venerdì 14 marzo 2014
La vergognosa disinformazione che cavalca le "quote rosa" e ne fa armi da guerra: contro le donne
Esce oggi sul Corriere, nella sezione "interventi & repliche", e sulla 27ora, una (molto opportuna) precisazione dell'Acccordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria: non si tratta di quote rosa. Facciamo chiarezza.
Si, facciamola: e scopriremo che
1. gli emendamenti per il riequilibrio di genere richiesti alla Legge elettorale niente hanno a che vedere con le "quote rosa" [di per sè, peraltro, ottima cosa];
2. approfondita la faccenda, semmai di quote azzurre, da sempre obbligatorie, si dovrebbe parlare.
Ma i partiti e (spiace dirlo), compattamente anche la maggior parte dei media, hanno evidentemente interesse a sguazzare nella confusione: tanto da fare delle "quoterosa" un (velenoso) mantra ridicolizzante che vanifica tutti gli sforzi delle donne. Benché ciò che è davvero ridicolo siano solo le obiezioni maschili:
Ed eccco il testo completo del comunicato:
Il 10 marzo i deputati italiani si sono nascosti dietro al voto segreto per respingere emendamenti alla nuova legge elettorale volti a consentire anche alle donne un vero accesso alle candidature. Non si tratta, dunque, di "quote rosa": come portato quasi ovunque all'attenzione dell'opinione pubblica.
Ma proprio brandire in modo fuorviante lo spauracchio di presunte "quote rosa" ha consentito di ignorare il vero concetto da mettere a tema, confondendo l’opinione pubblica e dando un alibi a questo comportamento. Non è stata messa debitamente in luce la necessità, invece, di rompere meccanismi chiusi, oggi costruiti in modo da negare alle donne opportunità di candidature in posizioni di eleggibilità.
E attenzione - questo vigliacco copione si è già ripetuto in diversi consigli regionali, dalla Puglia alla Sardegna, per affossare leggi per la doppia preferenza: mentre nelle interviste, a parole, i politici inneggiano alla partecipazione delle donne, sottilmente adombrano forzature e poi la stroncano con un uso indebito del voto segreto.
Poco possono le donne contro questo sbarramento: nella consolidata tendenza alla cooptazione reciproca tra uomini (sia nelle cariche politiche, sia nel girotondo tra "poltrone decisionali" di vario tipo), le donne hanno oggettivamente un accesso ai media molto più scarso rispetto ai colleghi maschi (del resto quante segretarie di partito abbiamo? quanti direttrici di testate nazionali?) e assai minori mezzi economici in campagna elettorale (elemento trascurato di correttezza). E in conclusione: molto scarse possibilità di essere conosciute dall’elettorato. Se aggiungiamo che le donne vengono generalmente candidate in posizioni di facciata, senza eleggibilità, non è questo un meccanismo che garantisce semmai “quote azzurre”?
In tutto ciò le donne di oggi (non diversamente dalle "suffragette" dell’800) vengono sarcasticamente presentate, nelle interviste, da certa satira e da molta stampa, come figure ridicole: mezze calzette che pretenderebbero posti garantiti senza averne titolo. Visione molto opportuna, ma solo per la compagine maschile che con le donne non intende competere.
E il risultato è quanto avvenuto nell'aula di palazzo Montecitorio, proprio in concomitanza con l'8 marzo: uno schiaffo a tutte le donne del Paese, e un passo indietro nella Storia. Per uno scarto di pochi voti.
Vanificare la battaglia portata avanti dalle donne e dagli uomini alla Camera dei deputati, che hanno promosso e votato emendamenti per la rappresentanza (anche) di genere, è una ferita insanabile: non solo per il cammino delle donne, ma per l’avanzamento di un Paese in crisi.
Riteniamo doverosa questa denuncia, e di offrire un punto di vista più ampio all'opinione pubblica. Le donne, fuori e dentro il Parlamento, non si arrendono.
Con l’augurio all’Italia che la partita per uscire dall'anacronismo, che si riapre ora in Senato, si risolva positivamente.
12 marzo 2014, Acccordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria
per info e contatti: danielacarla2@gmail.com
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