"I femminicidi
sono in aumento". "No, sono stabili". "In Italia
si ammazzano meno donne rispetto al resto d'Europa". "È
invece una escalation impressionante".
È infinito il
battibecco sui numeri delle donne uccise nelle relazioni
sentimentali, dibattito consumato sciorinando le cifre fornite ora
dal Viminale, ora dalla lunga lista compilata annualmente dalla Casa
internazionale delle Donne di Bologna. Per alcuni osservatori non
esiste alcuna emergenza, anzi, è "propaganda".
Eppure è possibile
porre un punto fermo sulla questione: "Smettiamola di contare
soltanto le donne uccise perché è un esercizio limitante",
esorta Linda Laura Sabbadini, direttrice del dipartimento per le
statistiche sociali e ambientali dell'Istat e membro della
commissione ONU che ha definito le linee guida a livello mondiale
delle indagini statistiche sulla violenza contro le donne. Nel 2006
curò la prima vera ricerca sulla violenza contro le donne in Italia,
mostrando una realtà sommersa e feroce: dieci milioni di italiane
confessavano di avere subito violenza fisica, sessuale o psicologica
nella stragrande maggioranza dei casi per mano degli uomini di
famiglia.
Per Sabbadini non serve
finire ammazzate per alimentare le statistiche: "I femminicidi
sono la punta dell'iceberg. Dobbiamo comprendere tutte le
manifestazioni di violenza di genere, fenomeno endemico e gravissimo
che accomuna l'Italia al resto del mondo". In attesa della nuova
ricerca condotta dall'Istat sugli abusi nei confronti delle donne,
rifinanziata dal ministero per le Pari Opportunità, Sabbadini fa
parte della task-force interministeriale sulla violenza di genere:
suo il compito di coordinare le banche dati istituzionali e non, per
creare finalmente un osservatorio permanente e costituire un sistema
di monitoraggio.
Partiamo dai dati che
fanno discutere. Da gennaio a oggi secondo l'Eures sono stati
compiuti 81 femminicidi. Hanno ragione coloro che sostengono che il
numero delle donne uccise dai partner sentimentali sono invariati
negli anni?
Sì, il quoziente è
sostanzialmente stabile. Sta crescendo la percentuale di donne uccise
sul totale degli omicidi perché contemporaneamente diminuisce il
numero di omicidi di uomini. Ma ciò non può indurre a sminuire il
fenomeno. La situazione è grave, proprio perché il tasso di omicidi
di donne non si intacca. D'altro canto non esiste solo la barbarie
dei femminicidi, la violenza contro le donne è molto più ampia e
fin quando non avremo i dati dell'indagine Istat che ne stima il
sommerso non potremo dichiarare con certezza se la violenza di genere
è in crescita o diminuzione, ma solo fare ipotesi. I dati devono
essere letti rigorosamente.
È emergenza?
Non credo che stiamo
assistendo ad una recrudescenza, ma, insisto, non per questo la
situazione è meno grave. Il numero di femminicidi è letteralmente
inchiodato da anni, mentre il numero degli omicidi degli uomini sugli
uomini è crollato negli ultimi 20 anni. È come se stessimo in una
situazione di gravità permanente. Dobbiamo capire che il fenomeno è
strutturale e quindi è più difficile rimuoverlo.
Cosa risponde a coloro
che obiettano che gli uomini vengono comunque uccisi in misura
maggiore delle donne?
Che è vero e non solo
in Italia. Ma gli uomini vengono uccisi da altri uomini per motivi
differenti, spesso per criminalità organizzata. Le donne, invece,
vengono uccise in quanto donne, mogli, fidanzate, ex compagne. Per
contro la percentuale di uomini uccisi dalle loro compagne o ex
compagne è bassissima. Per questo dobbiamo parlare di un fenomeno
fortemente connotato e strutturale che trae le sue origini dallo
squilibrio nei rapporti di genere.
Perché gli uomini
arrivano a uccidere le donne che dicono di amare?
Il nucleo della
violenza contro le donne è il rapporto di potere all'interno della
coppia o della relazione. La violenza viene usata per ristabilire il
potere maschile, è espressione del desiderio di controllo, dominio e
possesso dell'uomo sulla donna. E man mano che la libertà delle
donne aumenta il fenomeno diventa più grave poiché l'asimmetria è
ancora più forte. Dobbiamo però cambiare rotta: smettiamola di
contare soltanto le vittime di femminicidio. È un esercizio
limitante. Dobbiamo invece comprendere tutte le manifestazioni di
violenza contro le donne e mettere in campo strumenti di prevenzione
e contrasto di lungo periodo che agiscano culturalmente, nel
profondo, per evitare che queste violenze possano moltiplicarsi e
permanere.
Quali sono gli
stereotipi duri a morire sulla violenza di genere che una ricerca
statistica può contribuire a eliminare?
La violenza di genere
non è un raptus né la manifestazione di una patologia. Spesso
quando le cronache riportano un femminicidio, se opera di italiano si
parla di raptus o patologia, se straniero di barbarie culturale, come
se ammazzare non fosse comunque una barbarie. Le ricerche sulla
violenza di genere ci dicono invece che questa si esprime con una
escalation di episodi sempre più gravi, non è quasi mai episodica e
spessissimo i suoi autori sono lucidissimi.
Attenzione: queste
caratteristiche sono costanti ovunque nel mondo e non soltanto in
Italia. Stiamo parlando di un fenomeno strutturale, trasversale, che
tocca i Paesi avanzati e i Paesi in via di sviluppo, i ricchi e i
poveri, i colti e gli analfabeti: che va intaccato con politiche di
ampio respiro. Noi abbiamo un tasso di omicidi di donne simile alla
Svezia e più basso della Russia e della Finlandia.
È anche un problema
delle donne?
Nella ricerca che
l'Istat condusse nel 2006 scoprimmo che dieci milioni di donne
avevano subìto violenza fisica, psicologica o sessuale, nella
stragrande maggioranza dei casi per mano di un uomo della famiglia o
comunque vicino sentimentalmente. Un numero enorme. Ebbene, il 30% di
queste donne disse che non ne aveva mai parlato prima con nessuno e
soltanto il 18% considerava quanto accaduto un reato e questo dato è
in linea con le statistiche di altri paesi: le donne stentano a
riconoscere la violenza del proprio partner. Sappiamo bene che molte
sopportano perché sperano nel cambiamento del proprio compagno.
Altre perché pensano che sia meglio per i figli avere la figura
paterna: e ,invece, proprio le statistiche ci dicono che i figli che
assistono alla violenza nei confronti della propria madre hanno una
probabilità molto maggiore di diventare a loro volta mariti violenti
da adulti rispetto agli altri. Ciò accade in ogni luogo a
prescindere dalla latitudine. Si tratta della trasmissione
intergenerazionale della violenza, cosa terribile.
Quali sono le priorità
per smorzare la violenza di genere?
Io sono esperta di
statistiche non di politiche, posso solo dire che servono strategie
di breve e lungo periodo. I centri antiviolenza vanno fortemente
sostenuti, sono fondamentali perché intercettano le donne nel
momento più difficile. Ma occorre investire anche nelle strutture
sanitarie, nelle forze dell'ordine, nell'educazione scolastica, nel
lavoro ad ampio spettro culturale nell'ottica dell'integrazione, come
ci dice la Convenzione di Istanbul. Bisogna essere coscienti del
fenomeno, senza cadere nell'errore di sminuirlo. Non abbiamo bisogno
di un bilancino per stabilire se siamo di fronte a un problema
gravissimo: un Paese democratico non può tollerare che dieci milioni
di cittadine siano vittima di violenza, sia essa psicologica, fisica
e sessuale. Soprattutto, se consideriamo che un quinto di quelle
italiane dice di avere avuto addirittura paura per la propria vita.
L'Italia è un Paese
fortemente maschilista?
Tutti i Paesi del mondo
sono maschilisti, anche l'Italia lo è. Ce lo dicono i dati. Non
esiste un luogo dove la violenza di genere sia stata eliminata.
Esistono, è vero, Paesi dove il carico di lavoro familiare è
distribuito in maniera più equa tra uomini e donne. Ma, ovunque la
violenza di genere stenta ad essere compressa o eliminata. La verità
è che il mondo non è pronto alla libertà delle donne, le
resistenze maschili al cambiamento sono fortissime. Sta anche alle
donne reagire con forza.
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