La pessima applicazione
della legge 194 per i tanti medici obiettori e il dibattito dopo la
delibera del Comune di Firenze per l'istituzione del cimitero per i
bambini non nati
Come era da immaginare
l’approvazione della delibera comunale, avente ad oggetto
l’istituzione del cimitero dei bambini non nati all’interno del
camposanto di Firenze, ha innescato l’ennesimo confronto sulla
natura giuridica degli embrioni e dei feti e conseguentemente un
dibattito nuovo sulla 194. Nuovo, perché , mentre per un verso si
dice da più parti che la legge legalizzante l’interruzione
volontaria di gravidanza “non si discute”, anzi se ne sottolinea
l’intangibilità, dall’altro ci si scaglia contro chi ne rimarca
la rinnovata valenza, soprattutto in un momento in cui
l’autodeterminazione delle donne al riguardo viene ancora una volta
messa in discussione. Succede, così, che siano messe sulla griglia
mediatica giornaliste del calibro di Marina Terragni, scrittrici
quali Lidia Ravera, convinte assertrici della 194 che, nata per
eliminare la triste piaga delle morti per aborti clandestini, è
venuta nel prosieguo ad assumere la valenza del riconoscimento in
capo alla donna del diritto a non vedersi imposta normativamente una
gravidanza. La critica che viene a loro rivolta, nonché a quante,
come il Comitato Se non ora quando di Firenze, sostengono la
pericolosità di una delibera che, con l’istituzione di un ‘area
ben determinata all’interno del cimitero di Firenze specificamente
destinata all’inumazione dei bambini non nati, si configuri quale
“un chiaro attacco alla 194”, è che non può essere vietato il
seppellimento dei figli ai genitori che ne facciano richiesta. Si fa
leva sulla legittimità dei sentimenti di dolore e di sofferenza in
capo a madri e padri che vogliono avere un luogo dove raccogliersi
nel ricordo dei propri bambini non nati, ma, così facendo, si sposta
l’argomento del confronto su di un terreno estremamente scivoloso,
destinato a farci piombare in un pantano di vere e proprie sabbie
mobili. I sentimenti contro i valori, la pietà contro la libertà,
sono contrapposizioni idonee a non consentire un dibattito scevro da
condizionamenti fuorvianti.
Focalizzando, invece,
l’attenzione sulle disposizioni normative relative all’inumazione,
con particolare riguardo ai feti, il dpr n.285/1990 prevede che
quelli tra le 20 e le 28 settimane, come pure gli omologhi di età
gestionale inferiore a 20 settimane, possano essere sepolti per
volontà dei genitori “con permessi rilasciati dalle unità
sanitarie locali”. Quando, allora, si attacca Lidia Ravera
colpevole, a detta dei detrattori, di aver utilizzato il
termine”grumi di materia”, perché lo si fa, se è chiaro a tutti
che si riferisce ai prodotti del concepimento inferiori a tali
periodi, ossia agli embrioni di gravidanze che le donne scelgono di
interrompere nel pieno rispetto della 194, cioè nel termine di tre
mesi, ossia 12 settimane? Quando se ne chiedono le dimissioni da
assessore regionale alla cultura del Lazio, perché la si considera
rea di aver definito le donne “animali di servizio della specie”,
si compie una palese strumentalizzazione delle sue parole, perché la
scrittrice confuta l’approccio culturale per il quale, essendo le
donne fonte di vita, non possono decidere da sé in piena libertà e
coscienza di non portare avanti una gravidanza. In questo aria , già
per suo conto difficile da respirare, si assiste sconcertate finanche
a titoli di articoli mutanti, perché anche le parole in queste
circostanze diventano più pericolose delle pietre, come nel caso di
un’intervista rilasciata da A. Kustermann, primario ginecologo a
Milano, nonché medico non obiettore. La sua frase “trovo il
dibattito molto vetero” diventa nell’intestazione del pezzo
giornalistico “care femministe siete vetere”, cosicchè
subitamente smentisce ed il titolo successivamente diventa “i
cimiteri per i bambini non nati aiutano a superare il lutto”.
Donne che dividono le
donne, che a loro volta sono divise sull’argomento 194, questa
parrebbe la sintesi del confronto, se non fosse che ognuna all’inizio
premette “fermo restando la libertà delle donne e il rispetto
della 194”. Ma, se è così, perchè tutto il furore ideologico di
questi giorni non lo si devia verso un fine altro e più alto, ossia
rendere a questa legge un senso reale e concreto non più
riscontrabile in regioni ove la percentuale dei medici obiettori
nelle struttrure ospedaliere pubbliche si avvicina al 90%? Mi
aspetterei più onestà intellettuale in coloro i quali utilizzano il
dibattito sui cimiteri dei bambini non nati per dire che in fondo è
bimbo anche quello oggetto di un’interruzione volontaria di
gravidanza effettuata nel pieno rispetto della legge. E a chi non
veda quanto le delibere comunali istitutive di aree specifiche per
l’inumazione dei prodotti del concepimento di età gestionale
inferirore alla 20° settimana vadano in questa direzione, dovrebbe
ribattersi di rimando che le norme del 1990 già prevedono tale
possibilità. C’è solo un particolare non di poco conto da
evidenziare: queste delibere sono atti amministrativi, statuenti il
riconoscimento in capo all’embrione di un diritto pari a quello
valevole per un defunto ad essere inumato o cremato in base alle
norme previste dai regolamenti cimiteriali di ogni singolo comune. La
legge 194, tra il diritto di chi persona non è e quello della donna
di non morire di aborto clandestino, ha scelto la tutela di
quest’ultima. Sembra quasi che oggi quel diritto le venga svuotato
di senso non solo logico, ma anche per così dire emotivo, visto che
le aspettative sulla interruzione volontaria di gravidanza, disattese
da un sistema sanitario pubblico incapace di arginare il fenomeno
dell’obiezione di coscienza, si accompagnano ad un dibattito che,
pare, sia finalizzato a colpevolizzare quante decidano di non volere
seppellire i resti di un’interruzione volontaria di gravidanza. E
succede così che provo ad immaginare gli stati d’animo di una
donna che in passato ad essa è ricorsa, mentre oltrepassa l’area
cimiteriale destinata appositamente all’inumazione dei “bambini
non nati”, denominata, che so, il Giardino degli angeli. Ci vuole
poco a rappresentarmi i suoi sensi di colpa per non avere disposto
che ciò che restava di un figlio indesiderato non sia stato
seppellito, ma bruciato in un inceneritore come un rifiuto
ospedaliero. Mi sembra quasi di avvertire i suoi contrastanti
sentimenti, nell’immediato di dolore per come è finita quella
gravidanza non voluta e nel prosieguo di libertà per non essersela
sentita imposta per legge. Succede, poi, che razionalmente qualifico
la colpa di quei ricordi sofferenti come non sua , ma di quanti per
meri calcoli politici o ideologici hanno deciso che debbano essere
destinate delle apposite aree cimiteriali ai bambini non nati a causa
di un’interruzione volontaria di gravidanza. E, se la normativa
nazionale prevede che “a richiesta degli interessati possano
effettuarsi nei cimiteri le inumazioni sia dei prodotti del
concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane che dei
feti abortiti spontaneamente o per esigenze terapeutiche tra le 20 e
28 settimane”, il mio sdegno sale prorompente per come siano per
l’ennesima volta usati i sentimenti, i corpi e la dignità di
quella donna, e non solo.
(10 Novembre 2013)
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