Grazie a Stefania, che lavora nella Pubblica Amministrazione, Roma
"Ti scrivo dalla mia postazione di lavoro anche se il mio orario sarebbe terminato circa due ore fa. Non immaginarmi, però, in affanno tra telefonate e email, o sommersa da carte, documenti o faldoni. Sono qui a disposizione, nel caso in cui qualcuno dei miei capi dovesse avere bisogno, di cosa non l'ho ancora ben capito, anche quando non ci sono lavori da fare per quanto mi compete".
"Scrivo a te, ma in realtà mi piacerebbe tanto che questa lettera venisse letta dalla mia ministra. Purtroppo la mentalità diffusa nel mio ambiente di lavoro, in una Pubblica Amministrazione, è che il merito si guadagni con la disponibilità temporale (almeno 10/11 ore al giorno in ufficio, facendo finta che fuori la vita non esista e che tutto il mondo stia tra queste quattro mura di un palazzo antico nel centro di Roma). Così i tempi sono dilatati. Un lavoro che si potrebbe svolgere in un'ora viene fatto in quattro. Le riunioni sono delle scuse per parlare di calcio o di altre banalità che nulla hanno a che fare con questioni professionali. Tanto poi si deve restare fino a tardi, naturalmente con gli straordinari pagati".
"Da quando sono diventata mamma, ho rivalutato ancora di più il valore del tempo. Ogni minuto sprecato sul posto di lavoro è un minuto in meno con mio figlio. Ogni giorno, quando alle 16,30 (orario in cui dovrebbe terminare la giornata lavorativa) mi accingo a dire al mio capo diretto che sto per andare a casa ricevo uno sguardo di sufficienza mista a disappunto. E’ il momento più umiliante della giornata. Umiliante come lavoratrice, che onestamente fa il suo lavoro, perché oso il più spesso possibile uscire in orario; è umiliante come donna, perché in quello sguardo il messaggio è: se fossi uomo non ti permetteresti mai di andare via a quest'ora. Soprattutto è umiliante come mamma, perché il mondo del lavoro considera la maternità un ostacolo: la cosa principale che ci aspetta in ufficio è la disponibilità temporale, bisogna esserci anche se non vi sono pratiche da sbrigare".
"Purtroppo questa mentalità è diffusa in tutti i capi, anche quelli che da poco hanno compiuto 40 anni e che dovrebbero essere sensibili su temi come la flessibilità e l'importanza di conciliare lavoro e famiglia, o consapevoli che la produttività non si misura in ore di presenza. Le conseguenze di tale gestione sono poi aggravate dall'inadeguatezza dei servizi per la famiglia. Nel mio caso gli orari del nido per il bimbo coincidono con i miei orari di lavoro (senza considerare lo straordinario) e se non esistessero i nonni e la babysitter non saprei come fare".
"Naturalmente, non secondario è il fatto che, lavorando in una Pubblica Amministrazione, le tante ore di straordinario fatte senza un'esigenza reale sono un vero furto dalle tasche di tutti i contribuenti...".
"Ogni sera, quando il mio bimbo si addormenta lo guardo e gli chiedo scusa per non esserci come vorrei a causa dell'ottusità dei miei capi e mi vergogno di non essere abbastanza forte per cambiare questa realtà che tiene lontano, più del dovuto, una mamma e un figlio. La sola alternativa è gettare la spugna e lasciare il posto ad altri".
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