domenica 2 febbraio 2014

Aborto, la legge 194 è malata perché non tutela più la salute delle donne, di Maddalena Vianello


L’interruzione di gravidanza non è libertà di abortire ma responsabilità condivisa nel generare. Lo hanno scritto, in questo bog, diverse persone che hanno preso la parola in tema di diritti alla salute riproduttiva delle donne. Il 1 febbraio in Italia e in Europa si terranno manifestazioni in contemporanea a El tren de la libertad organizzato in Spagna contro la proposta della nuova legge. Porque yo decido è il messaggio intorno al quale si è radunata una rete europea, womenareurope, e raccolto da molti gruppi italiani che chiedono di risolvere i limiti alla legge 194 posti dall’alta percentuale di obiezione di coscienza. La27ora continua a ospitare le voci di chi su questi temi si sta interrogando.
La lettera appello del Movimento Usciamo dal Silenzio, ospitata sul blog La27Ora, ha il grandissimo merito di aver dato nuovo impulso al dibattito sull’interruzione volontaria di gravidanza e sulla legge 194 che la tutela. È riuscita nel suo intento, per lo meno in parte. Indurre a prendere o riprendere la parola. Così è stato per Cecilia d’Elia con il suo raffinato articolo La partita europea sull’aborto, per Caterina Croce e per le tante e i tanti che hanno sentito il desiderio di dire la loro lasciando un commento.
La legge 194 è malata. Gravemente malata. Le cure vanno somministrate prima del decesso. Possibilmente. Le amiche del movimento Usciamo dal silenzio si dicono fiduciose che la 194 non verrà smantellata a viso aperto. Spero abbiano ragione. Quel che è certo è che la legge è già di fatto inefficace. Ha smesso da tempo di tutelare in maniera diffusa la salute e la libertà delle donne. Le percentuali dei medici obiettori di coscienza nel nostro Paese sono ormai al di sopra del 70%.
Il quadro è composito, ma non confuso. Entrano in gioco la libertà, l’autodeterminazione, il diritto alla salute fisica, ma anche psichica delle donne. L’interruzione volontaria di gravidanza non è un gioco in mano a improvvide scriteriate. Come la stessa legge 194 recita, non si tratta di un mezzo di controllo sulle nascite.
Le statistiche degli ultimi 35 anni lo dimostrano in maniera incontrovertibile. E d’altronde il buonsenso in questo dovrebbe venirci in soccorso, insieme a una seria educazione sessuale. Hanno anche un ruolo importante il senso di responsabilità, la sofferenza inopinabile e intima, le difficoltà sociali ed economiche, e perché no gli incidenti di percorso. Nulla di tutto questo è appannaggio degli antiabortisti, né dei movimenti per la vita, né dei medici obbiettori di coscienza. È patrimonio delle donne. Prima di tutto.
L’interruzione volontaria di gravidanza, infatti, come d’altronde la gravidanza, affonda le sue radici in un corpo. Non un corpo qualsiasi, ma nel corpo delle donne. Non è irrilevante chi abortisce, come la stessa Cecilia d’Elia scrive nel suo L’aborto e la responsabilità, un libro di qualche anno fa. Non dimentichiamolo mai. E allora che gli uomini ci siano in questo dibattito, che si sentano coinvolti, che facciano sentire la loro parola anche con toni forti. Ma qui non stiamo parlando di genitorialità tout court, non si tratta della difesa della famiglia (ammesso che una famiglia sia obbligatoriamente formata da un uomo, una donna e un eventuale figlio). Si tratta delle donne, della loro unica indiscutibile libertà di scegliere, di disegnare la vita anche attraverso il corpo seguendo il loro più veritiero sentire, non un ineluttabile destino segnato.
E forse proprio perché è in ballo il corpo e la libertà delle donne, “le ragazze degli anni Sessanta” si preoccupano, si battono, invitando le più giovani a prendere il testimone saldamente nelle loro mani. È la trasmissione di una preziosa eredità da parte di una generazione battagliera.
Ad alcune potrà sembrare che “le ragazze degli anni Sessanta” usino un linguaggio un po’ impolverato, che forse a volte facciano fatica a tirarsi indietro. Credo sia innegabile, però, che mantengono uno sguardo attento sul mondo e sulle donne, obbligandoci a volte a non distrarci. Da parte mia una grande gratitudine.
Il durissimo attacco che le donne in Spagna stanno subendo deve essere per noi l’occasione per fare rete, per tenere alta l’attenzione, per avviare un dibattito ampio. A casa nostra le cose vanno un po’ meglio. Chissà per quanto tempo. Vorrei che il 1° febbraio fosse un’occasione per rivederci. Con il mio gruppo informale di “giovani donne” RosaRosae abbiamo contribuito alla convocazione di un presidio a Bologna. Quindi, noi ci saremo prima di tutto perché donne, con i nostri compagni e le nostre compagne, con l’Associazione Orlando e con molte altre associazioni e donne che a Bologna si stanno mobilitando. Ci vediamo in piazza del Nettuno alle ore 15.00.

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