La campagna
antiabortista, che attraversa periodicamente l’Occidente, e gli
insulti di carattere erotico rivolti alle donne, che oggi entrano
vistosamente anche nelle aule parlamentari, dicono quello che già
sappiamo del sessismo: nel corpo della donna gli uomini da secoli
hanno visto l’”oggettivazione” e l’ “incorporazione”
della sessualità maschile, la loro colpa diventata “carne”.
L’attitudine alla prostituzione e la maternità farebbero entrambe
parte della costituzione organica della donna fin dalla nascita,
tanto da potersi soprapporre e confondere. (Otto Weininger)
Come spiegare
altrimenti l’insulto che nelle sale operatorie – non penso solo
in quelle della provincia contadina in cui sono nata – veniva
rivolto alle partorienti quando si lamentavano del dolore: «Hai
goduto, adesso paghi»? Non è forse questo anche il retro pensiero
degli antiabortisti, che vorrebbero costringere una donna a tenere un
figlio che non desidera? L’ossessione per molti uomini o quanto
meno per la cultura che abbiamo ereditato resta, nonostante se ne
faccia oggi ampio consumo, la sessualità proiettata sul corpo
femminile, una pulsione che sembra quindi cadere su di loro da fuori,
frutto di “seduzione” o trascinamento, e di cui stentano perciò
ad assumersi la responsabilità.
Le maternità,
desiderate o indesiderate, rimandano al rapporto tra i sessi,
all’amore e alle prove di potere o all’esercizio della violenza
che l’attraversano. È la sessualità maschile, penetrativa e
generativa, che può causare gravidanze, e sappiamo quante volte
questo avvenga senza il consenso e spesso senza piacere da parte
delle donna. Eppure è quasi esclusivamente su di lei che sono stati
sperimentati gli anticoncezionali, di cui conosciamo la nocività per
la salute, è a lei che si chiede di “stare attenta”, di “non
mettersi nei guai”, di “non provocare”.
La consapevolezza,
che sta finalmente affiorando, della matrice sessista presente in
modo più o meno esplicito negli insulti rivolti alle donne incontra
il suo maggiore ostacolo nella resistenza maschile a volgere lo
sguardo su di sé. La solidarietà con la vittima e la presa di
distanza dall’aggressore, soprattutto se avversario politico –
come si è visto anche nel caso di Laura Boldrini e delle
parlamentari del Pd – sono in sé apprezzabili, ma allontanano
ancora una volta la questione di fondo: la politicità di un rapporto
di potere, come quello tra uomo e donna, che passa attraverso i corpi
e la sessualità, la divisione e la gerarchizzazione dei ruoli basata
su attribuzioni arbitrarie di valore e disvalore al sesso di
appartenenza.
Dai bar sport, dalle
piazze, dagli interni di famiglia alle aule parlamentari, quelle che
oggi erompono come “rimosso” di un patriarcato in declino sono
storie di ordinaria violenza sessista. La libertà delle donne di
decidere sulla propria vita, il loro ingresso nei luoghi di potere
tradizionalmente maschili, non poteva passare senza scuotere
certezze, privilegi, prerogative di dominio ritenute “naturali” e
immodificabili, nell’ambito domestico come nelle istituzioni e nei
linguaggi della sfera pubblica.
Vedere e stigmatizzare
gli insulti sessisti di Grillo e di alcuni suoi seguaci solo come un
attacco alla democrazia attraverso le sue più alte cariche
istituzionali, vuol dire chiudere gli occhi sulla cultura e sulla
storia che li ha legittimati per secoli, diventando “senso comune”.
Parlare di volgarità maschile, dignità offesa delle donne,
demagogia, derive verso un populismo totalitario, significa ancora
una volta mettere a tacere la consapevolezza che la crisi della
politica è anche crisi di un modello di civiltà nato
sull’esclusione di uno dei due sessi e sulla cancellazione dei
bisogni essenziali dell’umano con cui è stato identificato.
n voglio negare che
vivere in paesi come la Norvegia, la Svezia o il Canada, dove
l’emancipazione ha portato parità di genere, equa distribuzione
delle responsabilità famigliari e comportamenti “politicamente
corretti”, sia desiderabile per chi, come noi, respira il
maschilismo in ogni angolo, privato e pubblico. Ma dovrebbe far
riflettere il fatto che neppure l’alto grado di democraticità
raggiunto in quella parte dell’Occidente sembra aver sconfitto la
violenza domestica. L’amore e l’odio, che purtroppo si
intrecciano fino a confondersi nella relazione tra uomini e donne, ha
radici profonde ancora in parte inconsce, difficili da estirpare
finché non sono nominate e riconosciute nella loro estensione e
negli effetti distruttivi che producono sulla convivenza umana in
generale.
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