Potevi fare qualcosa.
Quella volta che sei uscita con le amiche, ti sei messa la minigonna, le calze velate, la scollatura. E quei tizi ti hanno urlato dalla macchina che eravate tutte troie.
Potevi non andare in giro come una troia.
Potevi fare qualcosa.
Quella volta che hai bevuto, ti sei divertita, hai “esagerato” come tutti i tuoi coetanei, come i maschi. E poi uno di loro invece di accompagnarti a casa ha deciso di violentarti in macchina.
Potevi non bere come un uomo.
Potevi fare qualcosa.
Quella volta che a quella festa non sei stata attenta al bicchiere mentre flirtavi con quel tipo e dopo aver bevuto non ci hai capito più niente. La mattina dopo ti sei ritrovata per strada mezza nuda.
Potevi non dimostrarti disponibile sessualmente.
Potevi fare qualcosa.
Quella volta che stavi tornando a casa da scuola, dal lavoro, e un uomo ti ha seguito mettendoti ansia, fin sotto al portone.
Potevi non uscire di casa.
Potevi fare qualcosa.
Quella volta in cui tuo padre, tuo marito, il tuo fidanzato, il tuo amico ti ha picchiata oppure ti ha costretta a fare sesso, dentro casa, in quello che sembrava un mondo sicuro.
Potevi non essere nata.
A denunciare la violenza fisica o sessuale sono pochissime donne. Chi non lo fa rimane in silenzio per paura, per vergogna, spessissimo perchè si sente in colpa.
La colpa nasce dalla cultura patriarcale del peccato originale, della mela di Eva che condannò l’uomo al suo stesso peccato, ma viene comunicata spesso anche da media ben più attuali della Bibbia: giornali e notiziari pronti a insinuare subdolamente il dubbio della responsabilità femminile.
Di recente abbiamo lanciato una campagna, #giornalismodifferente, volta proprio a chiedere un nuovo linguaggio e nuove rappresentazioni per l’informazione.
Tra le rivendicazioni che abbiamo proposto, una chiede proprio al giornalismo italiano di smettere di dare particolari sull’aspetto fisico ( avvenente, bella, affascinante ) e sull’abbigliamento ( scosciata, in tiro, appariscente ) delle donne al centro della cronaca perchè vittime di violenza. Che si tratti di femminicidio o di stupro infatti i giornali spesso corredano le notizie di cronaca nera con foto sexy delle vittime per catturare qualche lettore in più, oppure citano abbigliamento o atteggiamento ( flirtava, dava confidenza, alla mano ) della donna come a ricercare in lei la colpa della violenza maschile.
Com’è vestita una vittima di violenza? Chissenefrega. Ci è venuto da dire.
Anche perchè le vittime di violenza sono in pigiama come in lungo.
L’abito è davvero poco rilevante quando si vive in un mondo in cui le donne sono di per sé oggetti sessuali per la fruizione di un maschile.
Non la pensa così però gran parte dei media, che continua a perpetrare l’idea che la violenza dipenda invece dalla bellezza, dall’abbigliamento di una donna o, ancora peggio, sia una forma di apprezzamento e di lusinga.
Non la pensa così nemmeno la polizia ungherese che, in questi giorni, ha diffuso un video per la prevenzione degli stupri che racconta la storia di una ragazzina che, al ritorno da una serata in discoteca con le amiche, viene aggredita da uno sconosciuto che l’ha adocchiata per strada.
Il video mostra tre ragazze che si divertono prima in casa e poi in discoteca, dove bevono alcol insieme ad alcuni ragazzi con cui flirtano sorridenti. Al termine della serata però, una di loro, seduta a terra, con il trucco disfatto e la t shirt strappata, piange la violenza appena subita. Una vera e propria pornovittima servita al pubblico e poi la scitta: “Puoi fare qualcosa, puoi fare qualcosa a riguardo”
E questo qualcosa è non uscire con le amiche, non andare in discoteca, non bere alcolici, non flirtare con dei ragazzi.
Cosa si può fare per evitare uno stupro?
Lottare per i diritti delle donne, da quello a mettere una minigonna senza essere chiamata “troia” a quello al lavoro ad esempio, o specularmente, al reddito. Lottare per essere degli uomini migliori di quelli a cui non si rivolge nessuna campagna progresso.
Rivendicazioni solo apparentemente distanti, ma che si avvicinano nel tentativo di affermare la libera autodeterminazione delle donne, fuori dal controllo patriarcale, dell’uomo che ancora pensa di avere un potere sulle donne della sua vita e non.
Questo eviterà di essere stuprate?
Non è detto. Lo stupro nulla ha a che fare con il desiderio sessuale, la sessualità o il piacere, è un’affermazione di potere, un’umiliazione destinata proprio a chi sembra sfuggire al controllo.
Non è raro che le donne quando escono in gruppo badino reciprocamente a loro stesse.
Se un’amica sparisce per un po’ in discoteca si parte alla sua ricerca.
Se una ragazza vaga da sola per strada ubriaca non è raro che le si dia un passaggio, tra donne, per tutelarla dalla notte.
Neanche questo eviterà uno stupro, ma è una solidarietà femminile sempre più diffusa.
Iniziamo col ricordare almeno che il “poter fare qualcosa”non vuol dire non uscire di casa, non bere alcolici, non indossare minigonne e scollature. Iniziamo col dire a tutti quelli che commenteranno “eh ma comunque ti esponi a un maggior rischio se bevi qualcosa di più e flirti con gli uomini” che stanno avvalorando la cultura patriarcale del potere sulle donne, la retorica della paura, donne che devono temere tutti, persino se stesse.
Ma allora cos’è che protegge davvero da uno stupro?
Se il video fosse rivolto a degli uomini, lo slogan sarebbe “puoi fare qualcosa per evitare uno stupro: non stuprare”.
Ed è forse questo l’unico insegnamento da dare in fatto di violenza sessuale.
Ma chissà perchè, la prevenzione degli stupri tocca alle vittime, non agli stupratori.
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