mercoledì 21 settembre 2016

Quegli stereotipi sulla libertà delle donne La legge prevede che ciascuno si vesta come desidera. Ma se guardiamo le cose da un punto di vista culturale, ci rendiamo conto che sono ci due forme di costrizione molto simili di Dacia Maraini

Ho davanti a me una fotografia che ritrae quattro giovani donne che corrono sulla spiaggia coperte da un indumento che porta il curioso nome di burkini. Sembrano contente. In effetti, sappiamo che se non fossero coperte in modo da lasciare liberi solo piedi, mani e faccia, non potrebbero correre in spiaggia né fare il bagno.
Quindi?
Quindi ben venga il burkini se lascia alle donne musulmane la libertà di correre in spiaggia.
La parola burkini viene da una combinazione di burqa con bikini. La parola in sé rivela che si tratta di un compromesso fra due costrizioni che riguardano il linguaggio del corpo femminile:l compromesso fra un potere punitivo che lo vuole coperto integralmente fino a scomparire del tutto (come nel burqa integrale) e un altro potere mercantile che lo vuole esibito come un umiliante richiamo che ricorda la reificazione sessuale.
Dove sta la libertà in questo crudele gioco del coprire e dello scoprire?
È da considerarsi una libera scelta quella di usare un costume (tipo tanga) che mette in evidenza, spesso in maniera sfacciata e brutale le parti più sessuate del corpo femminile?
È vera libertà quella di coprirsi in modo che tutto quello che può sfiorare le parti sessuate venga nascosto, e la pelle non possa mai vedere il sole?
La legge prevede che ciascuno si vesta come desidera. E su questo non ci piove.
È arrogante pretendere di stabilire come si debba conciare una donna che vuole fare un bagno in mare.
Ma se guardiamo le cose da un punto di vista culturale, ci rendiamo conto che sono due forme di costrizione molto simili.
La vera libertà consisterebbe nello stare comodi, nella possibilità di muoversi liberamente, di prendere il sole senza fare il verso alle peggiori pubblicità della seduzione mediatica, nello stare in armonia con la natura sfuggendo sia al linguaggio delle ideologie che del mercato.
Ma dove sta la gioia di vivere, quando si chiede alle donne di adeguarsi a una convenzione stereotipata: il linguaggio della seduzione o della negazione della seduzione?
Il proprietario simbolico del corpo femminile, o chiede che questo corpo diventi sempre più appetibile ed esposto perché il mercato lo pretende: oppure ordina, in nome di una religione punitiva, di coprirlo in modo assurdo per evitare proprio quello sguardo concupiscente che, sempre nel mondo dei linguaggi emblematici, viene considerato pericoloso e immorale.
Dove sta la libertà?
http://www.corriere.it/opinioni/16_settembre_13/quegli-stereotipi-liberta-donne-903df512-78fb-11e6-a466-5328024eb1f5.shtml

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