sabato 9 luglio 2016

Le torture di Federica portate in corteo di MICHELA MARZANO

I genitori di Federica De Luca hanno sfilato tenendo in mano la foto del viso tumefatto della figlia, uccisa dal marito il 7 giugno scorso. In un mondo in cui le parole si sbriciolano, solo l'immagine sembra poter testimoniare e denunciare il "male gratuito"

Le immagini possono sostituire le parole? Prima le parole bastavano. Cioè. Le parole non bastano mai per dire veramente la sofferenza, dire il dolore, dire la violenza. Però aiutano, o almeno aiutavano, a raccontare la disperazione e l'orrore nel quale si precipita quando arrivano le tenebre. Aiutano, o almeno aiutavano, a testimoniare la "frattura del mondo", come scrive la poetessa francese Jeanne Hyvrad, e a urlare l'ingiustizia del male. Quel "male gratuito", di cui ha parlato ieri monsignor Ferro a San Cataldo, la cattedrale di Taranto, celebrando la messa in memoria di Federica al termine della fiaccolata durante la quale avevano marciato mamma Rita e papà Enzo stringendo in mano la foto del viso tumefatto della figlia. Quel "male gratuito" che esiste e di cui è già testimonianza il "Cristo inchiodato alla croce", come ha detto sempre monsignor Ferro. Quel "male gratuito" per il quale oggi, però, le parole sembrano non bastare più. Anzi, oggi le parole si sbriciolano e diventano polvere. Forse perché, passata la tragedia - e di tragedie così, in questi ultimi mesi, ce ne sono state tante, tantissime, troppe - tutti se ne dimenticano. Forse perché, nonostante le lacrime, poi la vita ricomincia. Forse perché, dopo i discorsi, le commemorazioni, le petizioni, i progetti di legge, gli impegni del governo e le promesse delle autorità, cala il silenzio e tutto torna come prima. E allora ci si aggrappa alle immagini. A cos'altro ci si può d'altronde aggrappare in un'epoca in cui le parole scivolano via, e solo l'immagine sembra vera, appiccicandosi agli occhi e al cuore? Cos'altro fare quando solo le immagini sembrano scuotere realmente le coscienze, nonostante foto di questo tipo possano essere scioccanti?

Lo aveva già fatto Ilaria Cucchi, mostrando la foto del cadavere di Stefano e facendo di quell'immagine un vero e proprio strumento politico per ottenere giustizia. Hanno minacciato di farlo i genitori di Giulio Regeni, di fronte all'oscenità delle menzogne e all'assenza di pietà, pronti a diffondere l'immagine di quel "viso piccolo piccolo dove si è concentrato tutto il male del mondo", pronti a quel "dolore necessario". Lo ha fatto recentemente Luana, la ragazza di Cagliari picchiata dall'ex, pubblicando su Facebook le foto del proprio volto turgido, con le ferite appena suturate in ospedale. Come se solo i lividi, le unghie strappate, le costole rotte o le ferite ricucite dicessero la verità, dissipando dubbi e incertezze. Come se solo le immagini fossero capaci di testimoniare il sacrificio di quelle vite.

E le parole, allora? Non servono sempre e comunque per accompagnare le immagini, anche solo per evitare voyerismo e strumentalizzazioni? Che cosa avrei voluto che facesse mia madre, se al posto di Federica ci fossi stata io? Cosa avrei fatto io se fossi stata al posto di Rita?

"Rita ci diceva che le tremavano le gambe", racconta una signora dell'Avo, l'associazione volontari ospedalieri di cui fa parte anche la mamma di Federica. "È un monito per tutti", "La nostra vita è finita il 7 giugno", hanno ripetuto Rita ed Enzo, le mani strette sulla foto della figlia scattata in obitorio poche ore dopo il delitto e lo sguardo vuoto. Perché quando perdi una figlia, è tutto vuoto, non solo lo sguardo. E deve essere stato straziante decidere di esporre allo sguardo altrui il cadavere tumefatto di Federica. Perché non è una semplice immagine quella che girava ieri per le strade del centro di Taranto e poi, velocemente, su Internet. Sulla foto non c'è un'estranea, c'è la figlia. Sulla foto ci sono i suoi lividi e i segni del suo massacro. Sulla foto c'è la carne della propria carne e il sangue del proprio sangue. È un'immagine sconvolgente, certo. Ma è l'immagine vera dell'assassinio vero della propria bambina. Io, forse, non avrei voluto esserci su quella foto. Forse però, se fosse successo a mia figlia, mi sarei comportata come Rita. Per mostrare al mondo intero di cosa un uomo può essere capace. Mostrarlo, appunto. "Un monito per tutti".
Quando le parole, da sole, non bastano più.
http://www.repubblica.it/cronaca/2016/07/09/news/violenza_sulle_donne_parole_immagini-143723526/

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