venerdì 6 maggio 2016

Come può una mamma proteggere un uomo che violenta le figlie? di Michela Marzano

«Poi passa», diceva Marianna alle figlie violentate dal compagno. «Poi passa», diceva questa madre alle bambine, mentre lasciava fare Raimondo Caputo. «Poi passa», diceva la donna che, solo qualche anno prima, aveva perso un figlio di due anni precipitato dalla finestra di casa. Ma cosa passa? L’infanzia? La purezza? Il dolore? La rabbia? Come può una mamma proteggere un uomo che violenta le figlie? Come può far finta di niente e, lasciando correre, chiedere alle bimbe di tacere e di mentire? Come ci può dimenticare che, quando si è piccoli, si dipende in tutto dai propri genitori fidandosi e abbandonandosi al loro buon volere? Dov’è in tutta questa storia, se non l’amore, almeno la pietà?
La terribile vicenda di Fortuna, la bimba di sei anni caduta dall’ottavo piano di un palazzo del Parco Verde di Caivano il 24 giugno del 2014, è tornata in questi giorni in prima pagina su tutti i giornali. Pare che non sia stato affatto un incidente. Pare che a buttarla giù sia stato proprio il compagno di Marianna, quel Raimondo Caputo che tutti chiamavano Titò e che da tempo violentava sia le figlie sia Fortuna. Pare che dopo due anni di silenzio e di bugie, gli investigatori abbiano finalmente cominciato a districarsi all’interno dell’orrore che vivevano le bambine all’interno dell’isolato 3, scala C, del complesso residenziale del Parco Verde. Una delle tante case popolari in mezzo a strade senza negozi e a piazze di spaccio che di verde non hanno mai avuto niente. Un palazzo all’abbandono dove viveva appunto la piccola Fortunata, Chicca per la mamma e per le amiche. Almeno fino a quel maledetto 24 giugno. Prima di dire alla madre che sarebbe andata a giocare da un’amichetta. Prima di essere ritrovata morta nel cortile, buttata giù da Titò solo perché aveva fatto resistenza e non voleva più essere violentata.
«Ma veramente Chicca l’ha uccisa Titò?» aveva detto una bimba del palazzo parlando con un’altra. «Mi uccideva pure a me se andavo con Chicca», aveva detto una figlia alla madre. E la madre? «Oh, che non esce manco un poco di segreto», aveva detto stringendo un patto con la piccolina. Ancora un lasciar correre. Ancora nessun amore. Ma nessuno doveva parlarne a Caivano. E dopo un po’, anche i più piccoli hanno smesso di farlo. Aspettando che passasse. Ma cosa passa? La paura? L’innocenza? L’assenza di amore?
Potrebbe essere la trama di un film d’orrore. E invece è la realtà. Quella che con le fiabe non c’entra proprio niente. Non solo perché non esistono principi azzurri o principesse rosa, ma anche e soprattutto perché di amore non ce n’è affatto. Non c’è ascolto e non c’è protezione. Non c’è cura e non c’è riconoscimento. Non c’è attenzione e non c’è affetto. Ci sono solo violenza e dolore. Tutta quella violenza e tutto quel dolore che non passano. Perché certe cose non passano mai. Soprattutto in assenza di chi si prenda la pena di riparare le ferite e di fare in modo che la fiducia negli adulti possa pian piano risorgere. Almeno fino a quando non è interviene chi, come il pubblico ministero e una psicologa, cominciano rompere il segreto e a nominare le cose in maniera corretta.
Le figlie di Marianna ora vivono in comunità e sono lontane dal Parco Verde. A differenza di Chicca, sono in vita. Ma quale vita si può mai vivere dopo aver attraversato l’inferno? Chissà quanto tempo passerà prima che possano anche loro riconciliarsi con la vita. E capire che l’amore esiste, anche se fino ad ora non l’hanno mai sperimentato.
http://www.vanityfair.it/news/cronache/16/05/04/michela-marzano-omicidio-fortuna-loffredo

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