Femminicidio: il 25 novembre il Senato è passato ai fatti, ma poi è morto Maradona di Valeria Valente
Dirò subito che sarò provocatoria: c’è qualcosa che non va in un Paese in cui la morte di Diego Armando Maradona, nella Giornata internazionale della lotta alla violenza contro le donne e in piena seconda ondata della pandemia da Covid, occupa ancora le prime pagine e buona parte dei quotidiani, suscitando decide e decine di ricordi, interviste, editoriali.
Intendiamoci, Maradona è stato un genio indiscusso del calcio. Di più, ha interpretato la napoletanità sul campo di pallone, ha donato a Napoli, la squadra della mia amata città, il sogno dello scudetto, dei vertici assoluti. Ma, appunto, siamo nel pieno di una storica epidemia e quel giorno stavamo ricordando a noi stessi che l’Italia è un luogo dove una donna ogni tre giorni muore ammazzata per mano di un uomo con cui ha o aveva una relazione di qualche tipo e 7 milioni di donne nella loro vita hanno sperimentato una forma di abuso sessuale. Il nostro è un Paese che ha un robusto apparato legislativo di contrasto, ma le donne continuano ad essere uccise, violate, discriminate. Chiedo: è ora che prima di tutto gli uomini comincino a chiedersi cosa c’è che non va, senza voltarsi dall’altra parte alla prima occasione utile?
Proprio il 25 novembre, l’Aula del Senato ha approvato all’unanimità (un vero segnale, in questo momento politico) un disegno di legge fondamentale per combattere il femminicidio, ma la cosa è passata quasi sotto silenzio, se non perché poche giornaliste donne hanno deciso di occuparsene. Eppure si tratta di una legge storica, perché introduce in Italia due principi fondamentali.
Il primo: bisogna finalmente cominciare a porre alle bambine, alle ragazze, alle donne malmenate, perseguitate, stuprate, che si recano in pronto soccorso, in una centrale di Polizia o in una caserma dei Carabinieri, le domande giuste. Non più: com’eri vestita? Cosa hai fatto per evitare la violenza? Perché non hai denunciato prima? Ma, in primis: chi è per te costui che ti ha picchiato o peggio? E’ tuo padre, tuo marito, il tuo compagno o il tuo ex quello che ti ha speronato con l’auto o ti ha tolto di che vivere?
Il secondo principio, che discende dal primo: per combattere davvero femminicidio e violenza di genere servono per prima cosa statistiche ufficiali, non basta che le femministe, le giornaliste, le politiche, le operatrici dei centri e delle associazioni della rete antiviolenza (con un corale lavoro preziosissimo) tengano il conto delle morte ammazzate dall'inizio dell’anno.
Il disegno di legge di cui sono prima firmataria e che è stato il lavoro di tutta la Commissione di inchiesta del Senato sul Femminicidio reca “misure per le statistiche sulla violenza di genere” e prevede che l’Istat e il Sistema statistico nazionale comincino a raccogliere i dati disaggregati per sesso e a utilizzare indicatori sensibili al genere. Istituisce inoltre l’obbligo, per il ministero della giustizia e dell’Interno, di rilevare nelle notizie di reato anche la relazione che intercorre tra autore e vittima della violenza. Questo per 25 tipologie di reato, non solo per l’omicidio, il tentato omicidio o lo stupro, ma anche per l’appropriazione indebita, le lesioni, l’abbandono di minore, il danneggiamento.
Esistono infatti dei reati “spia”, anche di tipo economico, che possono preludere a violenze ben più efferate e che possono anche in qualche modo preannunciare la morte della vittima. Oggi tutte queste informazioni vanno perdute e spesso anche i femminicidi non vengono riconosciuti subito.
Dobbiamo invece imparare a “leggere” correttamente la violenza contro una donna, quando la incontriamo, perché questo riconoscimento ha una profonda valenza culturale. L’Istat, che finora grazie anche all’impegno di Linda Laura Sabbadini ha prodotto importanti indagini sulla violenza, avrà ora il compito effettuare indagini e relazioni triennali dedicate a questi temi e biennali aventi per oggetto l’utenza e l’attività dei centri antiviolenza e delle case rifugio. Cosa ci aspettiamo da questo ddl che speriamo la Camera possa licenziare in fretta? Che contribuisca a fare chiarezza, che ci dia la possibilità di monitorare le leggi e le politiche attuate per capire come migliorare e anche che contribuisca a creare la cultura dell’attenzione alla condizione femminile in Italia. Siamo consapevoli che serve tanta formazione, per tutti gli operatori della filiera, dalla sanità alla giustizia: medici, infermieri, avvocati, giudici, forze di Polizia.
L’educazione e la formazione sono la chiave per incidere su questo drammatico fenomeno strutturale di natura culturale, a partire dall’università che forma i nostri insegnanti e dalla scuola stessa, per realizzare un comune sentire diverso, una coscienza collettiva del rispetto. Soprattutto, dobbiamo uscire dalla retorica che si sta creando anche sul 25 novembre e passare ai fatti. Il governo sta facendo molto, sostenendo i centri antiviolenza e le case rifugio, l’occupazione femminile che è fonte di autonomia e di libertà, la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. Come Senato, sento che quest’anno abbiamo fatto la nostra parte.
Valeria Valente è senatrice del Pd, presidente della Commissione di inchiesta sul Femminicidio e la violenza di genere
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