Il confuso dibattito su
legge elettorale e scarsa presenza di donne, manca proprio di
fondamenta e perciò svolazza a caso su parole senza senso: che vuol
dire democrazia paritaria? che vuol dire democrazia di genere? e
perchè non usare il termine collaudato di Democrazia
rappresentativa?
Preferisco questa
ultima locuzione e spiego perché.
Quando le donne
norvegesi -ben più di un secolo fa - ottennero (prime al mondo) il
riconoscimento del loro diritto di voto attivo e passivo, la
democrazia era già detta a suffragio universale, quando tutti i
maschi avessero il voto e nemmeno mezza donna.
Per questo le
norvegesi, ragionando sulla realtà e non su astratte definizioni di
principio, si dissero che -se avessero lasciato fare alle cose così
com’erano - verso il 3300 sarebbero arrivate al 4% circa, sicché
si proposero di trovare uno strumento provvisorio, tale da agire
sulla cultura che aveva prodotto una rappresentanza solo maschile o
quasi, in modo che il mutamento (sarebbe più giusto dire la
mutazione) diventasse alla fine culturale e irreversibile, senza
innestare revanscismi e rappresaglie e vendette.
Fecero dunque approvare
dal parlamento una "clausola di non sopraffazione sessuale"
per la quale le liste debbono sempre essere confezionate in modo che
nessun genere abbia più del 60% di candidature, nessuno meno del
40%. La norma rimane in vigore fino a che questa partizione non
meccanica nè solo aritmetica, ma equilibata sia divenuta abituale: é
ancora in vigore anche in Norvegia, tradotta in italiano da chi non
capisce nè il norvegese, nè la logica "quote rosa":
invece essa impedisce sia la presentazione di liste solo maschili,
sia di liste solo femminili, agendo su due generi e offrendo spazi
modificabili e non burocratici, in altri termini è antipatriarcale,
ma non intende avviare il matriarcato.
Troppo compllcato per i
nostri Soloni? ripassino un po’ la grammatica, per favore, e poi
parlino: se no tacciano, che fa lo stesso.
09|03|14 Lidia Menapace
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