L’interruzione di
gravidanza non è libertà di abortire ma responsabilità condivisa
nel generare. Lo hanno scritto, in questo bog, diverse persone che
hanno preso la parola in tema di diritti alla salute riproduttiva
delle donne. Il 1 febbraio in Italia e in Europa si terranno
manifestazioni in contemporanea a El tren de la libertad organizzato
in Spagna contro la proposta della nuova legge. Porque yo decido è
il messaggio intorno al quale si è radunata una rete europea,
womenareurope, e raccolto da molti gruppi italiani che chiedono di
risolvere i limiti alla legge 194 posti dall’alta percentuale di
obiezione di coscienza. La27ora continua a ospitare le voci di chi su
questi temi si sta interrogando.
La lettera appello del
Movimento Usciamo dal Silenzio, ospitata sul blog La27Ora, ha il
grandissimo merito di aver dato nuovo impulso al dibattito
sull’interruzione volontaria di gravidanza e sulla legge 194 che la
tutela. È riuscita nel suo intento, per lo meno in parte. Indurre a
prendere o riprendere la parola. Così è stato per Cecilia d’Elia
con il suo raffinato articolo La partita europea sull’aborto, per
Caterina Croce e per le tante e i tanti che hanno sentito il
desiderio di dire la loro lasciando un commento.
La legge 194 è malata.
Gravemente malata. Le cure vanno somministrate prima del decesso.
Possibilmente. Le amiche del movimento Usciamo dal silenzio si dicono
fiduciose che la 194 non verrà smantellata a viso aperto. Spero
abbiano ragione. Quel che è certo è che la legge è già di fatto
inefficace. Ha smesso da tempo di tutelare in maniera diffusa la
salute e la libertà delle donne. Le percentuali dei medici obiettori
di coscienza nel nostro Paese sono ormai al di sopra del 70%.
Il quadro è composito,
ma non confuso. Entrano in gioco la libertà, l’autodeterminazione,
il diritto alla salute fisica, ma anche psichica delle donne.
L’interruzione volontaria di gravidanza non è un gioco in mano a
improvvide scriteriate. Come la stessa legge 194 recita, non si
tratta di un mezzo di controllo sulle nascite.
Le statistiche degli
ultimi 35 anni lo dimostrano in maniera incontrovertibile. E
d’altronde il buonsenso in questo dovrebbe venirci in soccorso,
insieme a una seria educazione sessuale. Hanno anche un ruolo
importante il senso di responsabilità, la sofferenza inopinabile e
intima, le difficoltà sociali ed economiche, e perché no gli
incidenti di percorso. Nulla di tutto questo è appannaggio degli
antiabortisti, né dei movimenti per la vita, né dei medici
obbiettori di coscienza. È patrimonio delle donne. Prima di tutto.
L’interruzione
volontaria di gravidanza, infatti, come d’altronde la gravidanza,
affonda le sue radici in un corpo. Non un corpo qualsiasi, ma nel
corpo delle donne. Non è irrilevante chi abortisce, come la stessa
Cecilia d’Elia scrive nel suo L’aborto e la responsabilità, un
libro di qualche anno fa. Non dimentichiamolo mai. E allora che gli
uomini ci siano in questo dibattito, che si sentano coinvolti, che
facciano sentire la loro parola anche con toni forti. Ma qui non
stiamo parlando di genitorialità tout court, non si tratta della
difesa della famiglia (ammesso che una famiglia sia obbligatoriamente
formata da un uomo, una donna e un eventuale figlio). Si tratta delle
donne, della loro unica indiscutibile libertà di scegliere, di
disegnare la vita anche attraverso il corpo seguendo il loro più
veritiero sentire, non un ineluttabile destino segnato.
E forse proprio perché
è in ballo il corpo e la libertà delle donne, “le ragazze degli
anni Sessanta” si preoccupano, si battono, invitando le più
giovani a prendere il testimone saldamente nelle loro mani. È la
trasmissione di una preziosa eredità da parte di una generazione
battagliera.
Ad alcune potrà
sembrare che “le ragazze degli anni Sessanta” usino un linguaggio
un po’ impolverato, che forse a volte facciano fatica a tirarsi
indietro. Credo sia innegabile, però, che mantengono uno sguardo
attento sul mondo e sulle donne, obbligandoci a volte a non
distrarci. Da parte mia una grande gratitudine.
Il durissimo attacco
che le donne in Spagna stanno subendo deve essere per noi l’occasione
per fare rete, per tenere alta l’attenzione, per avviare un
dibattito ampio. A casa nostra le cose vanno un po’ meglio. Chissà
per quanto tempo. Vorrei che il 1° febbraio fosse un’occasione per
rivederci. Con il mio gruppo informale di “giovani donne”
RosaRosae abbiamo contribuito alla convocazione di un presidio a
Bologna. Quindi, noi ci saremo prima di tutto perché donne, con i
nostri compagni e le nostre compagne, con l’Associazione Orlando e
con molte altre associazioni e donne che a Bologna si stanno
mobilitando. Ci vediamo in piazza del Nettuno alle ore 15.00.
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