. Ricordo ancora un lavoratore, maschio, perché alle consigliere non si rivolgono solo le donne, che si riteneva discriminato nel suo lavoro. Probabilmente era soltanto non opportunamente collocato. Per non limitarmi al puro ascolto mi rivolsi ad un altro organismo di garanzia che opera sul mio territorio. Oggi lavora con soddisfazione proprio in quella struttura alla quale l’avevo proposto come persona da seguire…
Conoscere il ruolo e le attività del lavoro delle consigliere dovrebbe indurre quantomeno a riflettere sul percorso politico in atto che vede lo svuotamento di questa figura. Alcune consigliere rinunciano a ricandidarsi perchè un ruolo così denso di funzioni operative diventa incompatibile con l'attività che svolgono per mantenersi, altre si dimettono perchè nei contesti in cui operano non vengono riconosciute e appoggiate. Quindi la domanda è “non servono più”? Se la risposta politica è che no, non servono, sarebbe opportuno dirlo chiaramente invece di osteggiare e svuotare.
Non si può negare la necessità di ripensare per intero la materia, e probabilmente su questo versante non si è ancora fatto abbastanza, ma un ripensamento non comporta necessariamente una totale distruzione. Da economista prima di tutto mi sembra che ciò costituisca uno spreco di risorse e di esperienze che non possiamo permetterci.


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