Aggredita
dal branco, sfregiata, tagliuzzata con un vetro o la punta di un
coltellino sul viso, sulle braccia, sulle gambe, sul ventre.
Picchiata. Presa alle spalle in pieno giorno mentre beveva alla
fontanella dopo una corsa di quattordici chilometri. Sbattuta contro
il muro poco lontano, come un cencio, violata da sei, otto mani e
lasciata lì a gridare, sporca del suo sangue, i pantaloncini e la
maglietta sportivi strappati, ferita fuori e nell'anima,
terrorizzata. È andata così, per Irene, 40 anni, milanese, runner
quasi professionista, capelli scuri raccolti dietro la nuca.
Mercoledì scorso all'una, nel parco ex Area Pozzi, lungo il Naviglio
Grande, tre o quattro balordi l'hanno circondata mentre rientrava dal
solito allenamento. Ancora un chilometro e mezzo e sarebbe arrivata
alla Canottieri Milano. Il traguardo.
La
doccia, pensava Irene. E poi ancora di corsa. Un altro tipo di corsa,
per fare la mamma, gestire la casa, organizzare il lavoro per il
giorno dopo e sentire le amiche. C'era il sole ancora caldo, la luce
di fine ottobre che pareva primavera, e alla vista di quella
fontanella, nel parco, si è fermata un attimo. Stop al ritmo. Un
clic al cronometro sul polso per stoppare il tempo. Ed è iniziato
l'inferno.
Non
appena si è chinata per appoggiare le labbra al filo d'acqua fresca,
l'hanno presa e fatta prigioniera. Il cronometro non è più
ripartito. Erano tre, quattro, Irene non sa dire. Il terrore le ha
cancellato la memoria. L'hanno sbattuta contro il muro del caseggiato
giallo pieno di scritte e graffiti e nessuno sa dire grazie a chi, o
cosa, il branco non sia riuscito a portare a termine lo stupro. È
un'atleta, Irene, e si è difesa come ha potuto. Ha urlato, pregato,
invocato. E intanto quelli affondavano il coltellino sul suo corpo.
Le mani la toccavano, le strappavano i vestiti, la picchiavano
ancora.
Quando
pensava d'essere perduta, s'è ritrovata libera. Allora Irene, una
maschera di sangue e lacrime, si è messa a correre a perdifiato. È
crollata tra le braccia di altri due runner, l'hanno portata nel
centro sportivo della Canottieri Milano e lì ha perso i sensi. Un
giorno e una notte in ospedale per medicare le ferite, poi la visita
alla Mangiagalli, dove transitano le donne vittime di violenza
sessuale. Ai carabinieri ha detto quel poco che sa. Di quei maiali
ricorda ancora l'odore forte e i grugniti. Non i volti, non la voce.
«Uno aveva i guanti», ripete Irene. L'ipotesi è che il branco, in
quel tratto di città fatto per lo sport e per due salti all'aria
aperta, stesse aspettando la preda giusta. Lungo quella stradina, sul
Naviglio, furti e crimini si consumano da sempre. Eppure nessuno fa
niente.
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