Ettore è un uomo
STRAORDINARIAMENTE forte. Ammirato dal pubblico e invidiato dai
colleghi. Ma non è un macho come gli altri. Ha un segreto: ama
lavorare a maglia. Lo deve fare però di nascosto; ai maschi non sono
permessi passatempi tanto femminili. E infatti il forzuto sollevatore
di pesi con un debole per l'angora, alla fine, si troverà a
difendere la sua “diversa” mascolinità.
Quella di Ettore è
solo una delle sette storie pubblicate da “ settenove ”,
piccolissima casa editrice fondata a settembre del 2013 a Cagli,
nelle Marche, dalla trentenne Monica Martinelli. Una laureata in
giurisprudenza che ha un obiettivo: fare qualcosa contro la violenza
sulle donne.
Ad ogni inchiesta sul
dramma continuo dei femminicidi emerge: l'unico modo per affrontare
davvero il problema – che è un problema culturale e non
un'emergenza - è partire dall'educazione. Sì, ma come? Martinelli
ha deciso di farlo con le favole. Storie magiche, fantastiche eppure
estremamente realistiche che raccontano coppie, famiglie e avventure
con uno sguardo diverso. Perché le principesse non sono per forza
bambole vestite di rosa e destinate ad attendere tutta la vita uno
sposo; i papà aspettano i figli come le mamme, nel senso che si
preparano al loro arrivo con lo stesso entusiasmo; e le bambine come
Cloe sfidano i pregiudizi indossando zainetti di Spiderman scuola.
Quelle di settenove
sono storie semplici (e con disegni d'autore) che mettono in
discussione , fra leoni, giochi e avventure, i modelli più
formalizzati del binomio maschile/femminile. E per questo fanno
paura. All'inizio di aprile, militanti di Forza Nuova hanno
organizzato delle manifestazioni di fronte alle Librerie Paoline di
Treviso, Trieste e Verona, per protestare contro la vendita di libri
pubblicati dalla casa editrice marchigiana. Ricevendo una risposta
piccata delle suore: "è libertà d'espressione".
Fa paura, il
cambiamento. Tanto che ogni volta che si propone una storia o un
romanzo in cui Cenerentola non sia sempre e solo
l'innamorata-Cenerentola ma magari un'astronauta coraggiosa uno
stuolo di autorevoli firme si indigna per “l'ideologizzazione
della fantasia” e la “politicizzazione delle favole”. «Ma
quale ideologia!», ribatte Monica Martinelli: «I nostri libri la
liberano la fantasia, non la rinchiudono. A imbrigliarla sono
piuttosto gli stereotipi, i canoni prefissati che tanti autori
difendono, e ripetono. Le nostre storie non fanno altro che proporre
dei modelli nuovi».
La politica, c'entra,
però, eccome. Anche se resta in disparte quando entra in gioco la
fantasia. “settenove” infatti prende il nome dall'anno 1979,
l'anno in cui «le Nazioni unite hanno adottato la Convenzione Onu
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei
confronti della donna; in cui Nilde Iotti è salita alla terza carica
dello Stato; e la Rai ebbe l’audacia di mandare in onda il
documentario “Processo per Stupro“, di Loredana Rotondo».
Il messaggio è chiaro:
questa è una casa editrice combattiva. «Viviamo in una società
ancora fortemente patriarcale», commenta la fondatrice – e unica
dipendente fissa, ad oggi: «Da quarant'anni in Italia si discute di
ruoli, stereotipi, di “gap” da ridurre. Eppure, ancora adesso,
appena si affronta l'argomento alla radice - partendo, cioè,
dall'educazione - si solleva un casino».
I primi a sentirsi
attaccati sono gli uomini, racconta Martinelli: «Ma sbagliano:
perché anche loro sono vittime di questi stessi modelli». Lo
dimostra la resistenza che ha avuto uno dei suoi titoli, “Papà
aspetta un bimbo!”: «L'ho portato a una fiera. Ogni ragazzo che
passava lo guardava un po' storto. Mi dicevano: “Ah, è un libro
sulle pari opportunità”. E io a spiegargli che no, era solo una
bella storia sulla paternità. Altri pensavano fosse una sorta di
manifesto per le famiglie omosessuali, quando in copertina c'è una
mamma in cinta con di fianco il compagno».
Sarà possibile
cambiare qualcosa, partendo dalle favole? «Io ci credo», sostiene
la creatrice: «Il mio obiettivo è fare libri belli. Così belli che
attirino anche chi non è per nulla interessato a questi temi, o che
è addirittura contrario ad affrontarli. Che li prenda così solo
perché piacciono, perché sono belle storie». Per poi scoprire che
sono belle storie che fanno cambiare.
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