Proprio mentre nella cattolicissima Polonia il Pis, il partito ultraconservatore al potere, ha praticamente reso impossibile l’interruzione di gravidanza attraverso una sentenza che ne ha cancellato la possibilità persino in caso di malformazione del feto, scatenando una sommossa popolare, l’Argentina, a 99 anni da una legge del 1921 che la vietava, ha finalmente approvato la nuova legge.
In aula mancavano due antiabortisti: l’ex presidente argentino Carlos Menem, oggi novantenne e malato, e l’ex governatore José Alperovich, in aspettativa per – paradossi del destino – una denuncia di abuso sessuale. Vittoria dunque per il movimento dei “fazzoletti verdi” che da anni si batte (contro quello “azzurro”) per una regolamentazione (Francesco, il Papa argentino, ha dichiarato, poche ore dopo l’annuncio: “Tutti nasciamo perché qualcuno ha desiderato per noi la vita”, pronunciamento che sarà certo oggetto di svariate interpretazioni).
Da oggi “le donne incinte potranno accedere a un aborto legale fino alla 14esima settimana dopo aver firmato un consenso scritto e un periodo massimo di dieci giorni tra la richiesta di interruzione della gravidanza e la sua esecuzione”.
In effetti, l’aborto in Argentina sulla carta era parzialmente concesso, ma solo in caso di stupro, un’affermazione giuridica che, però, si è dimostrata più teorica che pratica. L’influenza cattolica e dei gruppi evangelici in America latina era ed è fortissima, nonostante più di 7000 bambine e ragazze di età compresa tra 10 e 14 anni abbiano partorito tra il 2016 e il 2018, spesso a seguito di stupro (dati di un rapporto di Rete argentina di accesso all’aborto sicuro) e, secondo un’inchiesta del Guardian, nel Paese di Maradona 40.000 donne, nel 2016, sono state ricoverate negli ospedali pubblici per complicazioni dovute ad aborti illegali. Fra loro, 6400 erano ragazze e adolescenti fra i 10 e i 19 anni.
Almeno 65 ragazze sono morte dopo aver subito interventi illegali da mammane o incompetenti nel triennio 2016-2018, metà ventenni e 9 adolescenti. Infine almeno 73 donne, oltre a medici e infermieri, sono state arrestate o fermate, accusate di aborto illegale. “Quando sono nata io, le donne non votavano, non potevamo ereditare né andare all’università. Non potevamo divorziare, non avevamo pensioni per le casalinghe. Quando sono nata io, le donne non erano nessuno. Provo emozione per la lotta di tutte le donne che sono fuori ora a manifestare per questa legge”, ha dichiarato in aula la senatrice Silvia Sapag (pro aborto).
Mentre María Belén Tapia (antiabortista) ha ribadito: “Gli occhi di Dio guardano ogni cuore e ci mettono di fronte alle condizioni odierne della nostra Nazione. Saremo benedetti se daremo valore alla vita, maledetti se sceglieremo di uccidere innocenti. Non lo dico io, lo dice la Bibbia sulla quale ho giurato”. Fatto sta che in Argentina circa 500.000 donne abortiscono clandestinamente ogni anno.
Secondo il Guttmacher Institute, “solo il 21 per cento delle donne in età riproduttiva abita in Paesi in cui l’aborto è esplicitamente permesso solo per salvare la vita della donna e l’11 in Paesi in cui è permesso per proteggere la salute fisica della donna”. I Paesi che che lo proibiscono totalmente sono 26. Il Washington Post, poi, ci fa sapere che, tra il 2000 e il 2017, 28 paesi hanno cambiato le loro leggi sull’aborto e, in tutti i casi tranne uno, le nuove leggi hanno concesso più libertà rispetto alle precedenti.
Contemporaneamente, però, alcune Nazioni con leggi piuttosto permissive (Stati Uniti, dove l’aborto è legale dal ’73) stanno rendendo più difficile abortire. In generale, il limite è di 12 o 14 settimane. Tra i Paesi che prevedono questa possibilità ci sono Usa, Canada, Australia, Russia, Cina, Germania, Francia, Italia e vari altri paesi europei. Lo Stato con la legge più punitiva al mondo è El Salvador dove è sempre vietato abortire, anche a rischio di vita della madre. Si rischiano fino a 30 anni di prigione.
Secondo dati forniti da Sky Tg 24, leggi restrittive contro l’aborto le hanno Angola, Egitto, Gabon, Guinea-Bissau, Madagascar, Senegal, Iraq, Laos, Isole Marshall, Filippine, Repubblica Dominicana, il citato El Salvador, Haiti e Nicaragua. Si può abortire invece in Nigeria, Somalia, Libia, Sudan, Afghanistan, Bangladesh, Paraguay, Venezuela e Indonesia, ma solo se la vita della puerpera è a rischio. Permesso anche in caso di stupro e malformazioni del feto anche in Messico, Cile e Panama, condizione che si aggiunge all’incesto (come in Nuova Zelanda, Algeria, Eritrea, Gambia, Namibia, Seychelles, Sierra Leone, Israele, Colombia e Giamaica).
E in Europa? A Malta è proibito senza alcuna eccezione. In Gran Bretagna, Islanda e Finlandia è consentito abortire solo in alcuni casi e se si è indigenti. Certo che la nostra legge 22 maggio 1978, n. 194, è stata una gran conquista di civiltà, anche se il 71 per cento dei medici italiani si dichiara obiettore (ovvero non pratica aborti) con un picco di quasi il 93 per cento, non al Sud – come qualcuno potrebbe ipotizzare – ma in Trentino Alto Adige.
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