Matteo Salvini (Lega
Nord), Nichi Vendola (Sel), Bruno Tabacci (Centro democratico) Pino
Pisicchio e Nello Formisano (Misto), Franco Bruno (Api) Mario
Borghese (Maie), Riccardo Nencini e Marco Di Lello (Psi), Mario
Ferrara (Gal), Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Dellai e Mario Mauro
(Udc, Popolari per l’Italia), Silvio Berlusconi, Paolo Romani e
Renato Brunetta (Forza Italia), Angelino Alfano (Nuovo centro
destra).
Leggo l’elenco delle
delegazioni che si sono recate alle consultazioni con Matteo Renzi e
rabbrividisco: sono tutti uomini. Anche tra i 5Stelle, tra i più
accesi sostenitori dell’inutilità delle politiche di genere, ben
quattro uomini: Beppe Grillo, Luigi D’Inca, Vincenzo Santangelo, e
Luigi di Majo.
Anche nel Pd, il
partito che vanta la più alta presenza di donne in Parlamento, le
persone qualificate per parlare con il premier in pectore sono due
uomini Luigi Zanda e Roberto Speranza.
Le uniche donne
presenti, sono Stefania Giannini di Scelta civica e Giorgia Meloni,
di Fratelli d’Italia, entrambe accompagnate però dalle ingombranti
presenze di Andrea Romano e Gianluca Susta e di Guido Crosetto e
Ignazio Larussa.
E’ la fotografia
della nostra politica, del nostro Parlamento, del nostro Paese. Le
donne quando si tratta di trattare di cose importanti sono tagliate
fuori.
E allora come possiamo
pensare che il tema della parità di genere, delle azioni positive
volte a favorire l’occupazione femminile, possano essere all’ordine
del giorno se quasi tutte le delegazioni, che rispecchiano chi
detiene il vero potere nei partiti, sono composte da uomini?
Come possiamo sperare
che questi signori che sono andati a trattare di programmi portino
avanti le richieste dei movimenti e delle associazioni femminili per
avere una ministra delle Pari opportunità, o modifiche alla legge
elettorale per garantire una rappresentanza femminile nelle
istituzioni, così come previsto dalla Costituzione?
E non si tratta del
vecchio discorso delle quote, che non ci entusiasmano ma sono
strumenti utili, piuttosto di fare un salto di qualità. Non
chiediamo posti, ma solo di essere messe alla prova. E purtroppo, in
assenza di regole, nessuno ce ne darà mai l’occasione.
Lo abbiamo visto nelle
recenti elezioni regionali in Sardegna, dove l’affossamento della
legge elettorale che prevedeva la doppia preferenza di genere, ha
prodotto l’aberrante risultato di sole quattro donne su 60
consiglieri comunali eletti. Una percentuale pari al 6,6% che ci
colloca nella graduatoria mondiale tra il Tuvalu e le Maldive, al
126esimo posto della classifica mondiale dell’Unione
interparlamentare. Posizione vergognosa e inaccettabile per un paese
europeo.
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