sabato 5 dicembre 2020

«NON LO FO PER PIACER MIO MA PER DAR DEI FIGLI A DIO» Graziella Priulla

È una faccia — nemmeno tanto nascosta — dell’addomesticazione della sessualità femminile verso una modalità di servizio che non costituisca minaccia per la stabilità sociale. La legittimazione del piacere sessuale anche per le donne avviene solo in tempi recenti. Come ricaviamo da moltissime testimonianze, per le nostre nonne la sessualità è stata inibizione, vergogna, estraneità e silenzio, spesso associati a paura e sofferenza, sempre a ignoranza. Un solo soggetto era legittimato al desiderio, l’amore coniugale per le mogli non essendo che devota affezione. L’orgasmo per loro era termine inaudito, concetto e soprattutto esperienza sconosciuta. Il sesso, spesso veloce e maldestro, uno spiacevole inconveniente del matrimonio.

 L’apparato genitale femminile è rimasto a lungo anche in Europa il più misterioso perché il meno studiato e conosciuto del corpo umano: su di esso si sono accumulati nei secoli tabù, pregiudizi, convinzioni bizzarre, descrizioni fantasiose e teorie fantascientifiche penalizzanti. Mia nonna diceva “là sotto”. Faceva imbarazzo e paura. Il desiderio femminile, laddove venisse preso in considerazione, si configurava come una dimensione illegittima e perversa che tradisce le più profonde e sacre leggi naturali. Nei corsi di morale matrimoniale veniva insegnato che il marito può sempre chiedere il debito coniugale, ma non è conveniente che sia la moglie a chiederlo. 

 Nel trattato Psychopatia Sexualis (1886) lo psichiatra tedesco Von Krafft-Ebing, docente all’università di Graz, dichiarava: «Se la donna è normalmente sviluppata mentalmente e bene educata, il suo desiderio sessuale è scarso. Se così non fosse il mondo intero diventerebbe un bordello e il matrimonio e la famiglia impossibili!». Nel 1896 il giurista Bernhard Windscheid sentenziava: «Nelle donne normali, soprattutto in quelle delle classi sociali più elevate, l’istinto sessuale è acquisito, non innato; quando è innato o si risveglia spontaneamente, allora c’è anormalità. Poiché non conoscono tale istinto prima del matrimonio, le donne non ne sentono la mancanza se non hanno nella loro vita l’occasione di apprenderlo». Nietzsche scriveva: «La felicità dell’uomo si chiama ‘io voglio’, la felicità della donna si chiama ‘egli vuole’». Nelle trattazioni di diritto penale dell’Ottocento è facile imbattersi in dissertazioni sulle insormontabili differenze biologiche che donano al maschio “l’energia dell’assalto” e alla femmina una “frigidità naturale”. «L’uomo in quanto tale deve copulare, la donna no», sentenzia ancora nel XX secolo il senatore socialdemocratico Nino Mazzoni durante il dibattito sulla legge Merlin. 

 Tanti miti fondativi raccontano l’agire di maschi predatori ai danni di fanciulle. Un grande storico della Roma antica, Paul Veyne, ha parlato in proposito di “virilità da stupro”, per stupro intendendo non solo quello vero e proprio, ma a monte una concezione predatoria dell’uso dell’organo virile (l’arma con cui Priapo proteggeva le proprietà, utile non solo a procreare e a godere, ma a imporre un dominio — ossia un altro e più sottile piacere). 

 Il gioco delle parti tra i sessi presuppone che l’impeto maschile debba vincere una “naturale” resistenza e ritrosia della partner. Freud — disorientato dal femminile — dichiarava d’altronde che la sola libido è fallica. Il fallo è il pieno, l’attività, il tutto; la vagina è il vuoto, la passività, il niente. È chiaro che tale visione può rendere un rapporto sessuale molto simile a uno stupro quando presuppone che la donna attenda l’avvicinamento dall’uomo e abbia bisogno del suo stimolo, magari energico, per acconsentire al sesso. Di qui i criteri che portano a selezionare il lessico entro repertori di aggressività, di forza, di caccia, di lotta, di possesso (la chiavo — la fotto — la trombo — la spacco — me la faccio — la metto a 90° gradi — glielo ficco di qua e di là… ). Questa convinzione, costruita socialmente e culturalmente, crea lo squilibrio che è all’origine della violenza. è talmente interscambiabile il nome e l’immagine delle armi con l’organo di riproduzione maschile, che si chiama ‘pistolino’ quello dei bambini.

 «L’uomo è cacciatore e la donna è preda». Lo dicono da sempre i padri ai figli, le madri alle figlie; lo mormorano le donne tra loro alzando gli occhi al cielo. Ancor oggi una giovane persona su quattro crede sia del tutto normale, per i ragazzi, esercitare pressioni sulle ragazze per fare sesso. Solo verso la fine degli anni Quaranta i rapporti Kinsey sul comportamento sessuale degli esseri umani svelarono al mondo che anche le donne intendono provare piacere: furono considerati controversi e sensazionalistici e vennero attaccati violentemente dai conservatori, ma da allora le inchieste e gli studi dedicati alla sessualità femminile si sono moltiplicati. In pochi decenni siamo passate da una società patriarcale, che non prevedeva per noi che pochi diritti, a un nuovo assetto sociale dove possiamo scegliere. Scegliere se fare sesso o no. Scegliere come e quando farlo. Scegliere se stare in coppia o no. Scegliere di avere un’altra relazione. A volte queste scelte costano la vita. 

 Se è vero che i due elementi della coppia si definiscono anche per reciprocità, una parte del problema della violenza di genere sta nel fatto che le società occidentali si sono ormai organizzate — almeno formalmente — sul presupposto dell’uguaglianza dei sessi, minando le antiche certezze e conferendo alle donne nuova autorevolezza e un’inedita autodeterminazione. Il maschile, però, non è stato capace di reggere il cambiamento e molto spesso si attesta su un’estenuata conservazione, forte del fatto che gran parte del potere reale sta ancora nelle sue mani.

 Ciò che le donne hanno dovuto fare da secoli, cioè la gestione delle relazioni che prevede anche saper accettare i desideri e le decisioni dell’altro, diventa impossibile per alcuni uomini che si trovano a dover gestire capacità relazionali che non possiedono in misura adeguata.

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