lunedì 21 luglio 2014

La libertà clandestina delle donne iraniane


Su una pagina Facebook si mostrano senza velo. E le autorità iraniane rispondono diffondendo un servizio televisivo contro la giornalista che l’ha ideato

Qualche mese fa, Masih Alinejad, giornalista iraniana residente a Londra, ha creato una pagina su Facebook intitolata “My Stealthy Freedom” (La Mia Libertà Clandestina), incoraggiando le donne del suo Paese a condividere foto dove si mostravano senza lo hijab - il velo tradizionale e obbligatorio che copre la testa e i capelli, usato da donne iraniane come simbolo di modestia quando sono in pubblico o in presenza di uomini che non sono membri della loro famiglia. 
L’idea della giornalista mirava a sfidare le leggi e le norme sociali che obbligano le donne a portare il velo e altre forme dello hijab (come il niqab, che copre tutto eccetto gli occhi; il chador, un mantello che copre tutto il corpo). L’iniziativa è stata un successo sui social network: in meno di due mesi la pagina ha raggiunto oltre mezzo milione di “mi piace” e migliaia di condivisioni su Twitter usando l’hashtag #mystealthyfreedom. Le immagini condivise dalle donne le mostrano sorridenti per poter provare la sensazione della libertà e poter sentire il sole e il vento sui capelli. 
 Alinejad si aspettava minacce e lettere di protesta, ma non quello che in realtà è avvenuto. Le autorità iraniane hanno fatto mandare in onda un servizio televisivo dove si raccontava che la giornalista, sotto l’effetto delle droghe, aveva cominciato a spogliarsi in pubblico a Londra finendo poi per essere stuprata da tre uomini. Testimone di tutto questo, raccontava il servizio, sarebbe stato il suo figlio 17enne, costretto a guardare. 
Tutto questo è «immaginazione» racconta Alinejad al giornale statunitense “The Washington Post”, una campagna accusatoria da parte dello Stato per diffamarla. Ma non si sono fermati lì: Vahid Yaminapour, presentatore televisivo di area conservatrice, ha condiviso sul suo profilo di Facebook frasi pesanti: «E’ una puttana, non un’eretica come dicono alcuni… Non dobbiamo elevare il sua status a quello d’un eretica. Sta soltanto cercando di compensare i suoi bisogni psicologici (e probabilmente finanziari) reclutando altre giovani e condividendo la sua notorietà con ragazze che non si sono ancora prostitute come lei». Altri ancora dicono che Alinejad sta falsificando le immagini e che i governi occidentali la stanno pagando per ripudiare l’abbigliamento tradizionale iraniano.
«Loro vedono che non ho fatto niente di sbagliato - disse Alinejad al network televisivo ABC -. Non le ho nemmeno chiesto di togliersi il velo, sto soltanto segnalando quello che già esiste, e il governo mi ha attaccato».
La misura estrema da parte dello stato indica che le autorità iraniane sono chiaramente scosse dal movimento e l’enorme numero di donne, sia in Iran che nei paesi occidentali, che lo sostengono. 
In un pezzo nella rivista statunitense “Time”, Alinejad scrive: «Decidere come vestirti è una forma di libertà di espressione. E questo è un lusso che non esiste in Iran. Ma le “donne clandestine” volevano mostrare una faccia diversa dell’Iran che è spesso ignorata dalla media controllata dallo Stato e dai media occidentali».
In supporto di Alinejad, è stata creata la pagina Facebook “We Are All Masih” (Siamo tutti Masih) che ha raccolto già 4,000 “mi piace.” Altri hanno fatto una petizione, raccogliendo firme da giornalisti a favore di un’azione legale da parte di Alinejad. 
La giornalista ha pensato a lungo come rispondere a la situazione. «Per una questione di principio, ho intenzione di citare in giudizio per danni e presentare una denuncia formale contro la televisione di Stato».
“La Mia Libertà Clandestina” continua ad andare avanti. La pagina Facebook è diventata anche più popolare dopo le false accuse e minacce. 
“Le donne d’Iran hanno votato con le loro selfie”, dice Alinejad.

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