Le dottorande sono le più esposte, perché hanno un rapporto stretto con il docente di riferimento e dipendono da lui per il futuro. Ma tra paura, pudore e omertà in Italia uscire allo scoperto è ancora difficile. Mentre solo in un ateneo su tre si trova la «consigliera di fiducia», cioè la figura deputata a raccogliere le segnalazioni e tutelare le vittime. Nostra inchiesta sul fenomeno e sugli strumenti a disposizione di chi viene colpito
All’inizio erano solo complimenti. «Sei bellissima», «Che bel collo », «Che belle mani», «Che bei piedi». Lei faceva finta di niente e cambiava discorso. Poi lui le ha proposto di fargli da assistente all’università, un incarico molto ambito, anche se non retribuito. E lei ha accettato. Da quel momento sono cominciati i messaggi e le telefonate di giorno e di notte. «Come sei vestita?», «Che rossetto hai su quelle belle labbra?», «Mandami una tua foto». Frasi inequivocabili, insistenti, fuori luogo. Fino all’aggressione fisica. E, per ultimo, il ricatto: «Ha minacciato di ostacolarmi nella carriera universitaria. Ha detto che non ero all’altezza di fare l’assistente, che l’avrebbe fatto sapere a tutti e avrebbe preso provvedimenti». C’è voluto un anno perché Silvia, 25 anni, modella nel tempo libero, laureanda in un grande ateneo del Nordest, denunciasse l’intoccabile barone (clicca qui per leggere l’intervista integrale a Silvia e la sua testimonianza). Il docente è stato convocato dalla commissione disciplinare dell’ateneo e poi si è dimesso. Silvia, dopo poco tempo, si è laureata. Aveva realizzato che quello che il professore stava facendo con lei lo aveva già fatto con altre. Ha dovuto aspettare, ma poi ha individuato lo strumento migliore per farsi aiutare e sentirsi protetta. Quello strumento è di tre parole: consigliera di fiducia, la «sentinella» chiamata a raccogliere le segnalazioni di molestie all’interno dell’Università. Per lei è stata la salvezza; ma per tanti altri in Italia, nella sua stessa posizione, non è così; perché molti nostri atenei sono indietro nel fornire tutele adeguate a chi è vittima di molestia. E perché il tema, nel mondo accademico, rappresenta ancora un tabù. Così abbiamo deciso di contattare tutti gli atenei d’Italia per capire quanti fossero provvisti di questa «sentinella», che la legge consente loro di attivare. Ma anche per cercare di dare un contorno, in senso più lato, al fenomeno.
Il primo contatto
L’articolo 21 della legge 183 del 2010 rende obbligatorio per le pubbliche amministrazioni il Cug, Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni. E da questo discende la creazione della consigliera di fiducia, una persona imparziale alla quale può rivolgersi chiunque lavori in ateneo per eventuali segnalazioni di discriminazione, molestie sessuali e morali o casi di mobbing. Solo trentadue atenei su ottantacinque indicano però la presenza di una «consigliera di fiducia» (come mostra la panoramica offerta dal grafico qui sotto): quasi totalmente assenti gli atenei privati (c’è un’unica piccola eccezione a Milano), i quali affermano di sopperire con altri istituti che non sempre tuttavia offrono la stessa tutela.
Le consigliere sono figure di solito esterne (avvocate o psicologhe); in tre casi, a rappresentare l’ufficio, sono invece uomini. La funzione ha una retribuzione variabile annuale dai 4-5 mila euro agli 8-9 mila, a seconda dell’impegno (che può cambiare da una volta al mese a tre volte alla settimana). Per essere contattate, di solito le consigliere indicano una email (consiglieradifiducia@nomedellateneo.it) e spesso di un numero fisso. All’Università di Trento il numero pubblicato sulla pagina web dell’università è collegato direttamente al cellulare della consigliera, mentre solo in quattro atenei è indicato direttamente un cellulare (Siena, Modena e Reggio Emilia, Camerino, Padova). Tuttavia, anche quando in ateneo è prevista la figura della consigliera di fiducia, non è sempre facile raggiungerla: con le Università di Ferrara e Camerino non siamo stati in grado di stabilire un contatto, nonostante varie telefonate e mail. Anche questo un segnale. Il primo compito della consigliera è sondare il terreno per una soluzione conciliativa, e solo dove non sia possibile si procede con un provvedimento amministrativo (trasferimento del responsabile in un altro reparto, sospensione dello stipendio). Nei casi più gravi la denuncia in procura è l’unica strada. È interessante osservare che in Puglia, a Bari, ci sono stati due casi clamorosi di prof denunciati per molestie di cui si è occupata la stampa e di nessuno di loro il Cug dell’Università era stato informato.
Dove sono
Soltanto una università privata in Italia ha la consigliera di fiducia: è la Sigmund Freud University di Milano. In realtà ciò si spiega con il fatto che questi atenei sono esonerati dall’applicare la legge 183/2010 già citata. La figura viene sostituita dalla presenza di un Comitato Pari Opportunità o dell’Organismo di vigilanza, del Garante degli studenti o del Collegio di disciplina. Oppure si fa riferimento allo stesso Codice di disciplina. In tutti i casi si attinge a un professionista interno all’ateneo. Ma, come si capisce, non è la stessa cosa: per una vittima è più facile trovare tutela in una singola professionista esterna alle dinamiche dell’ateneo piuttosto che rivolgersi a comitati formati da più persone interne all’Università. Il dato di fatto è che nessuno degli atenei privati che abbiamo contattato riporta casi di molestie. Quanto alla distribuzione geografica della consigliera di fiducia, lo scenario non è incoraggiante. In sette regioni d’Italia nessun ateneo ha questa figura: sono l’Umbria (l’Università di Perugia nei giorni scorsi ha però attivato uno sportello anti-violenza), il Lazio, la Sardegna, la Sicilia, la Valle d’Aosta, l’Abruzzo e la Calabria. In Puglia e in Campania ce l’ha solo un’università: quella del Salento e la Federico II di Napoli.
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