La scorsa settimana ero a Milano al Tempo delle Donne del Corriere della Sera, a parlare di maternità e figli maschi. Sulle prime il tema mi ha fatto sorridere, non ho idee chiarissime su come sto crescendo Lorenzo in quanto Lorenzo, figuriamoci in quanto figlio maschio. Poi, come spesso succede, mi sono venute in mente delle cose, un po’ le ho dette, un po’ le scrivo qui, ma a freddo, a incontro finito.
Ho pensato che a Lorenzo vorrei dare gli strumenti per uscire bene dall’adolescenza. Se non a pieni voti, comunque in tempo. Ci sono in giro moltissimi adolescenti fuori corso, cinque, dieci, vent’anni in ritardo. L’adolescenza è il momento in cui i ragazzi devono tarare le proprie emozioni, si passa dall’euforia che è il superlativo della gioia, alla disperazione che è il superlativo dell’infelicità in un attimo. Serve a delimitare le soglie del dolore, della felicità, a tracciare il campo di gioco. E allora ci sta l’amore urlato contro, ci sta il melodramma, ci stanno le forzature. Ci stanno per un po’, poi basta. Vorrei che Lorenzo diventasse un uomo capace di vivere i rapporti forte delle proprie emozioni, e non un eterno adolescente in balia di emozioni forti.
Poi vorrei insegnargli a distinguere tra sensibilità e fragilità. Quando un uomo si dimostra sensibile si dice che ha un lato femminile sviluppato. Non so se sia davvero così. Mi pare, però, che le donne mettano in conto la sofferenza più degli uomini e quindi siano più preparate. Gli uomini, dal dolore si fanno prendere quasi sempre alla sprovvista, come quando nei film il protagonista viene colpito in petto da un proiettile e non capisce bene cosa stia accadendo, porta la mano alla ferita, guarda il sangue che gli macchia le dita, stupito, e sembra accorgersi di avere un cuore solo nel momento in cui gli si spezza. Mi pare, continuo con questo mi pare paraculo, perché non sono un’antropologa, né una sociologa, né una maschiologa, che gli uomini abbiano un’incoscienza spavalda e adorabile, che nelle donne acquista consapevolezza e si trasforma in coraggio. Ecco gli uomini sono meno abituati a comprendere l’anatomia dei sentimenti, loro e altrui. Sono più spavaldi ma meno coraggiosi. Le madri forse dovrebbero lavorare lì: meno maschi alfa, più uomini emotivamente alfabetizzati.
Per Lorenzo vorrei essere tante cose ma non una mamma lupa, una mamma ferina, viscerale. Le donne “l’uomo della mia vita l’ho partorito” dimenticano che è l’incipit di quasi tutte le tragedie greche. E lo dico io che mi sono fatta venire il batticuore quella volta che ho trovato Lorenzo ad aspettarmi alla stazione, di ritorno da un viaggio. Però i proclami, le affermazioni di assoluta dedizione, le dichiarazioni di amore furioso sono convinta che ai figli non facciano bene. C’è una maturità anche nella maternità, niente di così difficile, ma semplicemente l’annusata al collo, in quel punto preciso dove il suo odore resta bambino, gliela dai quando dorme, di soppiatto, che l’amore di una mamma è bene che resti un po’ segreto, un po’ clandestino.
L’aggressività non è un valore. Lo sono la tenacia e la determinazione, l’aggressività no.
A Lorenzo vorrei ricordare che è nato con dei privilegi, privilegi economici e sociali naturalmente, ma anche privilegi legati al suo sesso. In quanto maschio, per esempio, la statistica vuole che abbia più facilità ad avere uno stipendio meglio retribuito o che le donne non si sentiranno in diritto di importunarlo per strada o che il numero delle persone con cui deciderà di andare a letto non farà di lui un poco di buono o un ragazzo rispettabile. Gli inglesi lo chiamano “male privilege”. Un dono che non si è guadagnato e mi piacerebbe che come tutti i doni lo spartisse con Marta. Perché crescere con una sorella, una femmina quasi coetanea, è davvero il più grande dei privilegi.
https://tiasmo.wordpress.com/2015/10/12/appunti-su-come-crescere-un-figlio-maschio-in-particolare-il-mio/
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