Ho letto con un certo sgomento quanto Recalcati ha scritto suRepubblica per condannare la violenza che troppi uomini praticano contro le donne.
Equiparandola ad una forma di razzismo intesa come negazione della
libertà dell’Altro,
Recalcati scrive:
“La donna, infatti, è
una delle incarnazioni più forti, anarchiche, erratiche, impossibile
da misurare e da governare, di questa libertà. Il suo stesso sesso
non è visibile, sfugge alla rappresentazione, è nascosto, si
sottrae alla presa dell’evidenza. La loro identità, difficile da
decifrare, non risponde mai a quella della divisa fallica degli
uomini. Proprio per questo le donne possono essere l’oggetto di una
violenza inaudita. Possono essere aggredite, offese, maltrattate,
uccise proprio perché sfuggono ad ogni tentativo di possesso, perché
coincidono con la libertà”.
Che
cosa mi sgomenta e disturba in queste affermazioni?
La definizione
unidirezionale “della donna” (assoluto singolare) come Altro.
Come se anche l’uomo maschio non fosse Altro per la donna, ovvero
come se l’essere umano non fosse costituito da questo dualismo,
simmetrico e insieme innervato da una pluralità di differenze che
rompono quei due singolari assoluti e quella maiuscola. Perché mai
l’identità delle donne dovrebbe essere più difficile da decifrare
di quella degli uomini? Solo un punto di vista che pone, per quanto
criticamente, il maschile insieme come assoluto singolare e come
metro di giudizio, può considerare le donne l’Altro assoluto,
misterioso, inconoscibile (perfino alle donne stesse),
irrapresentabile.
Ha
ragione Recalcati a dire che non basta l’educazione sessuale intesa
come informazione sugli apparati genitali di uomini e donne, a far
maturare rapporti tra uomini e donne meno esposti al rischio di
violenza e sopraffazione. Che occorre anche un’educazione
sentimentale, che favorisca il riconoscimento dell’irriducibilità
dell’altro/a (con la minuscola, però) a sé e della sua libertà.
Ci mancherebbe.
Ma non è utile neppure un’ipostatizzazione
misterica della donna come Altro dall’uomo (oltretutto senza
reciprocità).
Quando
non suscita in uomini intellettualmente sofisticati riflessioni
suggestive come quelle di Recalcati, una simile ipostatizzazione
rischia di provocare negli uomini non solo o tanto paura, ma
disprezzo, senso di superiorità, svalorizzazione delle donne e di
quanto fanno o aspirano a fare, autorizzazione al desiderio di
possesso, violazione della libertà, fino alla violenza. Dall’Altra
irridicibilmente diversa, cristallizzata nella sua differenza, e
perciò in conoscibile, all’altra inferiore e perciò utilizzabile
a piacere, il passo è molto breve.
Se
si vuole operare contro la violenza forse è più opportuno togliere
maiuscole, introdurre il plurale, e ragionare sul fatto che
l’alterità è condizione normale nelle relazioni tra esseri umani,
una condizione che mobilita sia l’uguaglianza nell’aspettativa
reciproca di riconoscimento e rispetto, sia la conoscenza, per quanto
sempre imperfetta, parziale, in progress – proprio come le
identità.
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