Signori Senatori, Signori Deputati.
il presidente del consiglio dei Ministri nel suo programma di Governo, il quale ebbe efficacia di commuovere a speranza tutti gli italiani, stigmatizzò alcune leggi che basandosi sopra nude persecuzioni legali infirmano la realtà. Ora una classe innumerevole di cittadini trovasi avviluppata in una veste giuridica, la quale, emanazione di tempi disparati, reliquia di tradizioni antiquate, che il progresso delle scienze sociali ha demoliti da ogni altra parte, rappezzatura di Diritto Romano e di diritto consuetudinario straniero, astrae dalla realtà presente e si afferma come un fatto isolato nel corpo delle istituzioni moderne.
Ora questa massa di cittadini che ha diritti e doveri, bisogni e interessi, censo e capacità, non ha presso il corpo legislativo nessuna legale rappresentanza, sicché l'eco della sua vita non vi penetra che di straforo e vi è ascoltata a malapena.
Noi italiane ci rivolgiamo perciò a quel Parlamento, che col Governo ha convenuto doversi alla presunzione sostituire la realtà, affinché posti in disparte i dottrinarii apprezzamenti e le divagazioni accademiche sulla entità e modalità della nostra natura, e sul carattere della nostra missione, voglia considerandoci nei nostri soli rapporti con lo Stato, riguardarci per quello che siamo veramente: cittadine, contribuenti e capaci, epperò non passibili, davanti al diritto di voto, che di quelle limitazioni che sono o verranno sancite per gli altri elettori.
A questa parità di trattamento con i cittadini dell'altro sesso, non conoscendo noi altro ostacolo che la tutela della donna maritata, domandiamo che sia tolta, come non d'altro originata che dalla legale presunzione della nostra incapacità, facendo noi considerare agli onorevoli legislatori, che avendo il Governo italiano promosso con ogni cura l'istruzione femminile e trovandoci noi, perciò, al giorno d'oggi, alla eguale portata intellettuale di una quantità di elettori che il legislatore dichiara capaci, stimiamo che nulla costi acché venga a noi pure accordato il voto politico, senza del quale i nostri interessi non sono tutelati ed i nostri bisogni rimangono ignoti.
Fiduciose nella saviezza e giustizia dei legislatori, le sottoscritte insistono perché sia fatta ragione alla loro domanda.
Sono parole di Anna Maria Mozzoni pubblicate nel marzo del 1877 ("La voce del popolo"). Parole che ebbero eco fra le femministe italiane, ma non andarono molto oltre.
Le donne italiane dovettero infatti attendere altri settant'anni per ottenere il diritto di voto.
Il suffragio universale, si sa, è alla base di ogni democrazia (non che negli ultimi anni in Italia ne abbiamo avuto esempio). E quest'anno festeggiamo i primi settant'anni del diritto al voto delle donne italiane. Un'occasione da ricordare, a mio avviso, con le parole di una vera pioniera dei diritti delle donne, Anna Maria Mozzoni.
Le italiane furono abilitate al voto per la prima volta il 2 giugno 1946 in occasione del referendum Repubblica / Monarchia. Vinse la Repubblica, anche se di molto poco (poco più dell'8%), e la casa dei Savoia fu eliminata dopo meno di un secolo di regno. L'Italia usciva distrutta emotivamente, economicamente e nelle infrastrutture da vent'anni di dittatura fascista e da una guerra mondiale e in molti consideravano il re Vittorio Emanuele responsabile per non avere dimostrato leadership. La nascita della repubblica fu veramente, per la prima volta nei millenni di storia della penisola italiana, la scelta democratica di tutti i cittadini.
http://www.huffingtonpost.it/ombretta-frau/anna-maria-mozzoni-litaliana-che-chiese-il-voto-per-le-donne-nel-1877_b_10162764.html
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