Care
donne Cinque Stelle, è tempo di disobbedire, di spegnere il
Megafono. Siate libere. Anche voi sapete che dalla goliardia non si
ricava indotto democratico. Offendere le donne è il ripiego di chi
non ha altri argomenti, eccetto il gesto linguistico primordiale.
Eppure,
oggi - solleticando le corde basse dei commentatori da social-bar -
siamo risospinti indietro, a una democrazia che nelle sue forme
regredisce a rantolo. Una politica che rifiuta ogni dialogo, ma non
si sottrae alla consuetudine, più-che-consumata, del rifugio
trasversale nel divertimento machista, come affermazione di impotenza
politica, su scala nazionale. Un trastullo che inganna il tempo, ma
non noi. Una pratica ben collaudata, occorre dirlo. Per questo la
novità degli insulti mediatici non ci stupisce.
L’offesa
sessista alle donne - offesa istituzionale o extraparlamentare - è
praticata da chi, in mancanza d’altro, tenta di sottrarre valore
alla battaglia politica, pensando di ricavarne facile complicità,
ammiccando a non si sa quale senso comune. E avendo in mente chissà
quale Paese. Per questo, offendendo le donne, in fondo si offende la
dignità e l’intelligenza di tutti. Giocando al ribasso.
Ma
oggi, per fortuna, il maschilismo non si porta bene. È retroguardia.
Un riflesso condizionato che stona con le promesse di rinascita di
una cittadinanza basata sulle relazioni. E dunque, nell’Italia
digitale, ammettiamolo, lo spirito battutaro del maschio non solo non
fa più ridere nessuno, ma ci intristisce molto.
Siamo
oltre la commedia all’italiana. Oltre, perfino, le analogie col
fascismo. Perché il Mussolini - capopopolo antiparlamentare e, dal
1925, interlocutore unico della borghesia terrorizzata dal popolo -
almeno si assumeva personalmente, al cospetto del Parlamento, la
responsabilità del delitto politico della democrazia. Erano altri
tempi. E la storia non si ripete. Oggi, però, siamo ancora molto
goliardici. E si cerca la complicità anonima. Da lurker. Oggi non si
risponde in aula: si lascia il muro bianco, alla mercé della rabbia
frustrata, rancorosa, dei luoghi comuni dei cittadini non eletti.
Oggi
la sfida politica corrisponde alla massa di scritte sui muri anonimi
dei blog, usati come bagni pubblici, dove la massa del network è
libera di esprimersi, in forma di insulti, per partecipare a qualcosa
di diverso dalla propria solitudine. Poi ci sarà sempre il
questurino di turno, il bidello pavido a giustificare l’oltraggio:
di notte non controlliamo i commenti. Peggio di Ponzio Pilato.
È
vero: non siamo nel fascismo. Siamo, sulla pelle delle donne, a
qualcosa di più primordiale. A un’era avanti Cristo. Siamo al
fascino discreto della lapidazione. Perché la macchina del fango
serve ai giornali, ma non si diverte nessuno. Nella lapidazione,
invece, si scagliano pietre virtuali, e ci si diverte un mucchio,
soprattutto contro le donne.
Care
elette Cinque Stelle, se non volete essere complici, dovete prendere
parola. E dirlo a chiare lettere: noi ci dissociamo. E non vi
sentirete certamente meglio indicando il maschilismo in casa altrui.
Perché altrove, in altri partiti o movimenti, le donne prendono
ledistanze. E parola. Anche fuori dal coro. A partire dalla legge
elettorale: dove siete, voi, nel 50 e 50? Cosa ne pensate della
doppia preferenza di genere? Quanto è accaduto nei giorni scorsi,
con le offese alle parlamentari del Pd e le provocazioni rivolte alla
presidente della Camera Laura Boldrini, è specchio di una strategia
di cui non potete essere complici.
Non
si può lanciare il sasso e nascondere la mano. Meglio: non si può
più lanciare il sasso. Un tempo si diceva che è il pollice
opponibile che ci distingue dalle bestie. La nostra specie, in fondo,
è fatta per costruire. Per distruggere non c’è bisogno di
evoluzione.
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