sabato 6 febbraio 2021

La violenza sulle donne è l'atto di nascita della politica e del suo inevitabile declino di Lea Melandri Il Riformista del 7 febbraio 2021

 Lea Melandri  Il mio articolo su Il Riformista del 7 febbraio 2021

La violenza sulle donne è l'atto di nascita della politica e del suo inevitabile declino.

Dire che è “un fenomeno strutturale”, senza che gli uomini consapevoli degli orrori che ha prodotto storicamente la “virilità”, aggiungano “ci riguarda”, è indifferenza o silenziosa complicità.

I femminicidi, gli stupri, i maltrattamenti, l’integralismo antiabortista, le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro: queste e infinite altre forme di violenza manifesta o invisibile sulle donne “emergono” oggi non a caso nella loro forma più arcaica e selvaggia –potere di vita e di morte- di fronte a una “libertà” delle donne che molti uomini sono incapaci di tollerare, altri tollerano in silenzio, altri evitando di alzare gli occhi e la voce di fronte alla barbarie assassina dei loro simili.

Il dominio maschile sull’altra metà del mondo ha significato l’appropriazione del potere generativo, riportato su un sesso solo –le genealogie di padre in figlio-, la cancellazione della sessualità femminile e della donna come singolarità incarnata, corpo e pensiero. Quella che viene oggi allo scoperto è la crisi di una civiltà che ha portato finora in tutte le sue manifestazioni, economiche, culturali e politiche il segno della comunità storica degli uomini, la loro visione del mondo, imposta, contrabbandata ideologicamente come “naturale”.

Non ci si può più accontentare di qualche legge o di qualche diritto strappato con fatica e subito contrastato con violenza dagli odiatori delle donne. Quelle che oggi riempiono le piazze di tutto il mondo sono donne di generazioni diverse che hanno capito quanto il sessismo sia trasversale a tutte le realtà di violenza, sfruttamento, miseria e ingiustizia sociale, e quanto siano profonde le radici nella cultura, ancora in gran parte inconscia, che abbiamo ereditata e purtroppo anche fatta nostra. 

Il cambiamento che si impone perciò è radicale, riguarda istituzioni, saperi e poteri della vita privata e pubblica, è contrasto, disobbedienza, ribellione a tutti i governi che legittimano la violenza maschile in tutte le sue forme. E’ un modello di civiltà, e non solo un sistema economico, che oggi mostra le sue radici distruttive, sugli umani e sulla natura.

Nell’epoca in cui i capisaldi del potere dei padri, per naturale decrepitezza o inevitabili discontinuità dovute alle nuove acquisizioni della coscienza, cominciano a declinare, sembra che solo la violenza tragga dal mutamento in atto nuovo vigore. Nel venir meno di modelli virili socialmente autorevoli, nel declino delle istituzioni che dietro la maschera della neutralità hanno sedimentato valori, gerarchie, privilegi, divisione di ruoli, nel lento decadimento dei miti della forza e dell’onore, è come se si fosse prosciugato il terreno in cui scompariva ogni volta un tenero figlio, ancora in odore di madre, per far crescere un coraggioso guerriero.

Il copione della virilità, destinato a ripetersi quasi senza variazioni nel corso di una vita, poteva contare in passato su attori e parti note già nell’ambito famigliare, figure parentali irrigidite da obblighi, doveri, rituali domestici, distribuzione di poteri, visibilmente in consonanza con le strutture portanti della vita pubblica. Patriarchi contadini, abbruttiti dall’alcolismo, non riscuotevano per questo minore obbedienza e rispetto. La violenza si confondeva con la legge, con la tradizione, con le norme comportamentali, con l’esercizio di un potere considerato “naturale”. Senza quel supporto, fatto di carne e passione, nessun ordine avrebbe potuto durare così a lungo, resistere alle discontinuità della storia, all’assalto delle nuove generazioni. E’ questa la “sacra famiglia” della tradizione? L’assassino non solo ha le chiavi di casa. In una casa è cresciuto da piccolo, ci è entrato da adulto con una moglie, ha visto nascere dei figli.

Sembra ancora lontano a venire il giorno in cui, nel comunicare l’ennesimo femminicidio alla televisione, anziché dire “adesso cambiamo argomento”, ci si fermi per aggiungere “cerchiamo di capire da dove nasce tanto odio e violenza maschile”. Le ragioni sono ormai sotto gli occhi di tutti.

Quando le donne hanno cominciato a scostarsi dal posto in cui sono state messe -svilite o esaltate immaginariamente-, anche la collocazione dell’uomo ha perso i suoi contorni definiti e indiscutibili. La libertà, di cui ha creduto di godere la comunità storica maschile, svincolandosi dalle condizioni prime, materiali, della sua sopravvivenza, ha rivelato impietosamente la sua inconsistenza, portando allo scoperto un retroterra fatto di fragilità, paure e insicurezza.

E’ nella sfera domestica che le donne hanno cominciato a non voler più essere un corpo a disposizione degli altri. Le separazioni, i divorzi, il numero crescente di quelle che scelgono di vivere da sole, sono materialmente e simbolicamente la prova che la millenaria “oblatività” femminile, come “sacrificio di sé” sta venendo meno. Di conseguenza aumentano nell’uomo senso di fallimento e impotenza, consapevolezza intollerabile di una dipendenza finora rimossa.

La pandemia non ha fatto che accentuare il peso che ha comportato per le donne la cura, considerata “naturale” destino femminile -una maternità estesa tanto da riguardare, oltre che figli, anziani, malati anche uomini in perfetta salute -, e togliere il velo alla retorica della famiglia come luogo della loro protezione e sicurezza. Ma ha anche messo allo scoperto, nel momento in cui il corpo con tutte le vicende, le più indicibili che lo attraversano, come la vecchiaia, la malattia, la morte, è uscito dal ‘privato’ per accamparsi sulla scena pubblica, il vuoto di sapere, sostenibilità, consapevolezza, su cui sono nate le istituzioni politiche, separate dalla vita nel momento stesso in cui hanno consegnato all’immobilità della natura, insieme al sesso femminile, tutte le esperienza, per altro le più universali dell’umano, che hanno il corpo come parte in causa.

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